Racconto di Giugno

**Diario di Giugno**

Era cominciato tutto con i piccoli stivaletti di mia figlia caduti dal mio davanzale, visto che Nonna mi aveva detto mille volte: «Non c’è spazio per asciugare le cose qui! Dovevi pensare prima di far saltellare la bambina nelle pozzanghere!»

«Mamma, ma era pioggia di giugno!» avevo protestato, ridendo. «Che gioia camminarci dentro!»

«Quest’anno giugno è davvero troppo piovoso.»

Mi sono affacciata alla finestra: splendeva il sole, e proprio lì sotto, sul balcone dell’appartamento di sotto, giacevano quegli stivaletti. Era un palazzo nuovo, ci abitavamo da poco, e né io né Nonna avevamo mai visto il vicino. Dicevano che fosse un anziano scapolo.

«Che spreco quel balcone!» brontolava sempre Nonna. «Se lo avessero dato sopra a noi, almeno avremmo dov’appendere i panni!»

«Vai, su, chiamalo. E domani, con cosa andrà all’asilo?»

Giannina, quella birichina di tre anni, non sembrava preoccuparsi affatto dell’emergenza scarpe: cercava di lanciare dalla finestra il suo coniglio di peluche, ma Nonna aveva chiuso di colpo e le aveva fatto le fiche.

Nel frattempo, ero scesa a cercare il vicino.
«Non c’è. Come al solito.»

Nonna Nonna aveva replicato: «La signora Pina del primo piano dice che fa l’autista di autobus. Proviamo a indovinare il suo ritmo?»

«Torno più tardi» avevo borbottato.

Scendevo ancora, ma niente. Fortuna volle che un’amica mi portasse i sandaletti smessi di suo figlio per tappare il buco. Giannina li odiava, ma non c’era altro.

Il terzo giorno, cominciò il dubbio: «Ma ci vive davvero, quest’uomo?»

«Ieri notte alle due ho visto la luce accesa!» aveva annunciato la signora Pina, passata per prendere il sale e due chiacchiere. «Stavo rincorrendo quel farabutto del mio gatto.»

«A quell’ora dormivamo già» avevo risposto, confusa.

Ma poi, l’illuminazione: «Perché non lasciamo un biglietto sotto la porta?»

Così scrivemmo, con tanto di disegno di Giannina: «Il mio coniglietto!» in fondo al messaggio. Lo infilammo con solennità sotto la porta.

Quella sera stessa, il campanello.
«Santo cielo, è il vicino!» gridammo in coro, precipitandoci ad aprire.

Era un uomo altissimo, occhi azzurri, niente affatto anziano, in divisa da autista. Porse gli stivaletti con un sorriso: «Li ho trovati sul balcone. Sono vostri?»

Giannina annuì, poi partì in quarta: «Hai visto il disegno del mio coniglio? Vuoi conoscerlo?»

Lui, sbalordito, annuì di nuovo.

Mentre lo ringraziavo, Giannina lo trascinava già verso la cameretta, e io Nonna sentivo i suoi sproloqui: «Io non ho un papà, ma la mamma fa un caffelatte buonissimo!»

«Davvero? Anch’io adoro il caffelatte» disse l’uomo, sorridendo.

«Ne preparo io uno, allora!» mi offrii. «Con cannella, le piace?»

«Non vorrei disturbare… ma Nonna lo faceva proprio così.»

E una tazza divenne due, poi tre, finché a mezzanotte eravamo ancora lì, io e Giorgio, a parlare di ricordi d’infanzia, di piogge estive, del sogno di guidare i pullman a lunga percorrenza.

Poi scese un acquazzone improvviso, profumato di tiglio, e lui si scosse: «Oddio, devo andare!»

«Torni ancora!» dissi, quasi per sfuggirmi il «ci è piaciuto» che avevo in mente.

Giorgio tornò. E poi ancora. Finché rimase soloE adesso, ogni mattina, preparo due tazze di caffelatte: una per me e una per lui, prima che parta col suo autobus, mentre Giannina gioca nel suo lettino e il sole illumina il balcone dove tutto è cominciato.

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