Ragazza, tesoro, quando arriva l’ambulanza? La febbre è quasi a quaranta e non scende.

Mi scusi, signorina, ma quando arriverà l’ambulanza? La febbre è quasi a quaranta e non scende…
– Tutte le squadre sono fuori per emergenze al momento, – rispose una voce femminile stanca. – Aspettate.

Trattenendo a stento le lacrime, Chiara posò il telefono e si precipitò dalla figlia. La piccola Sofia giaceva sul divano, coperta da un leggero lenzuolo, respirando affannosamente. Il corpicino della bambina di cinque anni ardeva di febbre: la temperatura non accennava a diminuire, avvicinandosi inesorabilmente ai quaranta gradi.
Il suono del campanello la fece sussultare. Chiara si alzò di scatto, quasi perdendo l’equilibrio, e corse alla porta.
– La temperatura sta scendendo, l’infusione funziona. La bimba ha rantoli su entrambi i lati. Consiglierei di essere ricoverati in ospedale. – un uomo alto e canuto si strofinò stancamente il ponte del naso mentre una giovane infermiera metteva una siringa in un vassoio.

– A casa non possiamo farcela?
– No, non possiamo. Andiamo in ospedale per maggiori controlli.
Chiara, con il passaporto e il sacchetto di cose, uscì nel corridoio:
– Ora vesto Sofia e… Oh, ma voi chi siete?

Dalla porta aperta entrava una squadra di soccorso: un medico barbuto e tarchiato di quarant’anni, un infermiere di trentadue anni magro con gli occhiali e un giovane tirocinante dai capelli rossi e lentigginoso.
– Avete chiamato i soccorsi? – chiese il medico barbuto.
– Sì, ma… C’era già un altro dottore, – disse Chiara, confusa.
– Quale altro dottore? – intervenne il giovane tirocinante.
– Beh… Era alto, canuto. Ha abbassato la febbre a Sofia e ha detto che dobbiamo andare in ospedale… – rispose esitante la giovane donna.

Il medico e l’infermiere si scambiarono uno sguardo perplesso:
– Sempronio!
– Hanno mandato due squadre per la stessa chiamata? – si stupì il tirocinante.
Il medico barbuto si rivolse alla giovane donna:
– Vesti la bambina. Vi portiamo in ospedale.
Chiara tornò in camera. Il tirocinante, sorpreso, chiese al medico:
– Cosa, non la visitiamo nemmeno?
– Sempronio non sbaglia mai!
– E chi è questo Sempronio?

L’infermiere fece un sorrisetto:
– Sempronio era il più esperto dei soccorsi. Lo volevano anche a Roma, ma ha sempre rifiutato. Diceva che il suo lavoro era salvare vite, non scaldare una sedia in ufficio.
Un anno fa la squadra di Sempronio era diretta a un’emergenza, quando un tale decise di tagliare la strada all’ambulanza.
L’infermiere si fermò, abbassando lo sguardo. Il medico barbuto gli diede una pacca sulla spalla e continuò:
– In quell’incidente nessuno sopravvisse. Ma quaranta giorni dopo, in città iniziarono a succedere cose strane.
Un giovane era stato accoltellato per strada. Chiamarono l’emergenza: ferita da taglio nella zona del fegato. Era il nostro turno. Arriviamo. Il ragazzo steso sull’asfalto con una benda, e c’era un uomo che gli reggeva una flebo. Chiediamo chi ha prestato il primo soccorso. L’uomo alza le spalle e dice: “Era qui l’ambulanza, un medico alto e canuto e una giovane infermiera. Hanno fatto tutto loro, messo la flebo. Il dottore ha detto di tenerla così… Mi sono girato un attimo a controllare il ragazzo: respira, non respira. E poi siete arrivati voi. E il dottore dov’è?”

Abbiamo avuto i brividi. Perché, dalla descrizione, sembrava proprio Sempronio con la sua squadra. Portammo il ragazzo in ospedale e nel rapporto scrivemmo che il primo soccorso era stato prestato prima del nostro arrivo. Di Sempronio non parlammo. Poi se ne discusse apertamente alla centrale. Quel giorno restammo scioccati.

– E nessuno ci avrebbe creduto! – rise l’infermiere. Il medico barbuto si aggiustò lo stetoscopio al collo e continuò:
– Pochi giorni dopo un operaio cadde in magazzino: ictus e trauma cranico. Prima che arrivasse l’ambulanza cittadina, “il medico alto, canuto e la giovane infermiera” avevano già prestato il primo soccorso: flebo, ossigeno e pronostico dato. “Poi sono scomparsi nel nulla”.
– E ricordi del parto al semaforo? – sorrise l’infermiere, aggiustandosi gli occhiali.
– Cosa, anche i fantasmi hanno assistito ai parti? – si stupì il tirocinante rosso di capelli.
– Attento con le parole, – lo ammonì il medico. – Non so chi sia diventata la “squadra di Sempronio”, ma di certo non fantasmi. Piuttosto angeli custodi della città.

– Mi scusi… – il tirocinante arrossì, persino le orecchie gli bruciavano. – Allora, cosa è successo con il parto?
– Un tassista stava portando una donna in ospedale: trentaquattro anni, secondo parto, trentanove settimane. Si fermò al semaforo e lì iniziarono le doglie. Il tassista nel panico, attivò le emergenze, chiamò l’ambulanza, ma non sapeva cosa fare, girava intorno all’auto gridando: “Aiuto”. La centralinista gli disse: “Non si preoccupi, metta il telefono in vivavoce, le spiego io cosa fare”. Ma l’uomo era isterico, non capiva nulla.

Fu allora che Sempronio gli venne in aiuto con l’infermiera. Il bambino stava nascendo podalico, con il cordone attorno al collo. Se non fossero stati loro, il piccolo non ce l’avrebbe fatta.
E poi arrivò l’ambulanza, prese la mamma e il neonato in buone mani.
Quante volte è accaduto in un anno, è difficile dirlo. La “squadra di Sempronio” appare solo nei casi più gravi. E senza Sempronio, molti di quei pazienti non sarebbero sopravvissuti in attesa dell’ambulanza cittadina. Ecco com’è andata.

– Siamo pronte. – Chiara, con la figlioletta, uscì nel corridoio. Il medico barbuto prese il sacchetto dalla donna e sorrise alla piccola:
– Ora andrà tutto bene!

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