Redenzione Giunta

**Il Pentimento Arrivò**

Serafina era una donna creativa, piena di inventiva e fantasia. Qualunque cosa facesse, risultava sempre interessante e bellissima. Era anche di buon cuore, tranquilla, modesta, ma soprattutto insostituibile. Lavorava in una scuola elementare di campagna, insegnando ai più piccoli.

Bambini, genitori e persino i colleghi la adoravano. Se un insegnante si ammalava, lei lo sostituiva volentieri, anche se doveva fare il doppio turno.

“Serafina, non riesco a capire questo problema,” diceva il suo alunno, Riccardino.

“Ma ci hai provato a pensarci un minimo?” gli chiedeva, sapendo benissimo che lui non voleva sforzarsi neanche un po’: preferiva copiare dagli altri, e se i compagni si rifiutavano, correva da lei.

Con pazienza, gli spiegava finché Riccardino non capiva, e quando finalmente la luce si accendeva nella sua testa, sorrideva soddisfatto:

“Ah, ma allora era facile!”

Serafina era cresciuta in un orfanotrofio, poi aveva studiato all’istituto magistrale. L’avevano abbandonata davanti alla porta da neonata, e l’infermiera le aveva dato quel nome perché le piaceva. Il patronimico lo avevano inventato lì per lì. Come tutti gli orfani, aveva imparato a sopportare in silenzio, senza lamentarsi. Ma con chi avrebbe potuto farlo?

Non aveva mai conosciuto l’affetto dei genitori, ma sognava una famiglia e dei figli. Voleva amare i suoi cari, dedicare tutto quell’amore mai speso a un marito e ai suoi bambini. Sperava di incontrare un uomo così e di vivere l’uno per l’altro.

Ma il destino volle che sposasse Gregorio, un camionista del paese. Lui aveva notato la giovane maestra, e a lei bastava un briciolo di felicità domestica. Un giorno la fermò.

“Serafina, ti osservo da un po’. Sei una brava ragazza. Sposami. Non sono uno che sa fare il galante, regalare fiori e tutte quelle cose. Sono diretto. Sono più vecchio di te, pazienza. Ma ho una casa grande. I miei genitori sono morti giovani, e ora vivo solo. Voglio una padrona di casa,” disse con serietà.

Certo, Serafina come ogni donna sognava un po’ di romanticismo. Immaginava il suo amato inginocchiarsi con un anello e farle la proposta. Invece, tutto così semplice: “Vieni e basta.”

“Va bene, Gregorio, accetto,” rispose, e poco dopo ci fu un matrimonio modesto e lei si trasferì nella sua casa.

Qualcuno aveva provato a dissuaderla.

“Serafina, riflettici bene. Gregorio non è l’uomo che fa per te. Hai un’anima delicata, sei creativa, lui è solo un rozzo bifolco. Siete troppo diversi.”

Gregorio era sempre stato un solitario, tutti lo ricordavano così. Lavorava sodo, e i capi lo stimavano. Ma era taciturno, poco socievole. A lui piaceva Serafina perché era una bella ragazza, alta, con lunghi capelli raccolti in una treccia. A volte li avvolgeva intorno alla testa, come una corona, e a lui piaceva. Occhi verdognoli, modesta, silenziosa. Era la moglie che voleva.

Fin dal primo giorno, Serafina si dimostrò un’ottima massaia. Teneva la casa in ordine, cucinava bene, il cortile era sempre pulito. Gregorio però notava che la moglie era un po’ strana: a volte leggeva poesie ad alta voce, cantava mentre puliva, e tutto le dava gioia. Lui non capiva queste sottigliezze, non era fatto così. La sera guardava la TV mentre lei lavorava a maglia, creando regalini per i vicini.

Serafina si chiedeva:

“Perché non riusciamo ad avere un figlio? Sono passati già tanti anni… I bambini servono, sono gli eredi, dovrebbe essere normale.”

Anche Gregorio ci pensava. Notava che la moglie diventava sempre più triste, sorrideva di rado.

“Serafina è triste perché non riesce a rimanere incinta. Ha messo le icone nell’angolo, la sento pregare,” pensava quando la udiva sussurrare preghiere.

Lui non credeva in nulla, ma non le impediva nulla.

“Che tenga pure le icone. Che preghi. Io non ci credo, ma è affar suo. Non c’è nulla di male, tutti hanno le icone in casa. Molte donne vanno in chiesa.”

Come moglie, Serafina gli andava bene. Tranquilla, mite, rispettata dai paesani perché insegnava ai loro figli con dedizione. Una volta tornò a casa e trovò una capra in cortile. Poi arrivarono le galline, senza il suo permesso.

“Va bene,” pensò Gregorio, “alla fine è roba utile, per la casa. Tutti hanno animali.”

Ma quando un giorno vide un cucciolo in cortile, non riuscì a trattenersi:

“Serafina, cos’è questo cagnolino? Mancavano solo i cuccioli, poi ci riempirà il cortile di cani!”

“Gregorino, è piccolo, si è avvicinato da solo. Lasciamolo stare. Non ci rovinerà se gli diamo una ciotola di minestra. Guarda, tutti hanno un cane da guardia, almeno abbaierà se viene un estraneo.”

Lo convinse. Il cane restò, nero, un po’ peloso.

“Chiamiamolo Birillo, diventerà intelligente, è già furbo.”

Gregorio gli costruì una cuccia e, con il tempo, si affezionò. Lo accarezzava, lo nutriva, gli scioglieva la catena quando si attorcigliava. Non si accorsero nemmeno quando il cane del vicino, Pluto, entrò in cortile. Gregorio lo vide scappare mentre tornava dal lavoro.

“Eh, Birillo, hai trovato un amico. Presto avremo cuccioli. E io che ne faccio?”

Notarono che Birillo aspettava dei piccoli. Gregorio diventò cupo, Serafina era preoccupata. Una sera, tornando a casa, incontrò la vicina Rosina.

“Serafina, scusami, ma come fai a vivere con quel mostro di Gregorio?”

“Cosa è successo, zia Rosina?”

“Non te l’ha detto? Ma certo, è un bruto! Stavo tornando dal paese vicino quando l’ho visto trascinare Birillo al guinzaglio. La poverina si ribellava, ma lui la tirava. Gli ho chiesto dove la portava, e lui mi ha mandata via. Ho avuto paura, l’ho seguito di nascosto. Poco dopo l’ha data a un uomo e se n’è andato.”

Serafina si sentì mancare il cuore e corse a casa. Rosina le gridò dietro:

“Forse non avete figli perché Gregorio è un mostro!”

Quella sera, quando Gregorio tornò, lei gli chiese:

“Dov’è Birillo? Perché la cuccia è vuota?”

Non l’aveva mai visto così furioso.

“Che te ne importa? Hai dimenticato il tuo posto? Il cane non c’è più e non tornerà. Non voglio cuccioli. L’ho perso. Basta.”

Serafina, offesa, si chiuse in camera e pianse. Passò la serata in silenzio.

“Con chi sto vivendo?”

Gregorio non si sentiva in colpa. Ma lei non gli parlò per giorni. Lui cominciò a sentirsi a disagio. Qualcosa lo tormentava. Non riusciva a dormire, gli sembrava di vedere gli occhi tristi di Birillo.

Una settimana di silenzio, come estranei. Gregorio non ne poteva più, doveva fare pace.

“Dopo tutto, sono un uomo, farò il primo passo. Le donne sono permalose.”

Si riconciliarono. Il tempo passò.

“Gregorio, asp

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