Fin da piccola, sono stata cresciuta come una principessa. Il meglio per me: scuole prestigiose, corsi di perfezionamento, viaggi all’estero. Mia madre ripeteva: «Meriti solo l’eccellenza, non accontentarti di meno». Mio padre annuiva in silenzio — ero la loro unica figlia. Ma quando si trattò di trovare la felicità, nulla andò come speravo.
Il mio «principe» non arrivò subito. Passai attraverso delusioni, amori superficiali, promesse vuote. Poi apparve Lorenzo. In lui credevo di aver trovato l’amore vero. Era gentile, premuroso, attento ai dettagli. Portava fiori senza motivo, recitava poesie, mi toccava le mani con devozione. Le amiche mi invidiavano. Tutte tranne Giulia.
«Sei sicura che ami te e non il conto in banca di tuo padre?», mi chiedeva con scetticismo.
Io ridevo. Credevo in Lorenzo come in me stessa. Lo amavo fino al tremore, fino alle lacrime. Ci sposammo con semplicità, per amore, senza sfarzo. I miei genitori ci regalarono un appartamento al venticinquesimo piano, con una vista che toglieva il fiato. Grazie a mio padre, Lorenzo diventò presto vice direttore nell’azienda di famiglia. E devo ammetterlo: lavorava con dedizione. Mio padre diceva che un giorno gli avrebbe lasciato tutto.
Eravamo la coppia perfetta, o almeno così sembrava. Dopo qualche anno, parlammo di figli. I miei genitori sognavano un nipote. Io e Lorenzo decidemmo che era il momento. Ma rimanere incinta si rivelò impossibile. Mesi di attesa, delusioni, pianti. Gli esami mostrarono che il problema ero io. Provai cure, terapia ormonale, tentai di restare positiva. Poi decidemmo per la fecondazione assistita. Diversi tentativi falliti mi spezzarono. Diventai arrabbiata, stanca, chiusa. Ma Lorenzo era al mio fianco. O così credevo.
Si avvicinava il mio trentesimo compleanno. I miei insistettero per una festa — musica, ospiti, una cena intima. Volevano farmi tornare a sorridere. Fingevo allegria, ma dentro ero in frantumi. A metà serata squillò il telefono. Uscii in un’altra stanza per rispondere. In salotto si sentivano le risate, ma all’altro capo della linea c’era una voce femminile. Fredda. Sicura.
«Mi scusi per il disturbo», disse. «So che per lei è un momento difficile, ma capirà. Io e Lorenzo abbiamo una relazione da tempo. E aspetto un bambino da lui. Mi ha raccontato dei vostri problemi. Per favore, lasciatelo andare. Ha bisogno di un figlio. Mio figlio ha bisogno di un padre.»
Rimasi senza fiato. La testa mi girava. Avrei voluto urlare, scappare, sparire. Capii dove fosse stato tutte quelle sere in cui diceva di uscire con gli amici, dalla madre, per lavoro. Capii perché si era allontanato, perché era diventato più distante.
Mi asciugai le lacrime, respirai profondamente e tornai a tavola. Sorrisi. Il ridere mi strozzava in gola, gli occhi bruciavano, ma resistetti. Quando gli ospiti se ne andarono, restammo solo con i miei genitori. Allora dissi:
«Papà, mamma… Lorenzo mi tradisce. E quella donna aspetta un bambino da lui.»
Nella stanza scese un silenzio tombale. Mio padre si alzò, si avvicinò a Lorenzo e disse con voce cupa:
«Per me non sei più un figlio. Esci da casa mia.»
Mia madre mi portò via. Voleva restare, ma le chiesi di andarsene. Avevo bisogno di solitudine. Quella notte Lorenzo tornò. Rimase nell’ingresso come un cane bastonato. Chiese perdono. Disse che non la amava, che era stato un errore, che forse lei lo aveva stregato. Io tacqui. Gli permisi di restare non per pietà, ma perché ero troppo vuota per cacciarlo.
Al mattino supplicò di nuovo. Voleva che parlassi con mio padre, che dicessi che andava tutto bene. Lo guardai e vidi uno straniero. L’amore se n’era andato. E con lui, la fiducia.
Se ne andò. La donna, a suo dire, stava per partorire. Non so se fosse vero o solo una manipolazione. Ma sapevo una cosa: il bambino che avevo tanto desiderato, ancora non l’avevo. Lui, invece, stava per averne uno. Non mio.
Ora sono davanti a un bivio: lasciarlo andare o lottare? Ma per cosa lottare, se mi ha tradito? La vita senza lui mi spaventa. Ma vivere con lui è già impossibile.