Regole per lEstate
Quando il regionale rallentò alla piccola fermata, Teresa Garbini era già in piedi proprio al bordo del marciapiede, stringendosi al petto una borsa di tela. Dentro ruzzolavano mele, un vasetto di marmellata di ciliegie e un contenitore di plastica pieno di panzerotti. Tutto questo non serviva, ovvio: i nipoti arrivavano ben nutriti dalla città, con zaini e buste stracolmi, ma le mani non riuscivano a stare ferme, sentivano il bisogno di preparare qualcosa lo stesso.
Il treno si fermò di colpo, le porte si spalancarono ed ecco che scesero in tre: alto e secco, Michele, sua sorellina Martina e uno zaino che sembrava vivere di vita propria.
Nonna! Martina fu la prima a vederla, agitando il braccio con tale forza che i braccialetti tintinnarono.
Teresa sentì un calore improvviso salire in gola. Depose con cautela la borsa a terra, per non far cadere nulla, e aprì le braccia.
Ma guardate come… Voleva aggiungere siete cresciuti, ma si fermò in tempo. Lo sapevano già.
Michele si avvicinò un po più lentamente, la abbracciò con una mano mentre con laltra teneva saldo lo zaino.
Ciao, nonna.
Ormai le arrivava quasi ad una testa più su. Un filo di barba sul mento, polsi magri, e dalle maniche della maglietta spuntavano cuffiette aggrovigliate. Teresa notò di cercare ancora in lui il bambino che scorrazzava per lorto con gli stivaletti di gomma, ma trovò solo dettagli nuovi, estranei, da adulto.
Il nonno vi aspetta giù, disse. Dai, andiamo, altrimenti le polpette si raffreddano.
Solo una foto! Martina aveva già il telefono in mano. Scattò la piattaforma, la carrozza, Teresa stessa. Per le storie.
La parola storie le sfrecciò accanto come un passerotto. Aveva già chiesto, quel gennaio, che cosa significasse. Tua figlia glielo spiegò, ma se lo era già dimenticato. Limportante era vedere la nipote sorridere.
Scendettero i gradini in cemento. In fondo, accanto a una vecchia Fiat Panda, li attendeva Mario Garbini. Si alzò incontro a loro, diede una pacca sulla spalla a Michele, abbracciò Martina, fece un cenno alla moglie. Lui era sempre più contenuto, ma Teresa sapeva bene che era felice tanto quanto lei.
Allora, vacanze? domandò.
Vacanze, rispose Michele, lasciando cadere lo zaino nel bagagliaio.
Durante il tragitto verso casa, i ragazzi restarono silenziosi. Oltre il finestrino scorrevano casette, orti, vigneti e, più in là, scorazzavano caprette. Martina ogni tanto scorreva qualcosa sul cellulare, Michele rideva fissando lo schermo, e Teresa si accorse di osservare le loro mani: sempre intente a toccare quei rettangoli neri.
Pazienza, si disse. Limportante è che in casa si viva allitaliana. Poi, fuori da qui, che facciano pure come oggi si usa.
La casa li accolse con profumo di polpette fritte e basilico. In veranda un vecchio tavolo di legno, coperto da una cerata a limoni. Sui fornelli la padella sfrigolante, nel forno la torta salata stava finendo di dorarsi.
Mamma mia che banchetto! esclamò Michele sbirciando in cucina.
Non è un banchetto, è il pranzo, rispose distinto Teresa, e subito si corresse. Su, entrate e lavatevi le mani. Qui, nellacquaio.
Martina aveva già ripreso il telefono. Mentre Teresa sistemava insalata, pane, polpette sul tavolo, con la coda dellocchio vedeva la nipote che fotografava i piatti, la finestra, la gatta Minù che sbucava da sotto una sedia.
A tavola niente telefoni, disse Teresa con semplicità, quando si furono seduti.
Michele alzò lo sguardo.
In che senso?
Appunto, intervenne Mario. Si mangia e poi il telefono, quanto vuoi.
Martina esitò, poi appoggiò il cellulare a faccia in giù, accanto al piatto.
Solo per le foto…
Le hai già fatte, la interruppe dolcemente Teresa. Mangiamo, poi carichi quello che vuoi.
Il verbo caricare le suonava incerto in bocca. Non ricordava mai come si dicesse davvero, ma a loro bastava così.
Dopo un attimo anche Michele posò il telefono sul bordo del tavolo. Sembrava gli avessero chiesto di togliere il casco da astronauta.
Qui da noi, Teresa versava la spremuta, abbiamo degli orari. Pranzo alluna, cena alle sette, sveglia non oltre le nove. Poi potete girare come vi pare.
Non oltre le nove… mugugnò Michele. E se di notte voglio vedere un film?
Di notte si dorme, disse Mario, senza staccare gli occhi dal piatto.
Teresa sentì crescere una tensione sottile nellaria. Prese liniziativa:
Non siamo mica in una caserma. Solo che se si dorme fino a pranzo, la giornata vola e qui abbiamo il fiume, il bosco, le biciclette.
Io voglio andare al fiume! disse Martina subito. E in bici… e poi, una sessione foto in giardino.
La parola sessione fotografica la divertì.
Ottimo, Teresa annuì. Prima di tutto, però, aiutiamo un po. Bisogna sarchiare le patate, annaffiare le fragole. Non siamo mica allhotel.
Nonna, siamo in vacanza… cominciò Michele, ma Mario lo fissò.
In vacanza, non in una spa.
Michele sospirò ma restò zitto. Martina sotto il tavolo fece scivolare il piede contro la scarpa del fratello e lui sorrise appena.
Dopo mangiato, i ragazzi andarono in camera a sistemare le cose. Teresa li raggiunse dopo mezzoretta. Martina già aveva messo le magliette sullo schienale della sedia, disposto il beauty-case e il caricabatterie, sul davanzale una schiera di boccette. Michele era seduto sul letto, lo sguardo perso nello smartphone.
Ho cambiato la biancheria, avvisò Teresa. Se non va bene, ditemelo.
Tutto ok, nonna, senza staccare gli occhi dal telefono.
Quel ok le punse il cuore. Ma annuì soltanto.
Stasera facciamo la grigliata, annunciò. Intanto, quando vi siete riposati, venite nellorto. Unoretta di lavoro.
Ok, fece Michele.
Lei uscì, richiuse la porta e rimase nel corridoio. Dalla stanza proveniva una risata bassa di Martina, stava parlando in videochiamata. Teresa si sentì improvvisamente vecchia. Non per la schiena, ma perché la vita dei nipoti scorreva su un piano invisibile e nuovo, lontano dal suo.
Va bene, si disse. Piano piano capiremo. Limportante è non soffocare nessuno.
Verso sera, quando il sole calava, erano tutti e tre nellorto. La terra ancora tiepida, i fili secchi sotto i piedi. Mario spiegava con pazienza dovera lerba e dovera la carota.
Questa la togli, questa la lasci, istruiva a Martina.
E se sbaglio? lei si accoccolò, facendo una smorfia.
Nessun problema, intervenne Teresa. Non siamo in una cooperativa, sopravviviamo.
Michele stava più in là, appoggiato alla zappa, lanciando occhiate verso casa. Sul suo comodino lampeggiava il monitor acceso.
Non hai perso il telefono? chiese Mario.
Lho lasciato in camera, borbottò Michele.
Questa ammissione diede a Teresa una gioia inaspettata.
I primi giorni scorsero in un equilibrio ragionevole. La mattina lei bussava per svegliarli, loro borbottavano, si giravano dallaltra parte, ma alle nove e mezza erano a colazione. Aiutavano un po in casa, poi ciascuno per i fatti suoi: Martina si faceva servizi fotografici con Minù e le fragole, Michele leggeva, ascoltava musica con gli auricolari o usciva in bici.
Le regole erano fatte di dettagli. I telefoni restavano lontani dal tavolo. Di notte, silenzio in tutta la casa. Solo una volta, la terza notte, Teresa si svegliò per un risolino nel corridoio. Guardò lorologio: le dodici e mezza.
Aspetto o vado? pensò nel buio.
La risata si ripeté, poi il rumore di un audio WhatsApp. Sospirò, mise la vestaglia e bussò.
Michè, non dormi?
Silenzio immediato.
Un attimo sussurrò.
Aprì la porta, gli occhi rossi per la luce, i capelli arruffati, il telefono stretto in mano.
Come mai sveglio? chiese Teresa, cercando di mantenere la voce calma.
Sto… guardando un film.
A questora?
Ho fatto un patto coi miei amici, guardiamo insieme e commentiamo…
La nonna immaginò ragazzi, in mille altri appartamenti, tutti svegli a commentare film via chat.
Sentiamo disse , a me non dispiace che guardi un film. Ma se di notte non dormi, di giorno sei uno zombie e non ti tiro fuori nellorto in nessun modo. Facciamo così: fino a mezzanotte va bene. Dopo, basta.
Si accigliò.
Ma loro…
Loro stanno in città, tu qui. Qui comandiamo noi. Non ti chiedo di andare a letto alle nove.
Si grattò la testa.
Ok, cedette. Fino a mezzanotte.
E la porta la chiudi, che la luce dà noia. E volume basso.
Tornando nel letto, Teresa si chiese se avesse esagerato con la gentilezza. Una volta sua madre era severa. Ma i tempi erano altri.
I battibecchi spuntarono per dettagli. Un giorno di caldo torrido, Teresa chiese a Michele di aiutare Mario a spostare le assi da legno in cortile.
Vengo subito, disse senza alzare la testa dal telefono.
Dopo dieci minuti era ancora lì, le assi immobili.
Michele, il nonno fa da solo, Teresa sentì la voce diventare più tagliente.
Finisco di scrivere, borbottò infastidito.
Ma che scrivi che sembra finisca il mondo se non rispondi? sbottò.
Lui alzò la testa.
È importante replicò secco. Stiamo facendo un torneo.
Un torneo? Teresa non capì.
Su un gioco! A squadre. Se ne manco io, la squadra perde.
Era pronta a dire che cerano cose più importanti, ma vide le spalle tese e le labbra strette.
Quanto ti serve ancora?
Venti minuti.
Ok, fra venti minuti si va. Daccordo?
Annuì e tornò al telefono. Dopo venti minuti, Teresa lo trovò già con le scarpe.
Sto uscendo, anticipò lui.
Questi piccoli accordi le davano limpressione di avere ancora un po di controllo. Ma bastò poco per rompere gli equilibri.
Successe a metà luglio. Dovevano andare al mercato a comprare piantine e generi alimentari. Mario aveva già detto che serviva aiuto con le buste pesanti e per lasciare poco la macchina incustodita.
Michele, domani vai con il nonno, disse Teresa a cena. Io resto con Martina a fare la marmellata.
Non posso, ribaltò subito.
Perché?
Ho appuntamento con i miei amici in città. Cè un festival, musica, street food… guardò Martina, che si limitò a scrollare le spalle. Lavevo detto!
Lei non aveva memoria di questa comunicazione. Forse sì, forse no. Tanti discorsi, negli ultimi giorni.
In che città? Mario si rabbuiò.
Qui vicino. Si va in treno, vicino alla stazione.
Quel vicino non piacque al nonno.
Il percorso lo sai?
Ma ci sono tutti. E ho sedici anni ormai.
Quel sedici era come un lasciapassare.
Con tuo padre si era daccordo che non ti muovevi da solo, disse Mario.
Ma non sono solo! Sono con gli amici.
Peggio.
Laria densa di tensione, Marinta finì la sua carbonara e spinse il piatto avanti.
Sentite cercò di intercedere Teresa . Magari andate voi oggi pomeriggio, e domani lui va dai suoi?
Il mercato cè solo domani, tagliò corto Mario. E mi serve un aiuto. Da solo non ce la faccio.
Posso venire io, propose Martina.
Ma sei con Teresa, rispose automaticamente il nonno.
Ce la faccio benissimo, assicurò Teresa. La marmellata può aspettare. Martina può andare con te.
Mario la fissò. Stupore, gratitudine, un che di cocciuto negli occhi.
E lui? accennò a Michele.
Io… iniziò Michele.
Ma ti rendi conto che qui non siamo in città? la voce di Mario era ormai dura. Le cose sono diverse. E comunque la responsabilità è nostra.
Qualcuno deve sempre rispondere per me, sbottò Michele. Possibile che non posso mai decidere da solo?
Seguì un silenzio pesante. Teresa si sentì stringere dentro. Avrebbe voluto dire che lo capiva, che anche lei aveva desiderato libertà, ma la voce che sentì fu fredda, estranea:
Finché sei ospite nostro, rispetti le nostre regole.
Michele spinse indietro la sedia.
Va bene, dichiarò secco. Non vado da nessuna parte.
Uscì sbattendo la porta. Di sopra un tonfo: forse il rucksack gettato a terra, o il letto su cui si era lasciato cadere.
La sera fu pesante. Martina provò a sdrammatizzare con storie di influencer, ma la risata era finta. Mario zitto, occhi sul piatto. Teresa lavava i piatti pensando a quelle nostre regole che martellavano in testa come cucchiaio nel bicchiere.
Quella notte il silenzio era strano. Di solito la casa respirava: una tavola che scricchiolava, un topolino in soffitta, una macchina che passava. Ora: nulla. Nessuna luce filtrava dalla stanza di Michele.
Almeno dormirà, sperò Teresa, girandosi dallaltra parte.
La mattina, scendendo in cucina, vide che erano le nove meno un quarto. Martina sedeva già a tavola assonnata, Mario leggeva il giornale sorseggiando il caffè.
Michele dovè? chiese.
Dorme, credo, rispose Martina.
Salì piano piano, bussò.
Michè, su.
Nessuna risposta. Aprì la porta. Il letto era stato rifatto alla meno peggio, tipico suo quando non voleva farsi riprendere, ma di lui niente. Sullo sgabello la felpa, sul tavolo il caricabatterie, il telefono assente.
Le si gelò qualcosa dentro.
Non cè, disse scendendo.
Come non cè? Mario balzò in piedi.
Il letto vuoto. Il cellulare lha portato via.
Magari è fuori, provò Martina.
Cercarono ovunque. Niente in giardino, né in garage. La bici era al suo posto.
Il regionale parte alle otto e quaranta, sussurrò Mario, fissando la strada.
Teresa sentì le mani diventare fredde.
Magari è solo con ragazzi del paese…
Ma non li conosce.
Martina sfiorò il telefono.
Gli scrivo.
Le dita scorrevano veloci. Dopo un minuto, alzò lo sguardo.
Non visualizza. Solo una spunta.
Solo una spunta non diceva nulla a Teresa, ma dal viso preoccupato di Martina capì che era male.
Che facciamo? chiese a Mario.
Lui rifletté.
Vado alla stazione, vedo se qualcuno lha visto.
Magari non ce nè bisogno, azzardò Teresa. Forse…
Se ne è andato senza parola. È grave.
Si vestì di corsa, prese le chiavi.
Tu resta qui disse. Nel caso torni. Martina, se ti scrive o chiama, avvisa subito.
Appena la macchina uscì dal cancello, Teresa rimase in veranda, strofinando un canovaccio tra le mani. In testa si affastellavano immagini: Michele solo alla fermata, Michele che prende il treno, che qualcuno lo urta, che smarrisce il cellulare… Si obbligò a pensare con calma.
Tranquilla, non è più un bimbo. Non è stupido.
Unora passò. Poi unaltra. Martina controllava spesso il telefono scuotendo il capo.
Niente, diceva. Neanche online.
Alle undici Mario tornò. Sguardo tirato.
Nessuno lha visto, disse. Sono stato anche davanti alla stazione. Nulla.
Forse è andato davvero in città, sussurrò Teresa. Al festival.
Senza soldi, senza niente?
Ha la carta, spiegò Martina. E tutto dentro il telefono.
Si guardarono. Per loro i soldi erano al portafoglio, per i ragazzi in quello spazio digitale.
Meglio chiamare tuo padre? propose Teresa.
Fallo, assentì Mario. Prima o poi lo verrebbe a sapere.
La telefonata fu pesante. Suo figlio allinizio tacque, poi si arrabbiò, poi chiese perché non avevano controllato. Teresa si sentì solo stanca. Dopo, si lasciò cadere sulla sedia, il volto tra le mani.
Nonna, mormorò Martina, non è davvero scomparso. Si è solo offeso.
Si è offeso ed è andato via, rispose Teresa. Come se fossimo i nemici.
La giornata sembrò infinita. Si costrinsero a fare qualcosa: Martina aiutava a preparare la marmellata, Mario trafficava in garage, ma tutto fatto per inerzia. Il telefono di Martina restava muto.
Verso sera, quando il sole sfiorava le chiome dei pioppi, un rumore in veranda fece sobbalzare Teresa. Il cancello cigolò. E, ecco, apparve Michele.
Era ancora con la solita maglietta, i jeans sporchi di polvere, lo zaino sulle spalle. Cuore col volto stanco, ma sano.
Ciao, disse piano.
Teresa si alzò. Per un attimo avrebbe voluto abbracciarlo forte, ma si trattenne. Domandò soltanto:
Dove sei stato?
In città, abbassando lo sguardo. Al festival.
Da solo?
Con i ragazzi. O quasi. Sono del paese vicino, ci siamo messi daccordo.
Mario uscì pulendosi le mani su uno straccio.
Hai idea di cosa abbiamo passato qui… cominciò, ma la voce tremava.
Ho scritto, si affrettò Michele. Poi non avevo più campo. E il cellulare si è scaricato. Ho dimenticato il caricatore.
Martina accanto a lui, il telefono stretto.
Ti ho scritto anchio. Sempre una spunta!
Non lho fatto apposta, li guardò uno dopo laltro. Solo… Pensavo che avrei chiesto, mi avreste detto di no. E ormai avevo promesso. E…
Si fermò.
E hai deciso di non chiedere affatto, concluse Mario.
Tornarono in silenzio, ma stavolta tra loro cerano anche fatica e sollievo.
Dai, entra… disse Teresa. Mangia qualcosa.
Obbedì. Lei gli mise davanti una minestra, pane, un bicchiere di succo. Michele mangiò vorace, come se fosse a digiuno da un giorno.
È tutto carissimo lì, mugugnò. Questi vostri food truck…
Il “vostri” suonò strano, ma Teresa lasciò correre.
Dopo, tornarono in veranda, laria ormai fresca.
Sentiamo, Mario si sedette. Tu vuoi la tua libertà, labbiamo capito. Ma noi rispondiamo per te. Finché stai qui, non possiamo far finta di nulla.
Michele faceva scena muta.
Se ti serve andare da qualche parte, proseguì Mario, lo dici per tempo. Almeno un giorno prima. Ci sediamo, ne discutiamo: come vai, come torni, chi ti accompagna. Se siamo daccordo, vai. Altrimenti, no. Ma sparire così, mai più.
E se non date il permesso? chiese Michele.
Allora ti arrabbi ma rimani, intervenne Teresa. E noi ci arrabbiamo ma ti portiamo con noi al mercato.
Lui la fissò. Cera del risentimento, della stanchezza, e anche confusione.
Non volevo che vi preoccupaste, disse. Solo… volevo decidere io.
Decidere da soli va bene, replicò lei. Ma decidere da soli vuol dire anche considerare chi si preoccupa per te.
A quelle parole si stupì. Non suonavano come una predica, ma come una semplice verità.
Lui sospirò.
Va bene. Ho capito.
Unaltra cosa, aggiunse Mario. Se il telefono sta per scaricarsi, cerchi una presa. In un bar, in stazione, dove vuoi. E la prima cosa: chiami, mandi un messaggio. Anche se pensi che ci arrabbiamo.
Daccordo, annuì Michele.
Restarono un po in silenzio. Da dietro il recinto abbaiò un cane. Nellorto Minù lanciò un miagolio.
E al festival comera? chiese Martina.
Così così, rispose. Musica niente di che, ma da mangiare buono.
Mi mostri le foto?
Il telefono morto.
Uffa! lei sbatté le mani. Né prove, né contenuto!
Lui fece una smorfia, ma il sorriso tornò, lieve, genuino.
Dopo quel giorno, in casa si respirava qualcosa di leggermente diverso. Le regole rimasero, ma si fecero più morbide. Quella sera, Teresa e Mario si sedettero e scrissero una lista in cucina: sveglia non più tardi delle dieci, aiutare due ore al giorno, avvisare per ogni uscita o viaggio, niente telefoni a tavola. Attaccarono il foglio sul frigo.
Sembra il campo estivo, rise Michele.
Campo famigliare, ribatté Teresa.
Martina volle aggiungere le sue regole.
Voi, niente chiamate ogni cinque minuti se sono al fiume. E non entrate in camera senza bussare.
Ma non entriamo mai, sgranò gli occhi Teresa.
Mettilo per iscritto, la difese Michele. Così è giusto.
Aggiunte due righe. Mario borbottò ma firmò anche lui.
Col tempo, nacquero anche attività condivise senza imposizioni. Una sera Martina rispolverò un vecchio gioco da tavolo che era stato un regalo dei genitori anni addietro.
Facciamo una partita? propose.
Da piccolo ero fortissimo, sorrise Michele.
Mario finse di avere da fare in garage, ma poi si sedette al tavolo. Scoprì di ricordare le regole meglio di tutti. Si rise, si litigarono le pedine, si imbrogliò anche. I cellulari restavano a lato, dimenticati.
Altra attività condivisa: cucinare assieme. Una sera, esausta dal dover sempre decidere cosa fare da cena, Teresa sbottò:
Sabato cucinate voi. Io solo vi dico dove trovare gli ingredienti.
Noi?! insorsero i nipoti in coro.
Voi. Anche solo una pasta col sugo, ma che sia decente.
Ci si misero dimpegno: Martina trovò sul telefono una ricetta zingara, Michele tagliò verdure discutendo la tecnica con lei. Profumo di cipolla e aromi in cucina, piatti dappertutto, ma tutto aveva unaria allegra, di festa.
Basta che poi non ci facciate passare la notte in bagno, mugugnò Mario, ma si fece fuori tutto.
Nellorto fu trovato equilibrio. Invece di obbligarli ogni giorno, Teresa assegnò agli ospiti angoli personali.
Questa fila di fragole è tua, disse a Martina. Questa di carote è di Michele. Fate come credete: se non le curate, poi non dite che non cresce nulla.
Un esperimento, disse Michele.
Controllo e variabile! fece Martina.
Alla fine Martina andava ogni sera a vedere le sue fragole, le fotografava e postava con la didascalia il mio orto. Michele bagnò un paio di volte le sue carote e poi le dimenticò. Alla raccolta, la cesta di Martina era piena, quella di Michele deprimente.
Che ne dici, la morale qual è? chiese Teresa.
Che lorto non fa per me, dichiarò serio Michele.
Risero, senza tensioni.
A fine estate, la casa aveva trovato un suo ritmo. Colazione insieme, pomeriggi tra i fatti propri, la sera tutti attorno allo stesso tavolo. Ogni tanto Michele si attardava ancora col telefono, ma a mezzanotte la luce era spenta, e Teresa, passando davanti alla stanza, sentiva solo il respiro tranquillo di suo nipote. Martina poteva uscire con lamica del paese, ma lasciava sempre un messaggio.
Certo, qualche litigio restava: sulla musica, la giusta dose di sale, la tempistica dei piatti. Ma non erano più guerre generazionali, più una normale convivenza.
Lultima sera, Teresa preparò la torta di mele. La casa profumava di dolce, in veranda entrava la brezza. Sul tavolo, zaini e vestiti già piegati.
Facciamo una foto? propose Martina dopo il dolce.
Sempre con sti cosi… Mario bofonchiò, poi tacque.
Solo per noi, niente social, promise Martina.
Andarono in giardino. Il sole tramontava dietro i tetti. Martina mise il telefono su un secchio, attivò lautoscatto, corse dagli altri.
La nonna in mezzo, disse. Nonno a destra, Michele a sinistra.
Si misero vicini, un po impacciati. Michele la sfiorò col gomito, Mario si accostò di più, Martina li abbracciò.
Sorridete! ordinò.
Scattò la foto, due volte.
Ecco fatto! Primavera al display e sorrise. Bellissima.
Fammela vedere, chiese Teresa.
Sul piccolo schermo sembravano goffi: lei con il grembiule, Mario con la camicia vecchia, Michele spettinato, Martina in t-shirt sgargiante. Ma avevano qualcosa di simile, di famigliare.
Questa la stampo, vero? chiese Teresa.
Certo, annuì Martina. Te la mando.
Ma come faccio a stamparla dal telefono? Teresa era spaesata.
Ti aiuto io promise Michele. Vieni a trovarci, lo facciamo insieme. O te la porto io a ottobre.
Teresa annuì. Si sentì quieta. Non perché avessero imparato a capirsi sempre. Forse avrebbero litigato ancora molte volte. Ma pensava che ora, fra le regole e la libertà, esistesse finalmente una stradina percorribile.
Tardi, la notte, uscì in veranda. Il cielo era scuro, poche stelle sopra le case. Tutto era tranquillo. Si sedette, abbracciandosi le ginocchia.
Mario la raggiunse, si accomodò accanto.
Domani partono, disse.
Domani, confermò lei.
Restarono in silenzio.
Alla fine sorrise Mario , è andata bene.
Anche meglio del previsto, rispose Teresa. E credo che un po abbiano imparato qualcosa.
Ma non si sa chi impara di più, ironizzò lui.
Lei sorrise. Nessuna luce accesa nella stanza di Michele. In quella di Martina neppure. Probabilmente il telefono era di nuovo in carica, pronto per affrontare un altro giorno.
Teresa chiuse la porta dingresso, passando accanto al frigorifero locchio cadde sulla lista delle regole, le estremità piegate, la penna lasciata lì vicino. Passò il dito sulle firme, pensando che forse lestate prossima l’avrebbero cambiata. Magari aggiunto qualcosa, tolto altro. Ma il succo sarebbe rimasto.
Spense la luce della cucina e salì le scale, sentendo che la casa respirava piano, accogliendo tutto ciò che era stato quellestate e lasciando spazio per il nuovo.






