Ricetta di Famiglia Tradizionale

**Ricetta di Famiglia**

«Davvero vuoi sposare una persona conosciuta su internet?» chiese Luisa Romano, fissando la futura nuora con lo stesso sospetto con cui avrebbe esaminato una banconota falsa. Il suo sguardo, pesante e giudicante, scivolò sui capelli semplici di Beatrice, sul vestito modesto. «Ma non vi conoscete nemmeno bene!»

Beatrice sentì un brivido lungo la schiena. Erano sedute nella piccola cucina del bilocale dove era cresciuto Matteo. La stanza era minuscola ma accogliente, lucida fino allultimo centimetro. Profumava di vaniglia e di parquet antico.

«Mamma, basta» intervenne Matteo, stringendo le spalle di Beatrice. «Non ci siamo conosciuti su internet, ma in un club di lettura. Abbiamo solo iniziato a parlare online. Sei mesi! E Beatrice è fantastica!»

La loro storia era cominciata così: Beatrice teneva un piccolo blog su libri dimenticati. Matteo, ingegnere informatico con una passione per i classici, aveva trovato un suo post su I Fratelli Karamazov. La discussione era continuata in privato, poi in lunghe telefonate. Scoprirono di ridere delle stesse battute, di amare le stesse coseil silenzio, lonestà, lodore della polvere sui libri. Il primo incontro davanti alla statua di Dante non era stato un appuntamento, ma la naturale continuazione di un dialogo. Con lei, Matteo si sentiva a casa. Lei, invece, vedeva in lui un uomo timido, con un mondo interiore profondo.

«Fantastica» sbuffò Luisa, facendo tintinnare il cucchiaino nella tazza di porcellana con troppa forza. «Eppure viene da unaltra città, non ha lavoro qui, e poichi sa cosa le passa per la testa? Ho cresciuto mio figlio, lho educato, e adesso arriva una sconosciuta»

Beatrice serrò i denti ma non rispose.

Aveva capito: la suocera non la vedeva come una persona, ma come una minacciaunestranea che voleva portarle via il figlio. Luisa era una donna fatta di regole ferree e di una lotta senza compromessi contro ogni debolezza. Dopo la morte del marito, cinque anni prima, aveva stretto ancora di più il cerchio protettivo attorno allunico figlio.

I primi tentativi di avvicinarsi erano falliti.

Quando Beatrice, mettendoci tutto limpegno, aveva preparato una crostata di mele con cannella e anice, «come faceva sua nonna», Luisa, assaggiando un minuscolo pezzetto, aveva borbottato:

«Troppo dolce. Da noi non si fa così.»

Quando aveva offerto aiuto per le pulizie, la risposta era stata secca:

«No, grazie. Io so dove sta tutto. Altrimenti poi ci metto sei mesi a ritrovare le cose.»

Rimasti soli nella stanza di Matteo, tra modellini di navi e libri di fisica, lui aveva allargato le braccia:

«Non prenderla a cuore. Mamma è fatta così. Ti vuole bene, ma è spinosa come un riccio.»

«Sto provando» sussurrò Beatrice, guardando fuori dalla finestra i balconi tutti uguali. «Ma vivere in una guerra fredda è pesante, e non possiamo permetterci di andarcene presto.»

Ma Beatrice non si arrendeva. Era una di quelle persone che credono che ogni fortezza abbia una porta segreta.

Una mattina di sabato, mentre Luisa puliva gli scaffali e sfogliava un vecchio album, Beatrice chiese il permesso di avvicinarsi. Notò che la suocera si fermava su una foto ingiallita: lei, giovane e sorridente, accanto a un uomo alto, con i capelli scuri.

«Chi è?» chiese con delicatezza.

Luisa trasalì, come colta in flagrante.

«Mio fratello, Andrea» sospirò, e nel suo tono non cera più la solita durezza, ma una stanchezza malinconica. «Ci siamo litigati. Ventanni fa, forse di più.»

«Per cosa?» osò chiedere Beatrice, temendo di rompere il fragile momento.

«Per una stupidaggine. Leredità di un pezzo di terra. Entrambi testardi come muli. Lui mi disse parole brutte, io risposi male. E basta. Viviamo nella stessa città, ma come su pianeti diversi.»

Beatrice tacque, ma nella sua mente già nasceva un piano. Ricordò che Matteo aveva accennato al fatto che sua madre era diventata ancora più chiusa dopo quel litigio.

Una settimana dopo, incontrando la chiacchierona vicina, zia Carla, Beatrice «casualmente» parlò della famiglia di Matteo.

«Ah, Luisa e suo fratello!» esclamò la donna. «Erano inseparabili! Andrea abita nel quartiere nuovo, quello oltre il fiume. Lanno scorso è stato male, ha avuto un intervento al cuore. I suoi figli sono a Milano, poveretto, è solo.»

Quella sera, mentre Matteo leggeva e Luisa lavorava a maglia, Beatrice iniziò con cautela:

«Luisa, sapevi che suo fratello lanno scorso ha avuto un intervento al cuore?»

I ferri si fermarono. La suocera impallidì:

«Cosa?! Come lo sai?»

«Me lha detto zia Carla oggi. Dice che è solo, i figli sono lontani, aveva bisogno di aiuto»

Luisa non rispose. Andò in camera sua senza una parola. Beatrice la sentì camminare avanti e indietro per ore. La serata trascorse in un silenzio opprimente.

Il mattino dopo, Luisa, che di solito dormiva fino a tardi, era già in piedi.

«Vado da unamica» borbottò, indossando il cappotto buono.

Tornò la sera. Gli occhi erano rossi, ma non cera più la solita freddezza. Sulla faccia, unespressione nuova, fragile. Vedendo Beatrice in cucina, si fermò sulla soglia:

«Grazie» disse, a fatica. Poi se ne andò, incapace di aggiungere altro.

Più tardi si seppe che aveva preso lautobus ed era andata a casa di Andrea. Aveva atteso mezzora davanti al portone, indecisa. Poi aveva suonato. Lui aveva aperto, si erano guardati in silenziodue caparbi incanutitipoi si erano abbracciati, piangendo, ricordando linfanzia, ridendo dellassurdità del loro rancore davanti al tempo e alla malattia.

«Hai ragione» disse improvvisamente Luisa qualche giorno dopo, sorseggiando il tè. Parlava piano, fissando il vapore che saliva dalla tazza. «A volte basta fare un passo. Ventanni di silenzio per un fazzoletto di terra Che stupidaggine.»

Da allora, cominciò a trattare Beatrice con più dolcezza. Non più come unintrusa, ma come una di famiglia. Una volta, mentre sistemava la dispensa, chiese sottovoce:

«Bea quella crostata, quella con lanice. Me la insegni? A Matteo pare sia piaciuta.»

Beatrice, cercando di nascondere il tremore delle mani, tirò fuori la farina. E così, in quella cucina stretta, impastarono insieme. Per una volta, Luisa non diede consigli. Affettarono le mele, stesero la pasta, infornarono.

«Sai» disse Luisa, asciugandosi le mani sul grembiule, «mio fratello è così felice che ci siamo riconciliati. Mi ha chiesto chi mi avesse spinto a venire.»

Beatrice sorrise, senza parlare.

«Allora» disse Matteo, rientrando dal lavoro e trovandole insieme in cucina. «Sembra che abbiate cucinato qualcosa insieme?»

Beatrice si appoggiò alla sua spalla e annuì. Lo sape

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