Rimasi orfana a sei anni mentre mia madre dava alla luce mio fratello minore.

Rimasta orfana a sei anni, mentre mia madre dava alla luce il mio fratellino.
Me lo ricordo bene, quel giorno. Eravamo già due bambine, e la mamma aspettava la terza. Ricordo le sue urla, le vicine accorse, il loro pianto, finché la sua voce si spense

Perché non chiamarono un medico? Perché non la portarono in ospedale? Ancora oggi non lo capisco. Forse il paese era troppo isolato, le strade impraticabili? Non lo so, ma di certo ci sarà stato un motivo. La mamma morì di parto, lasciandoci sole con la minuscola Oliva appena nata.

Papà, perso senza di lei, non aveva parenti lì al Nordtutti erano al Sude nessuno poteva aiutarci. Le vicine gli suggerirono di risposarsi in fretta. Non era passata neanche una settimana dal funerale, e già aveva una promessa sposa.

Gli dissero di chiedere la mano della maestra, una donna di buon cuore. E lui lo fece. Lei accettò. Forse le piaceva? Era giovane, bello: alto, slanciato, con occhi neri come quelli di un gitano. Avrebbe fatto girare la testa a chiunque.

Comunque sia, quella sera papà tornò con la fidanzata per presentarcela.
“Vi ho portato una nuova mamma!”

Sentii un groppo in gola, unamarezza che il mio cuore di bambina non poteva accettare. La casa aveva ancora il profumo della mamma. Indossavamo vestiti che lei aveva cucito e lavato con le sue mani, e lui già ci presentava una sostituta. Ora, col tempo, lo capisco, ma allora lo odiai, e con lui anche quella donna. Chissà cosa pensò di noi, ma entrò a braccetto con papà, entrambi un po alticci.

“Chiamatemi mamma, e resto,” disse lei.
Io, rivolta alla sorellina, sussurrai:
“Non è la nostra mamma. La mamma è morta. Non chiamarla così!”
La piccola scoppiò in lacrime, e io, da maggiore, aggiunsi:
“No, non ti chiameremo mamma! Sei una straniera!”
“Che sfacciatella! Allora non resto con voi.”

La maestra uscì dalla porta, e papà fece per seguirla. Si fermò sulla soglia, però, tornò indietro, ci abbracciò e scoppiò in un pianto dirotto. Piangemmo tutti, persino la piccola Oliva nel suo lettino. Piangevamo la mamma, lui la moglie amata, ma nelle nostre lacrime cera più dolore che nelle sue. Le lacrime degli orfani sono uguali in tutto il mondo, e la mancanza di una madre si sente in ogni lingua. Fu lunica volta che vidi mio padre piangere.

Rimase con noi altre due settimane. Lavorava nel taglio del legname, la sua squadra doveva andare in montagna. Che fare? Nel paese non cera altro lavoro. Si accordò con una vicina, le lasciò qualche soldo per il cibo, affidò Oliva a unaltra e partì.

E così restammo sole. La vicina veniva, cucinava, riscaldava la casa e se ne andava. Aveva le sue cose da fare. Noi, invece, passavamo le giornate nella solitudine: freddo, fame e paura.

Il paese si mise a cercare una soluzione. Ci serviva una donna che salvasse la famiglia. Non una qualunque, ma una speciale, capace di accettare figli non suoi. Dove trovarla?

Nei pettegolezzi, si seppe che cera una giovane, parente lontana di una paesana, lasciata dal marito perché non poteva avere figli. O forse ne aveva avuti, ma erano morti, e Dio non gliene aveva dati altrinessuno lo sapeva con certezza. Trovarono lindirizzo, le scrissero, e attraverso la zia Mafalda, chiamarono Gina per noi.

Papà era ancora in montagna quando Gina arrivò una mattina presto. Entrò così silenziosamente che non la sentimmo. Mi svegliai per il rumore in cucina: qualcuno muoveva le stoviglie, e nellaria odore di frittelle!

Di nascosto, sbirciavamo dalla fessura della porta. Gina lavorava tranquilla: lavava i piatti, spazzava il pavimento. Poi si accorse che eravamo sveglie.
“Venite, biondine, mangiamo!”
Mi fece ridere che ci chiamasse così. In effetti, eravamo bionde con gli occhi azzurri, come la mamma.

Con un po di coraggio, uscimmo dalla stanza.
“Sedetevi a tavola!”
Non ce lo fece dire due volte. Mangiammo le frittelle e subito ci fidammo di lei.
“Chiamatemi zia Gina.”

Poi ci lavò, ci vestì con abiti puliti e se ne andò. Ma il giorno dopo tornò! Sotto le sue mani, la casa si trasformò: pulita e ordinata, come ai tempi della mamma. Passarono tre settimane, papà ancora in montagna. Zia Gina si prendeva cura di noi perfettamente, ma restava un po distante, forse per non farci affezionare troppo. Specialmente Violetta, che allora aveva tre anni, si era già affezionata. Io ero più diffidente. Zia Gina era seria, poco incline ai sorrisi. La mamma, invece, era allegra, cantava, amava ballare e chiamava papà “Giacomino”.

“Quando torna tuo padre, magari non mi accetterà. Comè?”
Imbarazzata, lo descrissi così bene che rischiai di rovinare tutto! Dissi:
“È fantastico! Tranquillo! Quando beve, si addormenta subito!”
Zia Gina si incuriosì:
“Beve spesso?”
“Sì!” rispose la piccola, ma io la strattonai:
“Solo alle feste!”

Quella sera, zia Gina se ne andò più serena. Papà tornò di notte. Entrò in casa e si guardò intorno stupito:
“Pensavo foste allo sbando, invece vivete come principesse!”

Gli raccontammo tutto. Si mise a pensare, poi disse:
“Bene, vediamo questa nuova padrona di casa. Comè?”

“Bellissima,” si affrettò a dire Violetta, “fa le frittelle e racconta storie.”

Ora, ripensandoci, sorrido. Gina non era affatto una bellezza: magra, piccola, dimessa. Ma i bambini sanno riconoscere la vera bellezza di una persona.

Papà rise, si cambiò e andò da zia Mafalda, che abitava vicino.

Il giorno dopo, tornò con Gina. Si era svegliato presto per andare a prenderla, e lei rientrò in casa timidamente, come se temesse qualcosa.

Dissi a Violetta:
“La chiamiamo mamma?”

E insieme gridammo:
“Mamma, è arrivata la mamma!”

Papà e Gina andarono a riprendere Oliva. Per lei, Gina divenne davvero una madre. Era attenta, premurosa. Oliva non ricordava la mamma. Violetta laveva dimenticata. Io e papà, invece, no. E una volta lo sentii, mentre guardava la foto di mamma:
“Perché te ne sei andata così presto? Mi hai portato via tutta la gioia.”

Presto lasciai casa con papà e la matrigna. Dalla quarta elementare andai in collegionel paese non cerano scuole grandi. Dopo la terza media, mi iscrissi a una scuola professionale. Avevo sempre voluto scappare da casa, ma perché? Gina non mi fece mai del male, mi trattava come una figlia, ma io ero sfuggente. Forse ero solo ingrata?

Scelsi la professione di ostetrica, non a caso. Non posso tornare indietro e salvare la mamma, ma posso proteggere qualcunaltra.

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