Alla finestra sta calando la sera, ma mamma non torna. Giulia, ruotando le ruote della sua carrozzina, raggiunge il tavolo, afferra il telefono e compone il numero di sua madre. “Il numero chiamato è momentaneamente non raggiungibile o spento,” risponde una voce metallica. La bambina guarda sconcertata il telefono, poi lo spegne ricordando che ha poco credito. Mamma è uscita per fare la spesa, ma non è tornata. Mai successo. Non si allontanava mai a lungo, sua figlia è disabile dalla nascita e non può camminare. Si muove su una sedia a rotelle, e oltre alla mamma, non ha altri parenti. Giulia ha sette anni, non ha paura a restare sola in casa, ma mamma dice sempre dove va e quando ritornerà. “Doveva andare al supermercato più lontano per risparmiare. Ci andavamo spesso insieme. È un po’ distante, ma non troppo, con un’ora ci andavi e tornavi,” guarda l’orologio. “Sono già quattro ore. Ho fame.” Si dirige verso la cucina. Scalda l’acqua per il tè, prende una polpetta dal frigo. Mangia, beve il tè. Mamma non torna. Non resiste, riprende il telefono e chiama: “Il numero chiamato è momentaneamente non raggiungibile o spento,” risponde ancora il messaggio registrato. Si sposta sul suo letto, infilandosi il telefono sotto il cuscino. Non spegne neanche la luce, senza mamma è troppo pauroso. Rimane sveglia a lungo, ma alla fine si addormenta.
Si sveglia quando un raggio di sole filtra dalla finestra. Il letto di mamma è rifatto. “Mamma!” grida verso l’ingresso. Silenzio. Prende il telefono, chiama. La stessa voce metallica risponde. La paura le chiude la gola, le lacrime zampillano dagli occhi.
Costantino tornava dal bar. Lì ogni mattina vendevano brioche appena sfornate. Per lui e sua madre ogni giorno iniziava così: lei preparava la colazione, lui andava a prendere le brioche. Trent’anni, ma ancora solo. Donne e ragazze lo ignoravano: non bello, mingherlino, malaticcio. I problemi di salute lo perseguitavano sin dalla nascita. Servivano cure costose, ma la mamma l’aveva cresciuto da sola. La diagnosi definitiva arrivò da adulto: infertilità. Si era rassegnato a non sposarsi mai. Nell’erba lampeggiò un vecchio telefono rotto. I telefoni e i computer erano la sua passione e il suo lavoro. Programmava e faceva il blogger. Aveva cellulari nuovissimi, ma per pura curiosità professionale raccolse quello schiacciato, come se un’auto ci fosse passata sopra, scagliandolo lontano. “Chissà cosa è successo?” pensò, infilandolo in tasca. “Lo guardo a casa.”
Dopo colazione estrasse la SIM dal telefono trovato e la inserì in uno dei suoi. I numeri salvati erano perlopiù di ospedali, l’INPS e simili, ma il primo contatto era “Figlia”. Rifletté un attimo poi chiamò quel numero. “Mamma!” echeggiò una vocina felice. “Io… non sono tua madre,” borbottò Costantino. “Dov’è mamma?” “Non lo so. Ho trovato un telefono rotto, ho messo la SIM e ho chiamato.” “Mia mamma è sparita,” singhiozzò la voce. “Ieri è andata a fare la spesa e non è tornata.” “E il tuo papà? I nonni?” “Non ho papà né nonni. Ho solo mamma.” “Come ti chiami?” capì che quel bambino aveva bisogno d’aiuto. “Giulia.” “Io sono zio Costantino. Giulia, esci di casa e dì ai vicini che sei sola.” “Non posso uscire, non cammino. E nell’appartamento accanto non abita nessuno.” “Aspetta, cosa intendi con ‘non cammino’?” Costantino era sconcertato. “Sono nata così. Mamma dice che dobbiamo metter da parte i soldi per un’operazione.” “E come ti muovi?” “Con la sedia a rotelle.” “Giulia, sai il tuo indirizzo?” s’impegnò Costantino. “Sì, via Foscolo, sette, appartamento diciotto.” “Arrivo subito, e troveremo tua madre.” Spense il telefono.
Nina entrò nella camera di suo figlio: “Costantino, cosa succede?” “Ho trovato un telefono rotto. Ho messo la SIM in uno dei miei. Ho chiamato. Insomma, c’è una bambina disabile sola in casa. Non ha altri parenti. Ho l’indirizzo. Vado io.” “Vengo con te,” disse la donna prendendo la borsa. Nina aveva cresciuto da sola un figlio malato cronico, capiva benissimo cosa volesse dire per una madre sola. Ora in pensione, lui guadagnava bene. Chiamarono un taxi e partirono per aiutare la bambina.
Suonarono il citofono. “Chi è?” una vocina triste. “Giulia, sono io, Costantino.” “Entrate!” La porta della casa era socchiusa. Varcarono la soglia. Una bambina esile nella sua carrozzina li guardava con occhi tristi. “Trovate mia mamma?” “Come si chiama tua madre?” chiese subito Costantino. “Lidia.” “Cognome?” “Rossi.” “Aspetta, Costantino!” lo fermò sua madre, rivolta alla bimba. “Giulia, hai fame?” “Sì. C’era una polpetta in frigo, ma l’ho mangiata ieri.” “Allora, Costantino, sbrigati al nostro solito negozio, prendi quello che prendiamo sempre.” “Capito!” e uscì di corsa.
Tornato, sua madre aveva preparato qualcosa in cucina. Apparecchiò subito in tavola. Finito di mangiare, Costantino si mise a cercare la madre della bambina. Aprì il sito del comune navigando tra le notizie degli incidenti della sera prima. “Ecco, ecco. In via Parco Sempione un conducente di una Fiat Panda ha travolto
Il buio calava dietro la finestra, mentre Giulia agitava nervosamente le ruote della carrozzina verso il tavolo, afferrando il telefono per chiamare la mamma.
“L’abbonato è momentaneamente irraggiungibile”, rispose una voce metallica.
La bambina fissò il cellulare spento, ricordando il credito scarso.
Lidia era uscita al supermercato e non rientrava mai così tardi. Mai. Sett’anni e un corpo incapace di camminare, nessun altro parente a sostenerle.
“Al solito discount in periferia”, calcolò osservando l’orologio. “Quattro ore. Ho fame”.
Si diresse in cucina, scaldò acqua per il tè, riscaldò una polpetta. Mangiò bevendo il tè bollente.
Nessun segno di Lidia. Richiamò, quell’eco metallico ancora più gelido. Si trascinò sul letto, telefono sotto il cuscino, luce accesa contro la paura.
Tra le lacrime, si addormentò.
Il sole la svegliò. Il letto materno era perfetto.
“Mamma!” chiamò verso l’ingresso.
Silenzio. L’unica risposta fu la voce registrata al telefono.
Costantino rientrava dalla Pasticceria Dolce, croissant ancora caldi nella carta. Trent’anni, magro, emarginato dalle donne per l’aspetto gracile e la sterilità dopo le cure d’infanzia.
Un bagliore nell’erba: un cellulare schiacciato come se fosse passato un camion. Telematico di professione, lo raccolse per curiosità.
“Chissà chi l’ha perso” borbottò infilandolo in tasca.
A casa, estrasse la SIM inserendola nel suo iPhone. Tra i contatti ospedale e previdenza, il primo nominativo era “Ginevra”. Chiamò.
“Finalmente, mamma!” una vocina squillante.
“Io sono Costantino. Ho trovato questo telefono…”
“Mamma è sparita ieri” singhiozzò la voce. “Al mercato ortofrutticolo”.
“Nessun papà? Nonni?”
“Solo lei”.
“Come ti chiami?”
“Ginevra”.
“Sei sola?”
“Non posso camminare. Solo la carrozzina”.
“L’indirizzo, Ginevra?”
“Via Verdi 7, interno 18”.
“Arrivo”.
Nina entrò nella stanza: “Costantino?”
“C’è una bambina paralizzata, sola. Vado”.
“Ti accompagno” rispose levandosi la felpa. Vedova, ex insegnante, riconobbe la disperazione di una madre single.
Il citofono suonò.
“Chi è?” voce tremula.
“Sono Costantino”.
Appartamento al primo piano, porta socchiusa. Ginevra immobile sulla carrozzina, occhi come stagni grigi.
“Ritroverete mamma?”
“Nome di tua madre?” chiese Costantino.
“Lidia”.
“Cognome?”
“Rossi”.
“Un attimo” interruppe Nina. “Sei affamata, tesoro?”
“Sì. Mangiai l’ultima polpetta ieri”.
“Costantino: vai a comprare in quel panificio dove vado io”.
Al suo rientro, Nina aveva preparato la cucina. Mentre mangiavano, lui consultò il sito comunale di Firenze.
“Nottizia. Investimento in Via dei Pini. Fiat grigia travolge una donna. Trasportata in gravi condizioni al Santa Maria Nuova”.
Chiamò tre volte prima di una risposta.
“Ricoverata da 36 ore. Incosequenza”.
“Dovevano aver rubato bricolla e telefono. È Lidia Rossi?”
“Non identificata. Familiare?”
“Vengo”.
A G
Era l’inizio di un futuro pieno di luce, una promessa tenace che nessuna tempesta avrebbe più spento la felicità conquistata col sudore delle loro anime.






