L’antidoto al dolore
Ludovica e Vincenzo si conobbero all’università. Vivevano entrambi in un pensionato studentesco. Decisero subito che sarebbero rimasti insieme, ma solo dopo la laurea. Come sempre, la vita mise il naso nei i semplici piani dei due innamorati. Ludovica, all’ultimo anno, rimase incinta.
“Vincè, che facciamo?” chiese lei, disperata, fissando l’amato. “Sai com’è severa mia madre. Non voleva neanche che venissi a studiare qui. L’ho convinta a fatica, promettendole che non avrei fatto la sua fine, che non avrei avuto un figlio senza marito. E ora? Come torno a casa? Mia madre mi ucciderà.” Si morse il labbro per non scoppiare in lacrime.
Anche Vincenzo era spaventato, ma decise di comportarsi da uomo e di salvare l’onore della sua amata. I suoi genitori non gli avevano mai posto condizioni quando lo avevano mandato a studiare in una grande città. Vedendo Ludovica disperata e in lacrime, le propose di sposarsi. C’erano gli esami di Stato all’orizzonte, non era il momento per un matrimonio.
Chiamò i suoi genitori, confessò tutto e disse che sarebbe tornato dopo la laurea con il diploma e una moglie. Lo sgridarono, ovvio, ma non potevano farci niente. Tanto valeva accettare.
Ludovica, tremante, nascondeva dietro la schiena del marito la pancia che iniziava a vedersi, mentre stavano nell’angusto ingresso di casa sua. Il padre aggrottava le sopracciglia, la madre scuoteva la testa e rimproverava i giovani per aver fatto le cose di fretta, per essersi sposati senza la benedizione dei genitori. Non era un buon inizio per una vita insieme. Si lamentarono, li sgridarono, ma alla fine decisero di aiutarli a mettersi in piedi. Vendettero la casetta al mare, raschiarono il fondo del barile e comprarono ai due sposini un bilocale.
“Vi abbiamo aiutati come potevamo, ora tocca a voi,” disse il padre come augurio.
Due mesi dopo, Ludovica partorì una bambina.
Vincenzo lavorava, ma i soldi non bastavano mai. I genitori avevano già dato tutto ciò che potevano. E poi, era vergognoso continuare a chiedere loro aiuto: era ora di guadagnarsi da vivere da soli. Un vecchio compagno di scuola gli propose allora di vendere computer.
“È un affare serio. Devi cogliere l’attimo, i computer vanno a ruba. Ho dei contatti con i fornitori, posso sistemare tutto. Sei tornato al momento giusto. Tu ci capisci, io invece sto ancora imparando. Insieme possiamo fare grandi cose!” lo convinse l’ex compagno.
Gli anni Novanta, con il loro racket, erano ormai un ricordo. C’era sempre un rischio, certo, ma tutto era legale e valeva la pena provarci. Vincenzo accettò. Dovette però chiedere un prestito consistente per avviare l’attività e diventare socio di pari livello.
Comprarono merce invenduta, ma a buon prezzo. Vincenzo sistemava i computer, li dotava dei programmi necessari, li riparava se serviva. Li rivendevano a prezzi molto più alti. L’affare decollò. Vincenzo riuscì non solo a ripagarVincenzo riuscì non solo a ripagare il debito, ma anche a comprare un trilocale, e mentre stringeva tra le braccia il gattino grigio che Ludovica accarezzava con un sorriso finalmente sereno, capì che a volte le piccole gioie, anche quelle più impreviste, sono l’unico vero rimedio al dolore.