**Il Risveglio**
“Léo.” Entrando nella stanza, Giulia teneva le mani dietro la schiena. Un sorriso enigmatico dipinto sulle labbra, gli occhi brillanti di gioia.
Leonardo sorrise a sua volta, aspettandosi una buona notizia o magari un regalo.
“Che hai lì?” Si raddrizzò sul divano, protendendosi verso di lei. “Non farmi aspettare, fammi vedere.”
“Ecco.” Giulia allungò la mano. Qualcosa riposava sul suo palmo aperto. Leonardo non capì subito di cosa si trattasse—il sorriso ancora gli aleggiava sulle labbra, ma non era più luminoso come prima.
“Che cos’è?” chiese, ritraendosi contro lo schienale, come per sfuggire a un “dono” inaspettato.
“Guarda bene!” Fece un passo avanti, continuando a tenere l’oggetto tra le dita. “Sono incinta!” Non riuscì a trattenersi più, la voce tremula per l’emozione trattenuta.
*Incinta.* L’eco di quella parola risuonò nella mente di Leonardo. Il sorriso svanì. La guardò con terrore, come se non fosse più lei, ma un’estranea.
Anche il sorriso di Giulia si spense lentamente, come le luci di un teatro prima dello spettacolo. Chiuse la mano sul test di gravidanza e la abbassò, esitante.
“Non sei felice?” Ora la voce tremava, ma per le lacrime che minacciavano di sgorgare.
“Giulia, avevamo detto che avremmo aspettato,” sbottò lui, riprendendosi. “Hai smesso di prendere la pillola?” La sua voce si fece più dura, carica di rabbia nel silenzio della stanza.
“Mi sono dimenticata una volta, e poi…” Si sedette accanto a lui sul divano. Lui si spostò subito all’estremità, come se temesse di venire contagiato.
“A cosa pensavi? Perché non me l’hai detto? Davvero vuoi passare le notti in bianco tra pannolini e biberon? Sei ancora una bambina tu.” Si alzò, agitato, e cominciò a camminare su e giù.
“Giulia, parliamone con calma, non prendiamo decisioni affrettate…”
“Non farò un aborto. È già qui. Lo sento, è un maschio, sarà tutto tuo,” disse Giulia, gli occhi lucidi.
Le sue parole inchiodarono Leonardo al pavimento. Lei lo fissava con disperata determinazione. Le lacrime le rigavano il viso. Singhiozzò.
“Ascoltami.” Si sedette di nuovo accanto a lei, la strinse a sé, cercando di calmarla.
*Urlare non servirà a niente. Devo convincerla con delicatezza…*
Giulia scostò la sua mano e balzò in piedi, come se avesse letto i suoi pensieri.
“Io. Non. Lo. Farò. *Mai.*” Ogni parola era un colpo netto.
“Non ho detto questo. Ero solo sorpreso. Perdonami per come ho reagito. Vieni qui.” Le afferrò la mano, la tirò a sé e la fece sedere sulle sue ginocchia.
“Sciocchina, come ti amo,” mormorò, accarezzandole la spalla. “Non piangere, ti prego. Fa male al bambino.”
“Sei davvero felice?” chiese lei, asciugandosi le guance.
“Certo,” rispose lui, leggero, mentre pensava che restavano ancora nove mesi, quasi un anno intero, e chissà cosa sarebbe accaduto…
Passarono settimane senza che nulla cambiasse. Leonardo cominciò a credere che quel test fosse sbagliato. Gli errori erano possibili, no? Ne aveva sentito parlare. Ma poi, dopo un mese, iniziarono le nausee. Giulia impallidì, si indebolì, rifiutava il cibo.
Prima uscivano quasi ogni sera: cinema, cene con gli amici, serate in trattoria. Adesso Giulia non voleva muoversi da casa. Passava le giornate a letto, lamentandosi di sentirsi male. La carne? Impossibile, l’odore la faceva star male. Leonardo si annoiava. Non era abituato a restare in casa tutto il tempo.
“Giulietta, sabato è il compleanno di Marcello,” disse, quasi scusandosi.
“Vacci da solo. Tanto non reggerei nemmeno cinque minuti seduta,” borbottò lei, voltandogli le spalle.
Leonardo ne fu sollevato. Sperava in un rifiuto, ma non si aspettava che sarebbe stato così facile.
Al compleanno si lasciò andare—scherzava, beveva, si sentì libero. Tornò a casa tardi. Giulia era ancora a letto, rivolta verso il muro.
Poi il suo ventre cominciò a crescere. Non trovava più una posizione comoda, si agitava, sospirava, impiegava ore ad addormentarsi, disturbandolo. Diventò piagnucolosa, capricciosa, gli negava ogni intimità. La sua rabbia crebbe proporzionalmente alla dimensione di quella pancia.
“Quando vi sposate, finalmente?” chiese un giorno sua madre, quando lui andò a trovarla. “È ora. Che aspetti? Non che sia proprio entusiasta di lei, ma ormai…”
“Andrea. Come il padre di Giulia. Mamma, ma che matrimonio vuoi con quel pancione?”
“Basta un atto in comune. Te l’avevo avvertito…”
“Non rompermi ancora le scatole! Non ne posso più, nessuno mi lascia in pace!”
Sulla via di casa si fermò in un bar, bevve. Appena si addormentò, Giulia lo scosse.
“Léo. Léo, sveglia!”
“Cosa?” bofonchiò, gli occhi ancora chiusi.
“Sto male. Mi fanno male la pancia e la schiena,” si lamentò. Leonardo aprì gli occhi e vide il suo viso contratto dal dolore.
“Chiamo l’ambulanza?” Si alzò, raccattò i jeans dal pavimento, cercando il telefono in tasca.
“Ho già provato. Non rispondono,” disse lei, contorcendosi per un altro crampo.
“Va bene.” Il suo telefono era scarico. Afferrò quello di Giulia sul comodino. “Chiamo un taxi, tu vestiti intanto.”
In corridoio, Giulia era seduta sul pouf, un cappotto gettato sulla camicia da notte. Ai suoi piedi, una borsa enorme.
“Hai preso i documenti? Andiamo.”
Scesero lentamente, fermandosi più volte. Il taxi già aspettava.
“Vai, capo, all’ospedale,” ordinò Leonardo, salendo dietro di lei.
Giulia respirava affannosamente, le mani sul ventre. Nel buio dell’auto, sembrava enorme. Gemette, mordendosi il labbro.
“Resisti, manca poco,” ripeteva lui, cercando di nascondere la paura.
Finalmente arrivarono al Pronto Soccorso. Leonardo la trascinò dentro, sorreggendola come un ferito in battaglia.
“C’è nessuno? Aiuto!” Picchiò contro il vetro della porta.
“Che urli?” Una levatrice assonnata apparve dall’altra parte. La porta si aprì. “Entra, cara,” disse alla ragazza, prendendo la borsa. “Tu, papà, vai a casa. Ecco il numero, chiama tra un po’.” Gli sbatté la porta in faccia.
Attraverso il vetro, Leonardo la vide allontanarsi, curva, con le mani sulla pancia.
“Giulia!” gridò. Lei non si voltò.
Quattro ore dopo, nacque un maschio. Stordito dalla notizia, Leonardo andò da sua madre.
“Congratulazioni. Allora, papà, andiamo a comprare il necessario per mio nipote?” ordinò lei.
Riempirono mezzo negozio, facendo fatica a caricare tutto in taxi. Quella sera, Leonardo festeggiò con gli amici. Brindarono, risero,E quando Andrea, ridendo tra le sue braccia, lo guardò con gli stessi occhi di Giulia, Leonardo capì che nessuna fuga sarebbe mai valsa più di quell’istante perfetto.