**24 giugno**
“Fai solo la tua parte,” disse Dario con un tono distratto, senza alzare gli occhi dal telefono. “Il tuo compito è rendere la casa accogliente. Io porto i soldi, tu ti occupi di tutto il resto. Sembra equo, no?”
Rimasi immobile, il piatto ancora in mano. In ventitré anni di matrimonio, avevo sentito di tutto, ma quella frase…
Valentina, la mia migliore amica, seduta di fronte a me, ridacchiò nel suo bicchiere di vino. “E cosa avrebbe detto di male? Molte donne sarebbero felici di essere al tuo posto, Elisa.”
Lo sguardo mi sfuggì verso mio figlio. Luca teneva la testa bassa, il cellulare gli vibrava in tasca.
“Dario,” posai il piatto sul tavolo. “Hai mai pensato che potrei essere qualcosa di più di una domestica?”
“Eccoci,” fece un occhio al cielo. “Ne abbiamo già parlato quando hai lasciato il lavoro.”
“O meglio, quando mi hai convinta che sarebbe stato meglio per tutti, no?”
Qualcosa nel mio tono lo fece finalmente staccare lo sguardo dallo schermo. I nostri occhi si incrociarono, e per un attimo vidi una traccia di paura nei suoi. Credeva davvero che non notassi i loro sguardi furtivi, i tocchi casuali?
Luca si alzò di scatto. “Posso andare? Ho da finire un progetto di informatica.”
“Certo, vai pure,” dissi, senza staccare gli occhi da mio marito.
Il rumore della porta d’ingresso che sbatteva echeggiò nell’appartamento. Valentina se n’era già andata. Dario raccoglieva i piatti in silenzio.
“Lascia stare le stoviglie. Siediti.”
“Che discorsi sono?” si bloccò davanti al lavandino.
“Io non sono una lavapiatti. Ti ricordi cosa facevo prima che mi convincessi che ‘i bambini hanno bisogno della mamma a casa’?”
“Ecco, ricominci.”
“No. Sei tu che hai deciso. Come sempre.”
Il telefono di Dario suonò piano. Un messaggio.
“Non rispondi? È di Valentina?”
“Smettila. Stai esagerando.”
“Esagerando? Parliamo di esagerazioni, allora. Raccontami del tuo ‘progetto di lavoro’ con la mia migliore amica.”
Lo schiaffo squarciò l’aria. Ma non era Dario a colpirmi. Ero io che gli avevo dato uno schiaffo.
“Mamma?” La voce di Luca dal corridoio ci fece sobbalzare. “Vado da Matteo, va bene?”
“Certo, amore.”
Alle tre di notte, il suono della porta d’ingresso che sbatteva mi svegliò. Luca?
“Dove sei stato?” Rimasi ferma sulla soglia della cucina.
Mio figlio trasalì, infilando qualcosa in fretta in tasca.
“Luca, che sta succedendo?”
“Ho… ho lasciato l’università. Due mesi fa. Non voglio fare l’informatico! È il tuo sogno, papà, non il mio.”
“E i soldi? A chi devi restituirli?”
“Ho preso in prestito. Trentamila euro. Per un corso di fotografia. Adesso mi minacciano di dirlo a te e a papà.”
“Domani sistemeremo tutto,” dissi.
Non feci in tempo a finire. La chiave girò nella serratura. Dario.
“Non dormi?” La sua voce era rauca. Odorava di whisky.
“Papà, posso spiegare,” Luca si mise tra noi.
“Cosa, esattamente? Che mio figlio è un bugiardo? Valentina mi ha detto tutto. Dell’università.”
Rimasi impietrita.
“Valentina?”
“Sì, immagina. Finalmente qualcuno in questa casa che mi dice la verità.”
“Basta,” dissi, guardandolo.
“Cosa vuoi dire con ‘basta’? L’hai cresciuto tu così!” si voltò verso di me. “A proposito di bugie… com’è Valentina? Non è stanca di tutte queste riunioni di lavoro?”
“Stai zitto,” sibilò Dario.
“O che fai? Mi picchi? Davanti a nostro figlio?”
Luca fece un passo verso la porta.
“Me ne vado. Voi due… vi meritate.”
La porta sbatté.
“ContentMi inginocchiai a terra, raccogliendo lentamente i frammenti del nostro matrimonio, mentre i primi raggi del sole filtravano dalle persiane, tingendo di oro il pavimento freddo.