Beatrice sedeva in cucina nel suo nuovo appartamento, sfogliando vecchie fotografie. Sette anni di matrimonio racchiusi in un piccolo album. Ricordava come, all’inizio della relazione con Enrico, avesse creduto che tutto si sarebbe sistemato. Ma il tempo le aveva dimostrato il contrario.
Marta Bianchi, sua suocera, entrava in casa loro quasi ogni giorno. Arrivava senza avvisare, apriva la porta con la chiave che Enrico le aveva dato «per ogni evenienza». Era sempre pronta a criticare: il pranzo non era buono, l’appartamento era polveroso, Beatrice tornava troppo tardi dal lavoro.
Enrico di solito taceva o cambiava discorso. Lei, invece, stringeva i denti e sopportava.
Ora, seduta in quell’appartamento ereditato dalla nonna, Beatrice capiva la saggezza delle sue parole: «Bettina, l’importante è avere il tuo angolo e il tuo lavoro, così nessuno potrà comandarti». Per sette anni aveva cercato di essere una «brava moglie» secondo gli standard di Marta Bianchi.
Il suono del campanello la strappò dai suoi pensieri. Sulla soglia c’era Marta, eretta e imperiosa.
«Che combini, ragazzina?» La suocera entrò senza cerimonie. «Enrico è disperato, e tu qui a bighellonare.»
«Che dice Enrico?» chiese Beatrice, trattenendo a stento la domanda. «Perché non è venuto lui?»
«Lui lavora, non ha tempo per le tue capricci.»
Beatrice sentì una fiamma di indignazione salirle dentro. Sette anni di quel trattamento, e nemmeno una volta Enrico aveva difeso sua moglie.
«No,» disse con fermezza. «Non andrò mai più. Basta.»
Marta cambiò espressione.
«Cosa vuol dire “non vengo”? E la famiglia? E Enrico?»
«E Enrico ha mai pensato a me? Quando entravate senza preavviso e criticavate ogni mio gesto? Quando volevate che vendessi il mio appartamento per riparare la vostra villa? Quando buttavate via le mie cose?»
«Volevo solo aiutarti! Eri così inesperta, qualcuno doveva insegnarti come essere una buona moglie.»
«Insegnare? Voi non insegnavate, cercavate di spezzarmi. Ma non lo permetterò più.»
In quel momento, il telefono di Beatrice vibrò. Enrico. Alzò lo sguardo verso la suocera, che la osservava con un sorriso trionfante.
«Rispondi,» ordinò Marta. «Enrico capirà, ti perdonerà. Tornerai a casa e tutto sarà come prima.»
Beatrice infilò il telefono in tasca senza rispondere.
«Sa, Marta,» disse con calma, «ho davvero preso una decisione. Non posso vivere più nell’umiliazione e nel controllo.»
Il volto di Marta si contorse di rabbia.
«Quale umiliazione? Ti ho sempre trattato come una figlia!»
«Non sono più una bambina che ha bisogno di ordini.»
«Sei male ingrata! Ho fatto tanto per te!»
«Torni subito da mio figlio! Altrimenti te ne pentirai! Credi che non sappia del tuo lavoro? Di quella promozione che aspetti? Una sola telefonata alle persone giuste…»
Beatrice sentì il sangue gelarsi nelle vene.
«Mi minaccia?»
«Ti sto solo dicendo che succede a chi distrugge le famiglie. Pensa bene, ragazzina.»
«Sa una cosa, Marta,» si girò verso di lei, «minacci pure. Ma non tornerò. Enrico sapeva con chi si sposava: una donna forte e indipendente. Voi volevate farmi diventare una marionetta.»
«Ah sì?» Marta afferrò la borsa. «Ti avevo avvertita.»
Uscì sbattendo la porta. Beatrice rimase in piedi vicino alCon il sole del mattino che entrava dalle finestre, Beatrice sorrise mentre posava l’album delle foto sul tavolo, sapendo che la sua vera vita stava finalmente per iniziare.