Ritorna subito da mio figlio, o te la farò pagare! — ordinò la ex suocera, ferma sulla soglia della mia casa.

Carlotta sedeva nella cucina del suo nuovo appartamento, sfogliando vecchie fotografie. Sette anni di matrimonio racchiusi in un unico album sottile. Ricordava come, all’inizio della relazione con Marcello, avesse creduto che tutto si sarebbe sistemato. Ma il tempo le aveva dimostrato il contrario.

Elisabetta Rossi, sua suocera, appariva in casa loro quasi ogni giorno. Arrivava senza preavviso, apriva la porta con la sua chiave, che Marcello le aveva dato «per ogni evenienza». Trova sempre qualcosa da criticare: il pranzo insipido, la polvere accumulata, il fatto che Carlotta tornasse troppo tardi dal lavoro.

Marcello, di solito, taceva o cambiava argomento. Carlotta, invece, stringeva i denti e sopportava.

Ora, seduta nell’appartamento ereditato dalla nonna, capiva tutta la saggezza delle sue parole: «Carlotta, cara, l’importante è avere un tetto tuo e un lavoro. Così nessuno potrà comandarti». Sette anni aveva passato a cercare di diventare la «brava moglie» secondo gli standard di Elisabetta Rossi.

Il suono del campanello la strappò dai suoi pensieri. Sulla soglia c’era Elisabetta – composta, autoritaria.
«Che combini, ragazzina?» entrò senza permesso nel corridoio. «Marcello è fuori di sé, e tu qui a oziare.»
«Che gli è successo?» Carlotta non poté trattenersi. «Perché non viene lui?»
«Ha da lavorare, mica può correre dietro ai tuoi capricci. Prendi le tue cose e basta con queste sciocchezze.»

Carlotta sentì una fiamma di rabbia salirle dal petto. Sette anni di quel trattamento – e mai Marcello aveva difeso sua moglie.
«No,» disse con fermezza. «Non tornerò mai più. Basta.»

Elisabetta cambiò espressione.
«Cosa significa “no”? E la famiglia? E Marcello?»
«E Marcello ha mai pensato a me? Quando entravi in casa senza bussare e criticavi ogni mio gesto? Quando pretendevi che vendessi il mio appartamento per ristrutturare la vostra villa? Quando buttavi via le mie cose?»
«Volevo solo aiutarti! Eri così inesperta, dovevo insegnarti come essere una brava moglie.»
«Insegnare? Non mi hai insegnato nulla, hai cercato di spezzarmi. Ma ora basta.»

In quel momento, il telefono vibrò. Marcello. Alzò lo sguardo su Elisabetta, che la osservava con un sorriso compiaciuto.
«Rispondi,» ordinò la suocera. «Marcello capirà, perdonerà tutto. Tornerai a casa e sarà come prima.»
Carlotta infilò il telefono in tasca senza parlare.

«Senta, Elisabetta,» disse con calma, «ho davvero deciso. Non posso più vivere sotto il suo controllo e le sue umiliazioni.»
Il volto di Elisabetta si contorse d’ira.
«Umiliazioni?! Ti ho sempre trattata come una figlia!»
«Non sono più una bambina che ha bisogno di ordini.»
«Sei un’ingrata! Ho fatto tutto per te!»
«Torni subito da mio figlio! O te ne pentirai. Credi che non sappia del tuo lavoro? Di quella promozione che aspetti? Basta una chiamata alle persone giuste…»

Carlotta sentì un gelo diffondersi dentro di sé.
«Mi sta minacciando?»
«Ti sto solo spiegando cosa succede a chi distrugge le famiglie. Pensa bene, ragazzina.»
«Sa una cosa, Elisabetta?» la fissò negli occhi. «Minacci pure. Ma non tornerò mai più. Marcello sapeva con chi si sposava: una donna forte e indipendente. È lei che voleva trasformarmi in una bambola ubbidiente.»

«Ah, così?» afferrò la borsa con rabbia. «Hai avuto il tuo avvertimento.»
Elisabetta uscì sbattendo la porta. Carlotta rimase alla finestra, avvolta da un misto di paura e sollievo.

Quella sera chiamò l’amica Serena.
«Indovina chi è venuta? Mi ha minacciata di rovinarmi la carriera se non tornavo da Marcello.»
«Brava a non cedere!» la incoraggiò Serena. «Sai, volevo dirtelo da tempo… in questi mesi sei cambiata. Sei più sicura, più serena.»

Il giorno dopo, Carlotta andò a un colloquio in un’importante azienda. Le minacce di Elisabetta non erano state vane – doveva proteggersi. In ufficio, una donna gentile la accolse.
«Un curriculum impressionante. Abbiamo appena aperto una posizione da capoprogetto. Credo che potrebbe fare al caso suo.»

Tornando a casa, sentì un calore diffondersi nel petto. Un nuovo lavoro significava nuove opportunità, una vita nuova.

Marcello non chiamò più. Forse aveva capito che era finita. O forse Elisabetta gli aveva trovato una sposa più docile.

Una sera, incrociò una vicina di Elisabetta.
«Sai,» le sussurrò, «tua ex suocera racconta a tutti che hai abbandonato il suo povero figlio. Ma nessuno la ascolta – ricordano tutti come cacciò via anche la prima nuora.»

Carlotta sorrise, serena. Le parole di Elisabetta non potevano più ferirla.

Seduta sul balcone del suo appartamento, sfogliò di nuovo le foto. Quella del matrimonio non le faceva più male. Era solo un ricordo – la storia di una donna che aveva trovato la forza di ricominciare.
Come diceva la nonna: «L’importante è avere un tetto tuo e un lavoro.» E, soprattutto, la forza di non farsi piegare.

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Ritorna subito da mio figlio, o te la farò pagare! — ordinò la ex suocera, ferma sulla soglia della mia casa.