Ritornare da mio figlio o affronterai le conseguenze! – urlò l’ex suocera sulla soglia della mia casa

Beatrice sedeva nella cucina del suo nuovo appartamento, sfogliando vecchie fotografie. Sette anni di matrimonio racchiusi in un piccolo album. Ricordava quando, all’inizio della relazione con Raffaele, credeva che tutto si sarebbe sistemato. Ma il tempo le aveva dimostrato il contrario.

Eleonora, sua suocera, si presentava a casa loro quasi ogni giorno. Arrivava senza preavviso, apriva la porta con la sua chiave, che Raffaele le aveva dato “per sicurezza”. Trovava sempre qualcosa da criticare: la cena non era buona, l’appartamento era polveroso, Beatrice tornava troppo tardi dal lavoro.

Raffaele rimaneva in silenzio o cambiava argomento. Lei, stringendo i denti, sopportava.

Ora, seduta nell’appartamento ereditato dalla nonna, Beatrice capiva la saggezza delle sue parole: “Bettina, l’importante è avere un tetto tuo e un lavoro. Nessuno potrà mai comandarti.” Per sette anni aveva cercato di essere una “brava moglie” secondo gli standard di Eleonora.

Il campanello la strappò dai ricordi. Sulla soglia c’era Eleonora, impettita e autoritaria.

“Che combini, ragazzina?” La suocera entrò senza cerimonie nel corridoio. “Raffaele è fuori di sé, e tu qui a oziare.”

“Che ha Raffaele?” chiese Beatrice, trattenendosi a stento. “Perché non è venuto lui?”

“Ha da lavorare, mica può correre dietro ai tuoi capricci. Fai le valigie, basta sciocchezze.”

Beatrice sentì una fiamma di rabbia salirle dentro. Sette anni di quel trattamento, e Raffaele non aveva mai difeso sua moglie.

“No,” disse con fermezza. “Non torno indietro. Basta.”

Eleonora cambiò espressione.

“Che vuol dire? E la famiglia? E Raffaele?”

“E Raffaele ha mai pensato a me? Quando venivate senza avvisare e criticavate ogni mio passo? Quando volevate vendere il mio appartamento per ristrutturare la vostra villa? Quando buttavate via le mie cose?”

“Volevo aiutarti! Eri così inesperta, qualcuno doveva insegnarti a essere una brava moglie.”

“Insegnare? Voi non insegnavate, cercavate di spezzarmi. Ma non lo permetterò più.”

In quel momento, il telefono di Beatrice vibrò. Raffaele. Alzò lo sguardo su Eleonora, che la osservava con un sorriso di superiorità.

“Rispondi,” ordinò quasi la suocera. “Raffaele capirà, perdonerà. Tornerai a casa e tutto tornerà come prima.”

Beatrice infilò il telefono in tasca senza parlare.

“Senta, Eleonora,” disse con calma, “ho preso una decisione. Non posso più vivere in un clima di controllo e umiliazione.”

Il volto di Eleonora si contorse.

“Umiliazione? Ti ho sempre trattata come una figlia!”

“Non sono più una bambina che ha bisogno di ordini.”

“Sei ingrata! Ho fatto tanto per te!”

“Torna subito da mio figlio! O te ne pentirai! Pensi che non sappia del tuo lavoro? Della promozione che aspetti? Una telefonata alle persone giuste…”

Beatrice sentì un brivido di freddo.

“Mi sta minacciando?”

“Ti sto solo spiegando cosa succede a chi distrugge le famiglie. Pensa bene, ragazzina.”

“Sa una cosa, Eleonora?” Beatrice la fissò. “Minacci pure. Ma non tornerò. Raffaele sapeva con chi si sposava: una donna forte e indipendente. Voi volevate trasformarmi in una marionetta.”

“Ah sì?” Eleonora afferrò la borsa. “Ti ho avvertito.”

Uscì sbattendo la porta. Beatrice rimase in piedi, tra paura e sollievo.

Quella sera chiamò l’amica Silvia.

“Indovina chi è venuta? Ha minacciato di rovinarmi la carriera se non tornavo da Raffaele.”

“Brava, non ti sei fatta intimidire!” disse Silvia. “Sai, volevo dirtelo da tempo… Sei cambiata in questi mesi. Più sicura di te, più serena.”

Il giorno dopo, Beatrice andò a un colloquio in un’azienda importante. Le minacce di Eleonora non erano vane: doveva proteggersi. In ufficio, una donna sorridente la accolse.

“Un curriculum impressionante. Abbiamo bisogno di una responsabile di progetti. Credo che tu sia perfetta.”

Tornando a casa, Beatrice sentì una calma nuova. Un lavoro migliore significava nuove possibilità, una vita diversa.

Raffaele non chiamò più. Forse aveva capito che era finita. O forse Eleonora gli aveva trovato una nuora più adatta.

Una sera, incrociò una vicina di Eleonora.

“Lo sai,” le sussurrò, “tua ex suocera racconta a tutti che hai abbandonato il suo povero figlio. Ma nessuno la ascolta: sanno come trattò anche la prima nuora.”

Beatrice sorrise. Le parole di Eleonora non potevano più ferirla.

Quella sera, sul balcone di casa sua, riordinò le vecchie fotografie. Quella del matrimonio non le faceva più male. Era solo un ricordo, una pagina della sua storia: quella di una donna che aveva trovato il coraggio di ricominciare. Come diceva la nonna: “L’importante è avere un tetto e un lavoro.” Ma soprattutto la forza interiore per non lasciarsi spezzare.

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