Ritrovo dopo 30 anni: il negozio e la sorpresa al banco cassa

Lo incontrai la mia ex dopo trent’anni, al supermercato. Posai sul nastro il mio kefir, il prosciutto e le sigarette. La cassiera salutò distrattamente, senza alzare lo sguardo, e chiese meccanicamente: “È tutto?” Scostò con un gesto una ciocca di capelli tinti, un movimento che mi era fin troppo familiare. Stavo per andarmene, senza dire nulla, se non avessi guardato il badge appuntato sul petto di tutte le cassiere. Margherita Averini.

“Marga… sei tu?”

Finalmente alzò gli occhi. “Sì… e allora? Oh, Dio! Sandro?”

“Sono io. Non mi aspettavo di rivederti così.”

Estate 1988. Io e Margherita passeggiamo per Roma, è domenica. Lei indossa una minigonna nera, è magra. Ha gambe stupende, un’andatura un po’ sfacciata e quel sorriso leggero che non l’abbandona mai. Sembra sempre che mi sfugga, e io cerco di trattenerla. Margherita è attraente in modo selvaggio, gli uomini si voltano a guardarla. E io provo orgoglio, ma anche rabbia, perché non mi lascia nemmeno abbracciarla.

Le racconto che sogno di diventare giornalista, e lei ride: “Secondo me è noioso. Io invece diventerò una cantante. Di sicuro.”

Abbiamo vent’anni. Margherita sta finendo il conservatorio, pianoforte. Ma è estate, niente lezioni, e così ha le unghie lunghe, smaltate di rosso. Quelle mani, quelle unghie, mi fanno impazzire.

“Ho fame!” mi dice brusca. “Lì, un bar!”

In tasca ho solo un biglietto da diecimila lire. Era tutto quello che avevo per la settimana, mia madre me l’aveva lasciato prima di partire. Quell’osteria sembrava troppo cara, quasi un lusso. Ma feci finta di niente: “Certo, andiamo!” Dentro di me però: “Che bastino diecimila lire, che bastino…”

Margherita ordinò una pizza e dello spumante. Bevemmo, ormai non mi importava più nulla, se non portarmela a casa per la notte. Ma poi dal jukebox partì “Sarà perché ti amo” dei Ricchi e Poveri. Margherita si alzò e cominciò a ballare da sola, passionale e sfrenata. Tutti gli uomini intorno smisero di bere per guardarla. E lei, mentre ballava, cantava: “Sarà perché ti amo, sarà perché non so…” Sembrava già una stella.

I soldi non bastarono, ma Margherita lasciò cadere sul tavolo qualche banconota con nonchalance: “Dai, siamo in vacanza! E adesso?”

Andammo a casa mia. Fu la notte più lunga e più bella della mia vita. Una ginnastica amorosa per due. “Sarà perché ti amo, sarà perché non so…” risuonava nella mia testa ubriaca di felicità.

Tre mesi dopo, in autunno, ci lasciammo. Margherita mi mollò: “Ho conosciuto un ragazzo fantastico. Scusami. E poi, dice che mi presenterà a un produttore discografico. Voglio registrare un album, ho già pensato al titolo: ‘La mia felicità’.”

“Che titolo stupido,” risposi.

E me ne andai. Avrei voluto urlare. Volevo vendicarmi in qualche modo crudele. E, soprattutto, volevo trascinarla di nuovo a letto con me. Troppe emozioni nella testa di un ragazzo stupido.

Ora sono passati trent’anni. Dio, trent’anni. Davanti a me c’era Margherita, ingrassata, cassiera di un supermercato.

“Ti ricordi che volevi fare la cantante?” dissi con un sorriso.

Lei rise nervosa: “Tutti abbiamo avuto dei sogni… Ma so che sei diventato giornalista. A volte ti leggo, sei bravo.”

Uscito dal supermercato, pensai a Margherita. In fondo, mi ero vendicato, anche se dopo trent’anni. Feci apposta a non prendere il resto. Ironia della sorte, erano esattamente diecimila lire. Ma oggi non sono più quelle diecimila lire, non basterebbero nemmeno per un caffè. La musica si è spenta, Margherita si è ingrassata, la sua vita si trascina alla cassa, scandita dal beep degli scanner. Che tristezza.

Due giorni dopo, tornai nello stesso supermercato. Onestamente, non ci vado spesso, ma ci andai. Senza un motivo preciso.

Lei era lì. Mi vide, si illuminò: “Fumi ancora? Dai, usciamo! Chiedo a Nadia di coprirmi.”

Si infilò un giacchetto e fumammo insieme. Margherita mi disse: “Ero stupida, allora. Scusami.”

“Marga, non ha più importanza. Sono passati trent’anni. Ho avuto tre matrimoni, tre figli.”

Lei sorrise, proprio come allora: “Ho capito. Mi compatisci, vero? Pensi: la poveretta, sognava la fama e ora pesa il prosciutto.”

“Beh, non esattamente…”

“Lo vedo. Hai pietà di me. Ricordi che volevo intitolare l’album ‘La mia felicità’? Non era una stupidaggine. Lo farei ancora. Solo che la felicità la vediamo in modo diverso, col tempo. Sono sposata da vent’anni con un uomo meraviglioso, Dino. È un semplice meccanico, non sa tenere un ritmo, russa di notte. Ma è bravo, ha costruito un forno nella nostra casa in campagna, sa fare tutto. Abbiamo una figlia, una ragazza splendida. Ventidue anni, pensa, più di quanti ne avessi io allora. Studia legge, è determinata, niente come me. È sposata, e abbiamo una nipotina, anche lei Margherita, un anno e mezzo. E io sono una nonna felice. La vita mi è andata bene. E il lavoro? Potrei non farlo, Dino guadagna abbastanza. Ma perché no, finché la piccola è all’asilo? Sono socievole, lo sai. Ora devo andare.”

“Marga,” dissi alla fine. “Hai ragione, dannazione se hai ragione. E non ti compatisco affatto. Vai, è stato bello rivederti.”

Sulla soglia, si girò: “Ah, e poi la cantante l’ho fatta davvero! Canto per la mia nipotina, e a lei piace tantissimo. Quindi sono una stella. Una vera stella, per lei.”

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