**L’Illuminazione**
«Luca.» Elisabetta entrò nella stanza con le mani dietro la schiena. Un sorriso enigmatico le illuminava il viso, gli occhi brillavano di felicità.
Anche Luca sorrise, anticipando una bella notizia o un regalo inaspettato.
«Cosa nascondi?» Si raddrizzò sul divano, avvicinandosi a lei. «Su, fammi vedere.»
«Ecco.» Elisabetta aprì il palmo, mostrandogli qualcosa. Luca non capì subito di cosa si trattasse, il sorriso svanì lentamente dal suo volto.
«Che cos’è?» chiese, indietreggiando contro lo schienale, come se volesse allontanarsi da quell’improvvisa «sorpresa».
«Guarda bene!» Elisabetta fece un passo avanti, tenendo ancora l’oggetto sulla mano. «Sono incinta!» esclamò, la voce tremante per l’emozione.
“In-cin-ta.” Luca ripeté mentalmente la parola. Il sorriso scomparve del tutto, sostituito da uno sguardo pieno di paura, come se Elisabetta fosse diventata improvvisamente un’estranea.
Anche il sorriso di lei si spense, come le luci di un teatro prima dello spettacolo. Chiuse il test di gravidanza nel pugno e abbassò lentamente la mano.
«Non sei felice?» La voce ora tremava per le lacrime.
«Elisa, avevamo detto che avremmo aspettato con i bambini,» rispose con tono duro. «Hai smesso di prendere la pillola?» La sua voce si fece più forte, riempiendo la stanza di rabbia.
«Una volta l’ho dimenticata, e poi…» Elisabetta si sedette accanto a lui sul divano. Lui si spostò sull’altro lato, come se avesse paura di essere contagiato.
«A cosa pensavi? Perché non mi hai detto niente? Vuoi davvero svegliarti di notte per i pannolini e le poppate? Sei ancora una ragazzina.» Si alzò e cominciò a camminare nervosamente per la stanza.
«Elisa, parliamone, non prendiamo decisioni affrettate…»
«Non farò un aborto. C’è già. Lo sento. Sarà un maschietto e somiglierà a te,» disse Elisabetta, gli occhi lucidi.
Le sue parole inchiodarono Luca al posto. Lei lo fissava con determinazione. Le lacrime le scendevano lungo le guance.
«Elisa, ascolta.» Luca le mise un braccio sulle spalle, cercando di avvicinarla.
*Meglio non gridare. Bisogna farla ragionare con dolcezza.*
Elisabetta scostò la sua mano e si alzò di scatto, come se avesse letto nel suo pensiero.
«Non. Farò. L’aborto,» pronunciò chiaramente, scandendo ogni parola.
«Elisa, non ho detto questo. Ero solo sorpreso. Scusami per come ho reagito. Vieni qui.» La attirò a sé, facendola sedere sulle sue ginocchia.
«Sei la mia stupida. Ti amo così tanto,» sussurrò, accarezzandole i capelli. «Non piangere, fa male al bambino.»
«Davvero sei felice?» chiese lei, asciugandosi le lacrime.
«Certo,» rispose lui, mentre pensava che nove mesi erano lunghi, e poteva succedere di tutto…
Con il tempo, tutto sembrava tornato normale. Luca non notava cambiamenti in Elisabetta. Cominciò persino a dubitare che fosse incinta. *Magari il test era sbagliato?* Ma un mese dopo arrivò la nausea. Elisabetta diventò pallida, smagrì, smise di mangiare.
Prima uscivano quasi ogni sera: cinema, cene con gli amici, locali. Ora non riusciva più a farla muovere dal divano. Gli attacchi di nausea la debilitavano. La carne era bandita – l’odore la faceva star male. Luca era annoiato. Non era abituato a passare tutte le serate a casa.
«Elisa, sabato è il compleanno di Matteo,» disse quasi scusandosi.
«Vai tu. Non ce la farei a stare seduta mezz’ora,» rispose lei, voltandogli la schiena.
Luca era sollevato. Sperava che rifiutasse, ma non si aspettava che fosse così facile.
Al compleanno si divertì, bevve molto, tornò tardi. Elisabetta era ancora a letto, rivolta verso il muro.
Poi le crebbe la pancia. Non trovava mai una posizione comoda, si agitava, si lamentava, disturbando il suo sonno. Diventò irritabile, rifiutava l’intimità. La rabbia di Luca aumentava insieme al suo pancione.
«Quando vi sposate?» chiese un giorno sua madre quando lui andò a trovarla. «È ora. E poi, come lo chiamerete?»
«Andrea. Come il padre di Elisa. Mamma, ma come facciamo a sposarci adesso?»
«Potete fare solo il civile. Te l’avevo detto…»
«Basta con queste prediche! Non ne posso più.»
Tornando a casa, Luca entrò in un bar e bevve. Quella notte, mentre dormiva profondamente, Elisabetta lo scosse.
«Luca! Svegliati!»
«Cosa c’è?» domandò, ancora assonnato.
«Non sto bene. Mi fanno male la pancia e la schiena.»
Finalmente aprì gli occhi e vide il viso preoccupato di lei.
«Chiamo l’ambulanza?» Si sedette sul letto, afferrò i jeans dal pavimento, cercando il telefono.
«Ho già provato. La linea è occupata.»
«Capito.» Prese il cellulare di Elisabetta. «Chiamerò un taxi. Tu vestiti.»
Quando uscì in corridoio, era già pronta, con una borsa voluminosa ai piedi.
«Hai preso i documenti? Andiamo.»
Scesero lentamente le scale, fermandosi più volte. Il taxi li aspettava.
«Vai dritto all’ospedale,» ordinò Luca.
Elisabetta respirava affannosamente, tenendosi la pancia. Nel taxi sembrava enorme. Gemette, mordendosi il labbro.
«Resisti, manca poco,» disse Luca, cercando di nascondere la paura.
Arrivarono al pronto soccorso. Luca la sosteneva come un ferito in battaglia.
«C’è qualcuno? Aiuto!» bussò insistentemente contro la porta di vetro.
Una levatrice dall’aria assonnata aprì. «Basta urlare!» Fece entrare Elisabetta. «Tu, papà, torna a casa. Qui c’è il numero da chiamare.» E chiuse la porta prima che potesse protestare.
Attraverso il vetro, Luca vide la levatrice accompagnare Elisabetta, curva dal dolore.
«Elisa!» chiamò, ma lei non si voltò.
Quattro ore dopo nacque un maschietto. Luca, stordito dalla notizia, andò da sua madre.
«Congratulazioni. Ora andiamo a comprare tutto il necessario per il bebè,» disse lei.
RiempiLuca guardò Elisabetta e Andrea, il cuore gonfio di un amore che finalmente aveva capito essere più forte di ogni paura.