Ruolo senza speranza

**IL RUOLO SENZA LUCE**

Ginevra pensò al divorzio per la prima volta dopo sei mesi di matrimonio. Ma il test mostrò due linee, e quel pensiero svanì nelle onde della nausea mattutina.

La prima volta lo vide in un bar, trascinata lì dalle ex compagne di corso dell’accademia di danza – «dai, divertiti almeno una volta». Un uomo sicuro di sé, con un orologio costoso, sedeva al bancone sfogliando documenti, e le sembrò venire da un altro mondo.

«Sei troppo bella per essere triste», le disse quando rimase sola al tavolo – le amiche erano corse a ritoccare il trucco.

Disse altro, ma Ginevra non ricorda cosa. Ricorda solo che la sua voce era come un cognac caldo – densa, con note vellutate.

Alessandro aveva otto anni più di lei, possedeva una quota dell’azienda di famiglia che vendeva detersivi. Ginevra aveva attirato la sua attenzione perché sembrava fuori posto in quel bar, come se ci fosse capitata per sbaglio.

Fragile, bellissima e, scoprì parlandole, modesta nei desideri. Cresciuta in una famiglia povera, aveva lavorato tutta l’infanzia per il sogno della danza, poi un infortunio l’aveva costretta a diventare insegnante di fitness.

Giovane, povera, ingenua. Perfetta per il ruolo di moglie. Lo disse alla madre quella sera stessa, quando si conobbero:

«Credo di aver trovato la ragazza che ti darà i nipoti che aspetti».

Quando, tre mesi dopo, Alessandro le chiese di sposarlo, sua madre pianse di gioia:

«Finalmente sarai al sicuro!»

La futura suocera, Valeria Stefania, la esaminò senza pudore, come un cavallo di razza:

«Brava ragazza. La prendiamo.»

Tutti i preparativi del matrimonio furono gestiti dalla famiglia di lui.

«Ti dispiace se la torta è blu?» chiese la suocera a Ginevra. «È il colore dell’azienda.»

La sposa sorrise:

«Certo, come preferite.»

La luna di miele fu al mare. Già in aereo, Alessandro la avvertì:

«Mamma si preoccupa se non le rispondo. Chiameremo due volte al giorno – mattina e sera. Ti consiglio di scrivere le impressioni o fare foto, a mamma piacciono i dettagli.»

Al ritorno, iniziò la vita di Ginevra nella nuova famiglia.

«Mamma ha detto di darti questo», Alessandro le mise davanti un taccuino con copertina di pelle. «È la lista delle nostre tradizioni familiari. Compleanni, anniversari, weekend in campagna…»

Ginevra sfogliò le pagine:

5 gennaio – festa di zia Carla. Fiori: crisantemi bianchi.
23 febbraio – auguri a zio Marco. Regalo ideale: liquori forti.
Prima domenica di giugno – grigliata in famiglia.
Ogni domenica – pranzo insieme. Dress code: elegante.

L’agenda era fitta e, a quanto pare, inflessibile.

«E… come faccio a trovare tempo per le mie cose?» chiese timidamente.

Alessandro rise, accarezzandole i capelli:

«Le tue cose sono le nostre cose, piccola.»

Una settimana dopo, capì la gravità della situazione.

«Dove vai?» Alessandro le sbarrò la strada già nell’ingresso.

«Al corso di massaggi… Ne avevamo parlato.»

«No. Oggi mamma ha bisogno di aiuto in negozio.»

«Ma io…»

«Ginevra», le prese delicatamente il mento. «Siamo una famiglia. Abbiamo un’azienda. Vuoi farne parte o no?»

E a pranzo, la domenica, la suocera disse:

«Devi lasciare il lavoro in palestra. Ieri hai fatto bene, e al negozio manca una cassiera.»

«Ma io…»

«Vuoi essere utile alla famiglia, vero?» Valeria Stefania alzò un sopracciglio, poi guardò il figlio: «O no?»

Alessandro annuì in silenzio e continuò a tagliare la bistecca. La domanda, come sempre, non era discutibile. I ruoli erano assegnati, i compiti stabiliti. Bisognava eseguire.

Quella notte, Ginevra pensò per la prima volta al divorzio. Anzi, no. Alla fuga. Stesa nella vasca, ascoltando l’acqua gocciolare, immaginò di dire ai genitori di essersi sbagliata, di non voler essere una marionetta senza voce.

«Sei impazzita? Vuoi tornare nella miseria? Lui ti mantiene!» sentì la madre prima ancora di aprire bocca.

Poi arrivarono le due linee, e Ginevra restò.

Che altro poteva fare?

***

Alla nascita del secondo figlio, Ginevra aveva imparato a fare il risotto come piaceva a Valeria Stefania, a non sussultare quando Alessandro era in ritardo per «riunioni», a indossare un sorriso radioso e rispondere «tutto bene» a chiunque chiedesse…

L’unica che non ci credeva era Beatrice, l’amica d’infanzia.

Perché sapeva che Ginevra comprava due confezioni di cosmetici – una per la suocera, l’altra per sé, che la vedeva di nascosto quando riusciva a inventare una scusa credibile, che non osava nemmeno andare dai genitori senza permesso. Che «moglie e madre felice» era una maschera che le costava ogni grammo di forza.

«Soffochi lì dentro! Odii quel lavoro! Mi hai detto che la suocera controlla la cassa dopo di te ogni volta!» riprese Beatrice in quell’occasione.

«È normale», Ginevra scrollò le spalle.

«Gine, e le tue passioni? Volevi fare quel corso di massaggi, lavorare con le persone!» gridò quasi Beatrice, incapace di capire come si potesse rinunciare così ai sogni.

«È passato tanto tempo.»

«Alessandro ti tradisce a destra e a manca!»

Era vero. All’inizio Ginevra aveva solo sospetti, ma alle nozze d’argento della suocera, notò lo sguardo del marito su un’invitata. La moglie di un socio, pare. Li seguì e li trovò in dispensa: lui si sistLui si aggiustava la cravatta, lei rideva coprendosi i capelli scomposti, e Ginevra capì che, proprio come il suo sorriso, anche la sua libertà era solo un’illusione appesa a un filo sottile, pronto a spezzarsi per sempre.

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