Sapevo che mi avresti chiamata, mamma…

Lo sapevo che avresti chiamato, mamma… Il telefono vibrò proprio durante la lezione. Sofia lo tirò fuori dalla tasca, guardò lo schermo e rifiutò la telefonata. Ma il telefono vibrò di nuovo.

“Gregori, abbi un po’ di decenza. Spegni quel telefono o rispondi,” disse infastidita la professoressa.

“Rispondo. Posso uscire?” Sofia indicò la porta con lo sguardo.

“Esci pure,” sospirò la professoressa.

“Ludovica, dimmi, sto a lezione,” chiese Sofia uscendo dall’aula.

“Sofì… i tuoi genitori sono stati coinvolti in un incidente,” disse Ludovica con voce tremante.

“Cosa?” chiese Sofia, bianca in volto.

“Vieni subito.”

Sofia tornò di corsa in aula, infilò libro e quaderno nello zaino e si diresse verso l’uscita.

“Non hai niente da dire, Gregori?” la voce severa della professoressa la raggiunse mentre apriva la porta.

“Mi dispiace, è urgente,” e uscì senza aggiungere altro.

“Sofi, che succede?” Lorenzo la raggiunse sulle scale.

“Non so. Ludovica ha chiamato, ha detto che i miei genitori hanno avuto un incidente, mi ha chiesto di tornare a casa.”

“Sono vivi? Vengo con te.”

“Lorenzo, non sei obbligato…”

“Potresti aver bisogno di aiuto. Dammi il telefono, chiamo un taxi.” Solo allora Sofia si accorse di stringere ancora il cellulare tra le dita.

“Dio, fate che siano vivi,” sussurrò, passandolo a Lorenzo.

Per tutto il tragitto, Sofia torceva nervosamente il laccio dello zaino. Lorenzo le coprì le mani con le sue, cercando di calmarla.

“Per favore, più veloce,” implorò Sofia all’autista. Le sembrava che stessero viaggiando a passo di lumaca.

“Non posso, ci sono telecamere ovunque,” rispose impassibile l’autista.

“Vi pago io la multa, ma per favore, sbrigatevi,” disse Sofia, quasi in lacrime.

L’autista sospirò e accelerò, superando le altre macchine. “Se ci schiantiamo, sarà colpa vostra.”

Finalmente arrivarono. Lorenzo pagò il taxi mentre Sofia già varcava il cancello di casa.

Ludovica li vide dalla finestra e uscì sulla veranda della grande casa a due piani. Aveva le lacrime agli occhi, le mani strette al petto.

“Sono vivi?” Sofia corse verso di lei, fermandosi davanti a lei.

“Leonardo è morto sul colpo, Marina è in ospedale.”

“Perché non me l’hai detto subito? In quale ospedale?”

“Al Sant’Orsola.”

“Lorenzo, il taxi è ancora qui?”

“Un attimo,” estrasse il telefono e compose il numero. “Siete già partiti? Tornate, per favore…”

Ormai Sofia non aveva più fretta. Pianse sul sedile posteriore del taxi, poggiata sulla spalla di Lorenzo.

In ospedale, non volevano farle vedere la madre.

“È mia madre! Fatemi entrare! Devo vederla!” singhiozzava Sofia, supplicando il dottore.

“È in gravi condizioni, non è cosciente.”

“La voglio vedere,” implorò.

“Va bene. Ma niente scene, capito?” la avvisò il medico, accompagnandola in terapia intensiva.

Poi tornarono a casa in taxi.

“Mamma… sopravviverà, vero?” chiese Sofia a Lorenzo. “Non ho più nessuno. Proprio nessuno.”

“E Ludovica? Non è una parente?”

“La domestica. Lavora per noi da trent’anni, è come famiglia. Ma non lo dico a nessuno.”

“Perché?”

“Tutti i nostri compagni hanno una domestica? Pensi che mi tratterebbero allo stesso modo se lo sapessero?”

Il resto del viaggio fu in silenzio. Davanti a casa, Lorenzo fece per scendere, ma Sofia lo fermò.

“No, non serve. Ti chiamo domani,” disse, entrando in casa.

Ludovica uscì dalla cucina per accoglierla.

“Allora? Hai visto Marina?”

“Sì. È in coma.”

“Dio, Sofì.” Ludovica la abbracciò, scoppiando in lacrime. “Speriamo che Marina si riprenda. Per il funerale di Leonardo c’è già chi se ne occupa, hanno già chiamato.” Continuò accarezzandole la schiena. “Che disgrazia… Era un uomo così buono, tuo padre. Mai una parola fuori posto.”

Sofia la lasciò parlare e salì in camera, stendendosi sul letto, raggomitolata su sé stessa.

Ludovica la svegliò all’alba. Dal suo viso rigato di lacrime e dallo sguardo pieno di pena, Sofia capì cosa era successo.

“Hanno chiamato ora. Stanotte se n’è andata… Che Dio l’abbia in gloria,” si segnò rapidamente. “Come è possibile, Sofì?”

Poi sedettero insieme in cucina.

“Ora sono davvero sola,” sussurrò Sofia.

“Rimarrò con te per un po’. Poi, scusami, sono vecchia, è ora di riposarmi. Lavoro per voi da trent’anni, da quando c’era ancora tuo nonno, il padre di Leonardo.”

Passarono i funerali, i nove giorni, i quaranta. In casa smisero di venire colleghi e amici del padre. Il telefono smise di squillare. Il silenzio si fece opprimente.

Sofia andava a lezione solo perché Lorenzo la costringeva, altrimenti sarebbe rimasta a letto, immobile. Anche Ludovica la obbligava a mangiare, minacciando di andarsene se non avesse bevuto almeno un cucchiaio di brodo. Ma a che serviva? Cucinava, ma nessuno mangiava.

E Sofia mangiava, pur di non restare sola in quella grande casa.

Una sera, sedute in cucina, tra tazze di tè ormai freddo, fu Ludovica a rompere il silenzio.

“Avevo fatto un giuramento ai tuoi genitori di non dirtelo mai. Ma ora non ci sono più, quindi sono libera. Ed è giusto che tu sappia la verità. Che mi perdonino Leonardo e Marina.” Si segnò.

“Quale verità? Quale giuramento?” chiese Sofia, stanca.

“Questa: tu non sei sola. Hai una madre,” disse con decisione.

“Ma che dici? Sei impazzita? Mia madre è morta,” rispose Sofia, ignorandola.

“Marina non era tua madre. Quella vera, credo sia ancora viva. Ma non so dove sia.”

Sofia la fissò.

“Marina non era mia madre? E mio padre?”

“Era tuo padre. Lavoro qui da tanto, Leonardo si fidava di me. Per questo so tutto. Non ci avrei creduto neanch’io alle chiacchiere.”

Marina non poteva avere figli. Lei e Leonardo ci soffrivano molto. Aveva provato di tutto, senza risultato. Poi, una ragazza venne assunta nell’azienda di tuo padre. Arrivata da un paesino per studiare, non era riuscita a entrare all’università. Tuo padre era un uomo affascinante, molte cadevano ai suoi piedi. Anche tua madre non fu da meno. Aveva solo diciotto anni.

Fu allora che a Leonardo e Marina venne l’idea. O forse successe per caso. Tua madre rimase incinta e voleva abortire. Chiese a tuo padre i soldi. E aveva ragione: come avrebbe fatto da sola con un bambino?

Tuo padre la convinse a tenerlo. Le affittò un appartamento, le diede soldi purché lo partorisse e lo affidasse a loro. All’inizio accettò, ma poi, prima del parto, cambiò idea. Non tutte le madri, anche giovani, rinunciano al proprio figlio dopo nove mesi.

Ricordo quanto tuo padre fosse turbE pochi mesi dopo, mentre Sofia sorseggiava un caffè al bar vicino all’università, il telefono vibrò ancora una volta, e il sorriso che le illuminò il volto le disse che, finalmente, aveva trovato la pace che cercava.

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