“Lo sapevo che mi sentivi, mamma.”
“Nonna, mi racconti una storia?” chiese Matteo, di sei anni, afferrandole la mano.
“Soltanto una breve. È ora di dormire, domani non ti svegli per l’asilo.” Lucia sistemò la coperta sul nipote con gesto affettuoso.
“Mi sveglierò,” promise lui, ostinato.
Lucia spense la luce principale, lasciando solo la lampada accanto al lettino. Prese un libro dallo scaffale, indossò gli occhiali e si sedette di nuovo accanto a lui.
“Non così, vieni qui con me,” insistette Matteo, facendole spazio.
“Se vengo lì, mi addormento anch’io.” Ma quegli occhi imploranti la convinsero. Sospirò e si distese accanto a lui. Matteo si avvicinò subito, cacciando un piccolo sbadiglio.
Lucia iniziò a leggere, ogni tanto controllando se il respiro del bambino si fosse fatto regolare. Quando fu sicura che dormisse, si alzò con cautela e uscì dalla stanza, chiudendo piano la porta.
In cucina, toccò la teiera. Ancora tiepida. Versò un po’ di tè nella tazza e si sedette. “Dove sarà Emilia? Sono le undici, aveva detto che sarebbe tornata per le nove. Forse è rimasta a dormire dall’amica? Ma avrebbe chiamato. Dovrei farlo io? E se è in macchina? Potrei distrarla… che Dio non voglia.” Si segnò velocemente davanti alla piccola icona sulla credenza. “Aspetterò ancora un po’.”
Bevve un sorso e fece una smorfia. Il tè era ormai freddo. Lo versò nel lavandino, si avvicinò alla finestra e fissò l’oscurità densa oltre il vetro.
All’improvviso, il telefono squillò. Lucida sobbalzò, afferrandolo per spegnere la suoneria prima che svegliasse Matteo.
Un numero sconosciuto.
“Strani? A quest’ora è troppo tardi… e se fosse perché ha finito la batteria?” Rispose.
“Salutemi. Maggiore Esposito. Emilia Rossini è sua figlia?”
“Sì. Che è successo? Perché…”
“Come posso chiamarla?” la interruppe quella voce impersonale.
“Lucia Maria.”
“Lucia Maria, cerchi di restare calma…”
“Come faccio a non agitarmi? La polizia non chiama di notte per salutare. O è un truffatore? Vuole soldi? Non ne ho, e se anche li avessi non glieli darei. Perché non parla?”
“Emilia è stata coinvolta in un incidente sull’autostrada…”
Dopo quelle parole, Lucia non sentì più nulla. Premé una mano sul petto, cercando di calmare il cuore che batteva disordinato. Il maggiore continuava a parlare. Fece un respiro profondo e le venne da tossire, gli occhi le si riempirono di lacrime.
“Mi dica solo…” la sua voce era un filo di suono, “è viva?”
“Viva, ma in coma. Le condizioni sono gravi.”
“In quale ospedale?” Le parole le uscivano a fatica.
“Nel Gemelli, ma non venga ora. È con suo figlio? Resti con lui. Tanto è ancora in sala operatoria. Domani venga, il medico le spiegherà tutto. Perché era sull’autostrada?”
“Aspetti, come sa di mio nipote?”
“Dal suo telefono. Com’è finita lì stasera?”
“Non lo so… era andata al compleanno di un’amica. Le avevo detto di non partire…” Scosse la testa come se l’uomo potesse vederla. “Forse si è fermata più del previsto. Aveva promesso di tornare per le nove.”
“Quindi era a una festa… avrà bevuto?”
“Che dice? Era una ragazza responsabile, sapeva che Matteo l’aspettava…” Protestò, ma dentro di sé un dubbio serpeggiava.
“Mi scusi per il disturbo.” La chiamata si interruppe.
“Disturbo. Mi ha distrutto.”
Avrebbe voluto correre all’ospedale, ma Matteo dormiva. Aprì il frigorifero e tirò fuori un flaconcino di gocce calmanti. Ne versò qualche goccia in una tazzina, ma la mano le tremava e ne cadde troppo.
“Che sia sufficiente.” Bevve tutto d’un fiato, senza fare una smorfia.
Si sedette, il flaconcino ancora stretto in mano.
“Signore, salvaci Emilia. Non lasciare Matteo orfano.” Si segnò con devozione verso l’icona.
Pregò a lungo, finché le forze non l’abbandonarono.
“Nonna, svegliati! Dov’è la mamma?”
Matteo la scuoteva per una spalla. Lucia si risvegliò a fatica, il ricordo della telefonata tornandole alla mente come un colpo.
“Non è tornata. Ha chiamato, ha detto che sarebbe rimasta dall’amica.” Mentì, ma sapeva che avrebbe dovuto dirgli la verità.
“Non è vero. Ti ho sentita parlare con qualcuno che non era lei.”
“Matteo… la mamma è all’ospedale.” Lo strinse a sé per nascondere le lacrime.
“Sta male?” si agitò il bambino, divincolandosi.
“Sì. Hanno dovuto operarla. Io… forse potresti stare con la zia Ada, la vicina? Io vado veloce all’ospedale.”
Lui scosse la testa con forza.
“Vengo con te!”
“Va bene. Va’ a lavarti, io intanto scaldiamo l’acqua per il tè.” Lo spinse verso il bagno e si alzò, vacillando. “Mancava solo questo.”
Quando arrivarono all’ospedale, il medico li accolse con uno sguardo serio.
“Le condizioni sono critiche. L’operazione è andata bene, ma è ancora in coma.”
“La mamma morirà?” chiese Matteo, spaventato.
“Facciamo di tutto per evitarlo.”
Lucia alzò la mano per farsi il segno della croce, ma si fermò. “Possiamo vederla? Forse sentirà la voce di Matteo…”
Il dottore esitò. “Solo per poco. E niente lacrime.”
Quando entrarono, Lucia stentò a riconoscere sua figlia. Il volto tumefatto, la testa bendata.
“Emi, siamo qui. Ti aspettiamo.”
Matteo fissava la madre, muto. Poi, piano, le prese la mano.
“Ti sento, mamma. Svegliati…”
All’improvviso, le sue dita ebbero un fremito.
“Nonna! L’ho sentita!” gridò.
La corsa del medico e delle infermiere li allontanò dalla stanza. Fu un’eternità prima che la porta si riaprisse.
Emilia aveva gli occhi socchiusi. Una lacrima le scivolò lungo la guancia.
“Grazie a Dio,” sussurrò Lucia, afferrandole la mano.
Matteo non la smetteva di sorridere. “Te l’avevo detto che ti sentiva.”
Emilia migliorava ogni giorno. Raccontò del camion che l’aveva accecata con i fari.
L’ex marito non si fece più vivo. Matteo non si staccava dalla madre.
Lucia pregava ancora, convinta che fosse stata la sua fede a salvarla.
Matteo, invece, era certo di averla svegliato lui.
Chi aveva ragione? Tutti, in fondo. Avevano lottato insieme.