La scatolina con l’anello
Alessia e Matteo erano amici fin dalle elementari. Vivevano nello stesso palazzo, scale diverse, stessa classe. I primi due anni, la nonna di Matteo li andava a prendere a scuola. La mamma di Alessia faceva turni, e il papà era spesso in viaggio per lavoro.
«Ale’, vieni da noi, ti preparo un bel pranzo!» propose ogni volta la nonna di Matteo.
Mentre tornavano a casa, Alessia aspettava con trepidazione che la nonna la invitasse di nuovo. Mangiava volentieri la minestra calda, le polpette col purè o la pasta al sugo.
«Ma tu, sei sempre a digiuno? Per chi cucino io? Pare che a casa non ti diano da mangiare!» sbuffava la mamma la sera, aprendo il frigorifero.
Alessia diceva che mangiare da sola era triste, che non aveva fame, che la nonna l’aveva invitata e non poteva dirle di no. Ma in terza elementare cambiarono all’orario pomeridiano. La nonna smise di invitarla, perché ora la mamma aspettava Alessia a casa. Poi smise del tutto di andarli a prendere.
«Ma dai, sono mica piccolo? Nessuno si fa accompagnare, solo io. Che figura!» rispose Matteo quando Alessia gli chiese perché la nonna non veniva più.
Alessia cominciò a notare che Matteo non l’aspettava più nello spogliatoio, scappava via mentre lei si infilava il cappotto. Oppure se ne andava con gli altri ragazzi, ignorandola mentre lei arrancava dietro.
A scuola, Matteo la evitava. Tutto perché i compagni li prendevano in giro, dicendo che erano fidanzati. Alessia si offese. Quando Matteo le chiedeva di copiare i compiti, lei rifiutava, con il mento orgogliosamente all’insù.
Alle superiori, quasi tutti i ragazzi cominciarono a uscire con le ragazze. Matteo smise di vergognarsi di Alessia. Tornarono a camminare insieme. Spesso passava da lei per copiare i compiti o preparare una ricerca.
Un giorno, tornata da scuola, Alessia trovò la mamma in lacrime.
«È successo qualcosa al papà?» si spaventò.
«Sì. Ci ha lasciate. Se n’è andato con un’altra. Che gli venga un accidente…»
Da allora, la mamma si chiuse in sé stessa, piangeva o fissava il vuoto. L’atmosfera di casa diventò insopportabile. Alessia non voleva tornare. E la nonna di Matteo si ammalò. Dimenticava tutto, persino di mangiare. Matteo doveva badare a lei finché i genitori tornavano dal lavoro, perché non uscisse di casa o lasciasse il gas acceso. Si vedevano solo a scuola.
Prima della maturità, tutti parlavano di università. Alessia sapeva che non potevano permetterselo, difficilmente avrebbe vinto una borsa di studio, così s’iscrisse subito a un istituto tecnico. Matteo, invece, entrò all’università.
Ora si vedevano di rado, solo se si incrociavano per strada. All’inizio scambiavano due parole. Poi solo un saluto veloce. A volte Alessia lo incontrava con una ragazza. Lui faceva finta di non vederla.
Alessia era gelosa, arrabbiata, ferita. Matteo le piaceva. Era amore o solo amicizia? Non lo sapeva, non ci aveva mai pensato. Ma vederlo con un’altra faceva male.
All’ultimo anno arrivò un nuovo professore, fresco di laurea. Era timido, evitava di guardare le ragazze. Portava occhiali spessi con la montatura nera.
Un giorno, sotto un temporale primaverile, Alessia si ritrovò senza ombrello. Aspettava sotto la tettoia che smettesse di piovere.
Uscì il prof. Lorenzo, estrasse un ombrello dalla borsa.
«Alessia, abiti lontano?» le chiese.
«Quattro fermate d’autobus.»
«Ho la macchina, posso accompagnarti.»
«Ma no, prof, smette presto.»
«Ne dubito. Andiamo.» La coprì con l’ombrello e la guidò fino a una Fiat grigia.
Lorenzo si mise al volante e si tolse gli occhiali.
«Ma… guidi senza?» fece Alessia, dandogli un’occhiata.
Lui sorrise.
«Sono lenti neutre. Li metto per sembrare più autorevole.» Abbassò la voce. «Ma è un segreto, eh? Non dirlo a nessuno.»
«Promesso.»
«Non è male senza occhiali» pensò.
«Ti piace studiare? Proverai l’università o cerchi lavoro?» le chiese, passando al «tu» insieme agli occhiali.
Anche Alessia, qualche volta, lo chiamò per nome. Tanto aveva solo pochi anni più di lei.
Davanti a casa, Lorenzo scese per accompagnarla sotto l’ombrello, anche se ormai non pioveva più.
Poi la riaccompagnò altre volte. Alessia capì che la aspettava apposta. Andarono anche al cinema, mangiarono gelato insieme. Lei lo chiamava sempre «professore». Con la giacca e gli occhiali, sembrava serio. Le piaceva che un adulto le facesse la corte. Le amiche la invidiavano.
Una domenica arrivò a casa con fiori e cioccolatini. Mentre bevevano il caffè, la mamma gli chiese del lavoro, degli studi, del perché insegnasse. Alessia taceva, gli occhi fissi sul tavolo.
«Alessia cerca lavoro» disse la mamma.
«Infatti, sono venuto per questo» rispose Lorenzo. «Dal prossimo anno c’è un posto da insegnante. Volevo proporre lei. È brava, ha tutte le carte in regola.»
«Davvero? Alessia, hai sentito?»
«Non voglio insegnare. Non fa per me. Scusi, prof.» Lo guardò dritto negli occhi.
Lui si confuse. Portò la mano al viso per sistemarsi gli occhiali, ma si ricordò troppo tardi di non averli.
«In realtà, sono venuto per…» tossicchiò. «Signora Maria, sono venuto a chiedere la mano di sua figlia.»
La mamma lo fissò, poi guardò Alessia.
«Capisco che è inaspettato. Avete bisogno di tempo. Non vi precipito. Ho la macchina, vecchiotta, ma conto di cambiarla. E un appartamento. Alessia non le mancherà nulla.» Parlava soprattutto alla mamma.
«È tutto così improvviso. Ale’, perché non dici niente? L’ha sconvolta, professore. Ha ragione, deve pensarci…»
«Di solito, in questi momenti, una scatolina con l’anello ci starebbe bene» avrebbe voluto dire Alessia, ma tacque. «Che maldestro. Si fa così una proposta?» Aveva sempre sognato un momento romantico, da film, non una chiacchierata tra un caffè e l’altro.
Sia il pretendente che la mamma la fissavano, in attesa di una risposta.
«Io… sì, devo pensarci. Scusi.»
«Piacere di conoscerla, Lorenzo» disse la mamma, suggerendo delicatamente che era ora di andare.
«Devo andare.» Alzò la mano verso gli occhiali inesistenti. Arrossì e si alzò, ma indugiò, sperando in qualcosa.
Alessia restò in silenzio.
«La accompagno» disse la mamma.
«Ma ti piace davvero?» chiese, rientrando.
Alessia scrollò le spalle.
«Be’, ha la macchina, la casa. Forse dovresti accettare. Decidi tu.»
Che c’era da decidere? Non voleva sposarsi, men che meno con un tipo che non sapeva nemmeno fare una proposta decente.
«E così, dopo un anno passato a ridere, litigare e innamorarsi ogni giorno di più, Alessia e Matteo si sposarono in una piccola chiesa di campagna, circondati dalle persone che amavano, e quella scatolina con l’anello finalmente trovò il suo posto sul dito di Alessia, dove sarebbe rimasta per sempre.