— Elena, ricordi quando ci promettemmo di essere sempre sinceri l’uno con l’altra?.. Devo dirti la verità: mi sono innamorato. Di un’altra. Perdonami, ma me ne vado. Lei è quella con cui voglio invecchiare. È speciale, è come… il cielo stellato. Questi sentimenti sono veri, immensi, come l’universo…
Mentre Domenico parlava, i suoi occhi brillavano di un’ebbrezza quasi folle. Elena, invece, era immobile, aggrappata allo schienale della sedia per non cadere.
— Hai perso la testa, Dodo? Quale amore della vita? E io, allora, chi sono? Ti ricordi che abbiamo una figlia? Un anno e mezzo, Dodo. Un anno e mezzo. Io sto a casa, non lavoro, e tu, a trentacinque anni, decidi improvvisamente di vivere d’amore?
— Elena, io… — cercò di aggiungere qualcosa, ma, come per fuggire dalla realtà, si rinchiuse in bagno con il telefono. Probabilmente perdersi in messaggi con la sua “stella polare”.
Quella sera, Elena pianse stringendo al petto la piccola Giulia, addormentata. La notte passò insonne, e al mattino, con i capelli raccolti in fretta e la bambina vestita alla meno peggio, andò dalla suocera.
— Elena, ma cosa vuoi che ti dica. Dovevi trattenerlo meglio. Guardati: capelli trascurati, vestiti dimessi, e poi ti stupisci se se ne va. Oggi è tutto veloce, nessuno aspetta. Mio figlio ha capito di aver trovato l’amore vero. Non sarai né la prima né l’ultima. Portami Giulia, se hai bisogno. Ma guardati attorno, magari trovi qualcun altro — sbuffò Maria Grazia, come se si trattasse di una faccenda banale, non di una famiglia distrutta.
Elena tornò a casa sentendo qualcosa spezzarsi dentro di sé. La speranza. Le illusioni. I sogni. Tutto svanito.
Pianse per altri tre giorni. Poi si asciugò il viso e fece l’unica cosa giusta: chiese gli alimenti. E il divorzio. Basta illudersi che tutto possa tornare come prima. Domenico avrebbe avuto la libertà che tanto desiderava.
La suocera aiutava ogni tanto, ma più per dovere che per affetto. Un pacco di pannolini come un’elemosina, qualche euro per “le caramelle” con aria di superiorità. La madre di Elena viveva in un’altra città, mandava qualche soldo, lamentandosi al telefono di quanto fosse ingiusta la vita. Elena ascoltava, stringeva i denti e andava avanti.
Passò un anno. Iscrisse Giulia all’asilo, tornò a lavorare. I primi mesi furono un inferno: febbri, tosse, notti insonni. Ma poi tutto si sistemò. Elena si abituò. In quella vita nuova c’era qualcosa di buono: libertà, chiarezza, niente bugie. A volte osservava i papà all’asilo, stanchi e irritati, e pensava: “Grazie a Dio sono sola”.
Poi, un giorno, la suocera chiamò:
— Elena! Che gioia! Domenico diventerà padre, te lo immagini?
— Magnifico. Auguri alla mamma e al bambino — mormorò Elena. E con sorpresa si accorse che non le faceva male. Aveva superato tutto.
Una settimana dopo, un’altra chiamata. E questa volta, all’altro capo, era il panico.
— Elena! Disgrazia! Domenico ha avuto un incidente! È in terapia intensiva! La sua Fiat è distrutta, è miracoloso che sia vivo. Ora è invalido. Che tragedia…
Elena tacque. Provò pena, umana compassione. Era pur sempre il padre di sua figlia. Avevano condiviso una vita. Ma la pietà non significava dimenticare. E soprattutto non significava rientrare in quel caos.
Due giorni dopo, un’altra chiamata:
— Elena, devi prenderti cura di Domenico. Io ti aiuterò come posso. Dobbiamo salvarlo, Elena!
— Io devo? Per quale ragione?
— Ma siete quasi marito e moglie! Solo un pezzo di carta vi separa. E avete una figlia! Lui ha sempre chiesto di Giulia, l’ha sempre amata. E anche te. Ha solo sbagliato. Tutti sbagliano.
— Sbagliato? Bene. Allora che sia la donna dei suoi sogni ad occuparsi di lui. Io non c’entro.
— Lei l’ha lasciato! Ha detto che un invalido non le serve. È venuta in ospedale una volta e basta. Hanno un figlio e vuole sbarazzarsene, ti rendi conto?
— Me lo immagino. Ma non è un mio problema. Lui ha abbandonato me e Giulia, dimenticandoci. Ha visto sua figlia una volta, gli alimenti sono una miseria. Dov’era il suo dovere allora?
— Sei crudele! Senza cuore! Dirò a Giulia come hai abbandonato suo padre nel bisogno! Quando crescerà, saprà tutto!
— Diglielo, Maria Grazia. Ma inizia raccontandole come lui se n’è andato, lasciandoci sole. E dov’era quando Giulia piangeva di notte per la febbre. Io non ho paura. Che conosca la verità.
Alla fine, Maria Grazia portò suo figlio a casa. Non era così grave: Domenico si riprese, cominciò a camminare con un bastone. E poco dopo, Elena incontrò un’amica di vecchia data, quella con cui un tempo uscivano in famiglia. E questa le raccontò:
— Elena, lo sai che Maria Grazia va in giro a dire che hai abbandonato Domenico mentre era in coma? Che non c’era nessun’altra donna, e che tu hai chiesto il divorzio mentre lui era incosciente?
— Cosa?!
— Sì! E che sei tu a impedirgli di vedere Giulia, che lui è una vittima e tu una strega senza cuore. Dicono persino che l’incidente sia colpa tua, che era distrutto per te…
Elena tornò a casa sconvolta. Come si poteva mentire così? Ribaltare tutto? E la cosa più terribile: trovare gente disposta a crederci.
Prese Giulia all’asilo. La bambina chiacchierava felice, mentre Elena rifletteva…
— Mamma, mamma, siamo arrivate! — Giulia fermò, tirandole la mano. — Perché sei così triste? Per la nonna? Per papà?
Elena annuì, senza parole.
— Non ti preoccupare. Sarò buona, per tutti e due. Ti voglio tanto tanto bene, mamma.
E allora, abbracciando sua figlia, Elena sentì una strana leggerezza. Come se qualcuno le avesse tolto uno zaino di pietre. Non era più arrabbiata. Che parlino, che mentano. L’importante era lì, tra le sue braccia: piccole mani calde, occhi pieni di amore.
Ecco cos’era la felicità. Non favole sull’amore eterno. Non promesse bellEra finalmente libera, e nel suo cuore c’era solo spazio per quel futuro che lei e Giulia avrebbero costruito insieme.