“Scusami, Ginevra, ma ora vivrà da voi…”
Ginevra e Flavio erano in giardino fin dal mattino. Le foglie cadevano senza sosta, il cortile era un tappeto dorato, e la quiete era così serena che non si aveva voglia di pensare a nulla. Ma all’improvviso, il silenzio fu rotto dalla suoneria del telefono. Flavio guardò lo schermo e, corrugando la fronte, disse:
“Mamma… Vediamo cos’è successo stavolta.”
Attivò il vivavoce, e la voce di Valeria risuonò secca e agitata:
“Flavio, preparati! Vieni subito da me.”
“Cosa c’è?” si irrigidì lui.
“Dobbiamo andare a prendere Irene con i bambini. Basta, è finita! Suo marito li ha cacciati di casa.”
Ginevra, che era accanto a lui con la scopa in mano, sbiancò. Irene, la sorella di Flavio, con i bambini. Senza un posto dove stare?
La casa in cui vivevano era la sua realizzazione. Spaziosa, con una veranda accogliente, un giardino curato, mobili nuovi – l’avevano costruita insieme, investendo non solo euro, ma anche il cuore. All’inizio Flavio l’aveva trovata un’idea folle: vendere l’appartamento, trasferirsi fuori città, ricominciare da zero. Ma Ginevra sapeva convincere. E alla fine, la casa era diventata esattamente come l’aveva immaginata.
All’inizio era tutto perfetto. Persino la suocera, che inizialmente aveva brontolato, al trasloco aveva esclamato: “Ginevra, sei un’angelo, questa casa è un sogno!”
Poi era iniziato il problema.
Ogni venerdì, puntuali come un orologio, arrivavano Valeria, Irene, suo marito Matteo e i loro tre figli. Non erano semplici ospiti, ma veri e propri occupanti. Da mangiare? Tocca a Ginevra. Da pulire? Ancora lei. Nessun aiuto, nessun grazie. Quando ne parlò con Flavio, lui la liquidò: “Ma dai, sono famiglia. Dobbiamo sostenerli.”
Una volta osò persino chiedere a Irene di lavare i piatti. La risposta fu gelida: “Sai che ho appena fatto la manicure? Non posso rovinarmela.” Ginevra serrò i denti e andò a lavarli in silenzio.
Quando Irene arrivò senza Matteo, Ginevra tirò un sospiro di sollievo. Uno in meno. Ma la tranquillità durò poco: Irene vagava per casa come un fantasma, piangeva di notte e sgridava i bambini. Poi Valeria spiegò tutto: Matteo aveva chiesto il divorzio. E non solo – aveva cacciato Irene con i figli, sostenendo che l’appartamento era solo suo e non c’era nulla da dividere.
“Ma io non posso tenerla con me!” si giustificò Valeria. “Ho una mia vita. Sto per risposarmi. Che stiano da voi.”
Ginevra si bloccò. Da loro? Con i bambini? E per quanto?
Flavio abbassò lo sguardo:
“Non possiamo abbandonarla. È nostra sorella. Dobbiamo aiutarla.”
Irene si trasferì. E se prima Ginevra almeno nei weekend respirava, adesso ogni giorno era un misto tra mensa e asilo. Né Irene né i bambini davano una mano – tutto ricadeva su di lei. E Flavio… si limitava a irritarsi: “Smettila di lamentarti. Sopporta un po’.”
Due mesi dopo, la pazienza di Ginevra esplose. Dopo un’ennesima lite, fece le valigie e andò a casa di un’amica.
Valeria chiamò con tono glaciale:
“Hai fatto bene. Vattene. Non meriti il nostro cognome. La casa, comunque, resterà a Irene. Flavio l’ha costruita sul nostro terreno. A te non appartiene nulla.”
Flavio capì troppo tardi. Andò da Ginevra di persona. Le disse che aveva cacciato Irene e i bambini, che finalmente aveva capito dove fosse la sua vera famiglia. Voleva che tornasse.
Ginevra accettò. Ma non era più la stessa. Ora era forte. E aveva una condizione: mai più estranei nella sua casa.
Valeria li cancellò dalla sua vita. Ma Ginevra non se ne pentì.
A volte, per costruire la propria felicità, bisogna imparare a dire “no” anche a chi si è abituati a chiamare famiglia.