Scuse, dolcezza…

Elena, perdonami…

Lorenzo socchiuse un occhio e subito si richiuse le palpebre. Il basso sole di marzo filtrava implacabile dalla finestra, colpendogli il volto con precisione chirurgica. Si contorse tra le lenzuola sgualcite, cercando di sfuggire a quel raggio di luce.

“Ti sei svegliato, Erode?” risuonò la voce della moglie. “Apri quei tuoi occhi sfacciati, voglio guardarci dentro. Gli altri mariti portano regali, fiori alle mogli. E tu ieri ti sei ubriacato fino a perdere i sensi. Ti ricordi almeno che oggi è festa?”

Lorenzo si ritrasse verso il muro e riuscì finalmente a spalancare gli occhi. Tra le strette fessure delle palpebre, simili a ferite di battaglia, intravide Elena. Lei era in piedi, le mani appoggiate sui fianchi pronunciati, lo sguardo torvo.

“Q-quale festa?” domandò, sinceramente sorpreso.

“L’8 marzo, già che ci sei. La festa della donna. Se la dovrei godere io, e invece sei finito a sbronzarti. Non hai nemmeno vergogna? Pensavo di passare la serata insieme, con un bicchiere di vino. La figlia me ne aveva portato una bottiglia buona, l’avevo nascosta per l’occasione. E tu, sanguisuga, l’hai trovata e trangugiata tutta da solo. Non ti bastava la grappa?”

Lorenzo non fece in tempo a proteggersi che la ciabatta, lanciata con precisione dalla moglie, lo colpì in pieno sulla fronte.

“Eccoci qua…”
Dalla seconda ciabatta riuscì a ripararsi sotto le coperte. Per fortuna erano solo un paio. Sporse il naso dal suo nascondiglio.

“Elena, perdonami. Ti giuro che rimedierò,” singhiozzò Lorenzo, tentando di alzarsi ma impigliandosi nel copripiumino.

La moglie lo ignorò e sparì in cucina. Da lì si udì un fragore di steli e pentole. Quando cominciava a far rumore così, voleva dire che era furiosa e la lite sarebbe durata a oltranza.

Lorenzo decise di non cercare guai e di sgattaiolare via da casa. Si infilò di lato lungo il corridoio, sfiorando la cucina, e raggiunse il bagno. Si schizzò acqua fredda sul viso, liberò un bicchiere dagli spazzolini, lo riempì e lo bevve avidamente. Con la mano bagnata si lisciò i capelli radi. Elena continuava a sbattere le pentole.

Tornò in punta di piedi in camera, si vestì in fretta e raggiunse l’ingresso. Mentre infilava le scarpe, perse l’equilibrio e quasi cadde. Al rumore, Elena sbucò dalla cucina.

“Dove credi di andare, alcolizzato?”

“Elena, torno subito… Faccio in po’…” Lorenzo strappò dal gancio la giacca e indietreggiò verso la porta.

“Fermo!” ordinò Elena avanzando con il petto prosperante, ma lui era già scivolato fuori, sbattendo la porta davanti al naso della moglie.

“Se osi tornare, ti farò vedere io…” risuonò da dietro la porta.
Lorenzo non volle ascoltare le minacce e si affrettò giù per le scale.

Fuori splendeva il sole, il ghiaccio si scioglieva sui cornicioni con un ticchettio allegro e qua e là l’asfalto consumato riaffiorava. Incontrava uomini con rami gialli di mimosa o mazzi di tulipani variopinti.

“Scusi, mi sa quanto sono le?” chiese a un passante con un mazzo di mimosa in mano.

“Ormai è ora di disintoxicarsi,” borbottò l’uomo voltandogli le spalle.

“Suggerimento prezioso,” borbottò Lorenzo, continuando a camminare. In realtà voleva sapere dove comprare i fiori, ma per qualche motivo aveva chiesto l’ora.

“Ragazzo, dove hai preso quei fiori?” domandò a un giovane.

“Laggiù,” fece il ragazzo accennando dietro di sé.

“Grazie,” disse Lorenzo, dirigendosi verso la direzione indicata.
Poco dopo scorse una donna vicino a un semaforo. Ai suoi piedi, una scatola da cui spuntavano rami di mimosa come pulcini gialli.

Affrettò il passo. Desiderava tanto comprare i fiori per rabbonire Elena e, se fortunasse, ottenere il tanto agognato bicchierino di grappa per la festa. Ma quando arrivò, sul fondo della scatola restava solo un esile ramoscello.

“Prendi questo, te lo sconto,” disse la donna, fissandolo con un’occhiata complice.

“Vorrei un mazzo. Per la moglie. Non ne hai altri?”

“No, nulla,” lo canzonò. “Se vuoi aspetta, tra poco ne portano altri.”

Lorenzo rifletté e decise che quel ramoscello misero avrebbe solo aggravato la sua posizione. Se tanti uomini camminavano con fiori, da qualche parte si trovavano ancora. E riprese a camminare. Lunghe la strada, pensò di controllare le tasche. Non ricordava se avesse soldi, e Elena poteva averglieli confiscati per evitare altre sbronze.

Si fermò e frugò nelle tasche, trovando una banconota da cinque euro stropicciata. Quanto costavano i fiori non aveva idea. Davanti a una macchina era radunata gente. Sentendo il prezzo dei mazzi di tulipani, si scoraggiò.

“Uno solo?” gli chiese un venditore barbuto con un accento meridionale.

“Ho solo questo.” Lorenzo mostrò i cinque euro.

“Con questi soldi ti posso dare un fiore. Lo vuoi?”

Lorenzo rifletté che un tulipano solo, come quel ramoscello di mimosa, non avrebbe cancellato la sua colpa, e si allontanò.

Sforzò la memoria per ricordare chi potesse prestargli soldi. “Alessandro mi deve dieci euro! Che me li restituisca!” decise, e si avviò verso casa sua. In realtà avevano bevuto insieme, ma con i suoi soldi, quindi era un debito legittimo.

“Chi è?” domandò da dietro la porta Giulia, la moglie di Alessandro.
Era una donna insopportabile, che teneva il marito sotto una campana di vetro. Quando riusciva a scappare, sfogava tutto il suo scontento. Alessandro la chiamava “la Peste.”

“Son io,” disse Lorenzo, chinando verso la serratura.

“Cosa vuoi?” domandò Giulia.

“Chiama Alessandro. Mi deve dieci euro. Mi servono subito.”

Premette l’orecchio alla serratura, ma Giulia taceva. Probabilmente stava digerendo l’informazione.

“Eccoti servito!” gridò dopo un attimo la Peste.

Lorenzo indietreggiò. La serratura scattò e dall’apertura apparve una mano con le dita a forcella.

“Prendi questo!” urlò Giulia.

Lorenzo non esitò: tirò la porta verso di sé. Per la sorpresa, Giulia gli fu davanti in un baleno. Il dito medio le sfiorò il naso. Dietro di lei, intravide il corpo mingherlino di Alessandro in una maglietta sporca di vino e mutande a fiori.

“Alessandro, fa’ l’uomo…” fece in tempo a gridare prima che Giulia sbattesse la porta.

“Oh, santo Dio…” imprecò.
“Dove troviamo soldi? Avrei dovuto frugare nel cappotto di Elena. Sempre monetine ci sono,” ricordò tardamente il maldestro cacciatore di fiori. “Se fosse estate, ne avrei colti a manciate. Chi ha avuto l’idea di mettere la festa a marzo, coi marcia a terra?”

Ma tornareLorenzo si avviò verso casa con il cuore gonfio di speranza, deciso a trovare un modo per dimostrare a Elena che, nonostante tutto, il suo amore per lei era ancora vivo come il primo giorno.

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