Le ho detto: “Se avessi almeno un briciolo di coscienza, laveresti i piatti almeno una volta.” Ma mio figlio mi ha accusato di distruggere la sua famiglia.
Avevo solo 22 anni quando mio marito ci ha lasciati. Con un figlio di due anni tra le braccia, Matteo. Lui, evidentemente, si sentiva oppresso dai doveri familiari: lavorare, portare a casa i soldi, pensare a qualcuno oltre che a sé stesso. Ma voleva altro: una vita facile, divertimenti, donne più giovani. E se n’è andato. Semplicemente, una sera non è più tornato a casa. Non importa che tipo di marito fosse, in qualche modo era più facile affrontare tutto insieme. E invece, tutto è crollato sulle mie spalle.
Matteo è andato all’asilo, io a lavorare. Giorno dopo giorno. A volte tornavo a casa distrutta. Ma la casa era sempre in ordine, la cena pronta, mio figlio pulito, sazio, con i vestiti stirati. Così mi aveva cresciuta mia madre. La generazione di allora era completamente diversa.
Non nascondo che ho viziato Matteo. A ventisette anni non sa nemmeno friggere le patate. Ho fatto tutto per lui. Poi si è sposato. Mi ero persino rallegrata: che fosse sua moglie a prendersi cura di lui. Io, finalmente, avrei pensato a me stessa. Forse avrei trovato un lavoretto in più o mi sarei semplicemente riposata dopo tutti questi anni. Ma non è andata così.
Matteo mi ha detto: “Mamma, io e Giulia vivremo da te per un po’, finché non decidiamo cosa fare.” Va bene, li ho ospitati. Pensavo: giovani, che vivano la loro vita. Giulia avrebbe cucinato, lavato, pulito, come fa una brava moglie. Avrei sopportato. Ma è successo l’esatto contrario.
Giulia era, per dirla in modo gentile, poco incline alle faccende domestiche. Non puliva, non lavava, non stirava né i suoi vestiti né quelli di Matteo. Non sparecchiava nemmeno la tazza del caffè. Per tre mesi ho vissuto come in un dormitorio, mancava solo che assegnassi i turni ai fornelli. Cucinavo per tre, pulivo, lavavo, portavo fuori la spazzatura. E loro? Giulia passava le giornate a scrollare il telefono o a uscire con le amiche. Matteo lavorava, lei non faceva nulla.
Quando tornavo a casa dopo il turno, trovavo il caos. I piatti sporchi nel lavandino, briciole sul tavolo, capelli per terra. Il frigo, vuoto. Niente minestra, niente pasta al forno, nemmeno un uovo fritto. Tutto ricadeva su di me: vai al supermercato, compra la spesa, cucina, poi pulisci anche tutto quello che lasciano indietro.
E così per settimane. Una volta Giulia è venuta in cucina mentre lavavo i piatti e ha posato con calma un piatto sul lavello. Vecchio, con resti di cibo e moscerini. Chiaro che era rimasto nella sua stanza per giorni. Non ce l’ho fatta.
Le ho detto: “Giulia, se hai un minimo di dignità, lava i piatti. Almeno una volta. Non sono la tua domestica. Lavoro, sono stanca. Tu sei giovane, forte, una donna adulta. Cosa ti costa portare un piatto e lavarlo?”
E sai cos’ha fatto? Il giorno dopo se ne sono andati. Hanno affittato un appartamento e sono spariti senza salutare. E Matteo poi mi ha detto: “Tu stai distruggendo la mia famiglia. Non sei mai contenta. Fai sempre le pulci.” Io? Io, che li ho sfamati, pulito per loro, lavato i loro panni, sopportato la loro indolenza per mesi?
Ora non mi metto più in mezzo. La mia casa è pulita e tranquilla. Mi prendo cura solo di me stessa. Che gioia tornare a casa e non trovare una padella bruciata sul fornello. I giovani di oggi non sanno cosa sia il sacrificio. Vogliono tutto servito su un piatto d’argento. E il rispetto? Neanche l’ombra.