La suocera si accomodò in cucina con la solita aria di superiorità, sistemandosi la vecchia maglia di lana che sembrava parte del suo corpo. “Giovanna, prepara una torta di verdure per domani,” ordinò, aggrottando le ciglia. “Non mangio un dolce decente da settimane. Tu cucini sempre quelle strane ricette esotiche.”
Giovanna distolse lo sguardo dai peperoni che stava soffriggendo per la cena. “Sono allergica agli spinaci, signora Lombardi,” rispose con calma, senza alzare la voce. “Non la farò.”
“Come osi rifiutarti?” la suocera sbatté una mano sul tavolo. “Nella mia epoca, le nuore rispettavano i desideri degli anziani!”
“Non è questione di rispetto,” replicò Giovanna, spostando la padella. “Se cucino gli spinaci, mi viene uneruzione cutanea. Se li vuole così tanto, li prepari da sola.”
“Da sola?” La signora Lombardi si alzò di scatto, gonfiando il petto. “Non sono la tua domestica! Sei tu la padrona di casa, dunque cucini ciò che dico io! E la tua allergia è una scusasei solo pigra!”
Le chiavi tintinnarono nellingressoMarco era tornato. La suocera cambiò immediatamente espressione, assumendo unaria di vittima sofferente. “Marco, figlio mio, finalmente! Tua moglie è diventata insolente! Le ho chiesto una torta e mi ha risposto male!”
Marco si tolse la giacca, stanco, e lanciò a Giovanna uno sguardo accusatorio. “Cosè questa storia? Perché rifiuti di aiutare mia madre?”
“Gli spinaci mi fanno male, Marco,” rispose lei, tenendo la schiena dritta.
“Ma che sciocchezze!” lui sbuffò. “Mamma, non preoccuparti. Giovanna farà la torta domani. Vero, cara?”
Giovanna lo fissò, poi la suocera, che sorrideva trionfante. Un nodo le serrò la gola. “No, non la farò,” disse, appoggiando il mestolo. “Cenate pure da soli.”
Si chiuse in camera, lasciando la suocera e il marito a chiacchierare come se nulla fosse accaduto. Le lacrime le bruciarono gli occhi, ma questa volta non le trattenne.
La mattina dopo, Marco sorseggiava il caffè al tavolo della cucina quando Giovanna si sedette di fronte a lui. “Dobbiamo parlare. Di tua madre.”
Lui alzò lo sguardo dal telefono. “Di cosa?”
“Non ne posso più delle sue critiche. Questo non è più vivere.”
“Non esagerare,” borbottò, scrollando le spalle. “Mamma ha le sue abitudini, ma non è cattiva.”
“Abitudini?” Giovanna strinse le mani. “Chiami così il comandare come un generale? Forse dovremmo cercarle un appartamento suo.”
Marco sbatté la tazza sul tavolo. “Vuoi buttare mia madre in strada?”
“Non ho detto questo! Solo che forse staremmo tutti meglio”
“Basta!” Si alzò di colpo, gli occhi pieni di rabbia. “Mamma resta con noi. Punto.”
Uscì sbattendo la porta, lasciando Giovanna sola con il suo caffè mezzo bevuto.
Mezzora dopo, la signora Lombardi entrò in cucina, già pronta a riprendere il comando. “Che scenata hai fatto ieri! Ma mio figlio ha capito chi comanda qui.” Si sistemò sulla sedia come un giudice. “Oggi pulirai tutta la casa. Finché non brilla!”
Qualcosa dentro Giovanna si spezzò. “No,” disse, la voce improvvisamente ferma. “Non obbedirò più. Non sono la tua serva.”
La suocera arrossì, furiosa. “Se continui così, mio figlio ti butterà fuori!”
“Ti sei dimenticata di chi è questa casa,” sibilò Giovanna, avanzando. “La comprai io, prima di conoscere Marco. Se non cambi atteggiamento, non sarò io a finire in stradama tu!”
La signora Lombardi indietreggiò, scioccata, poi corse a chiamare il figlio. “È impazzita! Mi minaccia!”
Quando Marco tornò, era furioso. “Come ti permetti di insultare mia madre?” urlò, il volto contratto.
“Le ho solo ricordato la verità,” rispose Giovanna, aprendo la porta. “E adesso scegli: o lei se ne va, o ve ne andate insieme.”
Per la prima volta, Marco la guardò senza certezze. Ma Giovanna non cedette. “Io resto qui. Nella mia casa. Con la mia pace.”
Il sollievo fu come unonda tiepida. Finalmente libera.




