Se lo vuoi, fallo tu

**1 settembre 2023**

Oggi ho capito una cosa importante.

Mamma, tu hai avuto Enzo per te, non per me. Occupatevene voi. Io devo riposarmi prima di tornare a studiare.
Matteo, non ti chiedo così spesso. Solo oggi, accompagnalo a scuola. È il primo giorno, tutti saranno con i genitori…
Appunto, con i genitori, linterruppe. E dove eravate voi quando toccava a me? Sempre con il piccolo. Fatelo andare da solo, non gli farà male.
Non sempre… Solo un paio di volte. E non era colpa nostra…
Allora oggi sarà unaltra di quelle volte, rispose lui, bevendo un sorso di tè.

Mi sono sentita persa. Non mi aspettavo una reazione così dura. Dopotutto, io e suo padre lo manteniamo, e lui non vuole fare la sua parte.

Ascolta, dissi, incrociando le braccia. Viviamo in famiglia. E in famiglia ci si aiuta. Noi ti sosteniamo: soldi, cibo, pulizie, persino in camera tua. Un po di reciprocità non guasterebbe.
Io non vi ho chiesto di pulire la mia stanza. E posso vivere senza i vostri soldi. Ho diciotto anni, non sono un bambino né una babysitter. Anche la mia opinione conta.

Prese la tazza e se ne andò in camera. Io rimasi lì, con un peso sul cuore e la certezza che mio figlio fosse diventato un egoista.

Ma quando era successo?

Il mio primo matrimonio fu un fallimento. Il padre di Matteo non è mai cresciuto: sempre sul divano, tra videogiochi e telefono, invece di costruire una famiglia. Lavorava poco e male. Alla fine, chiesi il divorzio e tornai da mia madre.

Quando sposai Marco, Matteo aveva cinque anni. Letà giusta per accettare un nuovo padre. E Marco ci riuscì, diventando presto “papà”.

Poi, quando Matteo ne aveva dieci, nacque Enzo. Forse fu lì che tutto iniziò a sgretolarsi, senza che me ne accorgessi.

Quellanno, Matteo andò a scuola da solo. Io ero ancora debole dopo il parto, Marco lavorava, i nonni erano lontani.

Matteo, tesoro, capisci, vero? Sei grande, puoi andarci da solo… dissi, sentendomi in colpa.
Va bene, sospirò. Non sono più un bambino.

Allora pensai che fosse tutto a posto. Invece, lui non aveva dimenticato.

Tre anni dopo, la storia si ripeté. Stavolta non potevo accompagnarlo perché Enzo si era ammalato allasilo.

Enzo si ammalava spesso. Una volta portò la varicella, proprio prima che Matteo partisse per una gita scolastica a Roma. Finì che rimase a casa.

Mamma, capisco, ma sono stanco di ammalarmi. Non potete tenerlo in quarantena? sbottò, mentre gli passavo il disinfettante.
Matteo, siamo una famiglia… Non posso isolarmi completamente.

Capivo la sua frustrazione. Ogni volta che Enzo si ammalava, toccava anche a lui. Ma per me era inevitabile.

Col tempo, Matteo iniziò a rifiutarsi di aiutare. Prima con scuse, poi apertamente.

Perché devo pulire il salotto se non ci vado mai? Siete voi e Enzo a usarlo, disse una volta.
Ma mangi in cucina, e sono io che la pulisco, ribattei.
Perché sei maniaca della pulizia. Io vivrei benissimo senza. Se ti serve, pulisci tu.

A volte lo obbligavo, altre lasciavo perdere. Fino a oggi.

Nessuno poteva accompagnare Enzo a scuola. I nonni lontani, Marco in trasferta, io al lavoro. E Matteo, per la prima volta, si rifiutò.

Chiamai Marco.

Vuole fare ladulto? Bene, glielo facciamo provare, disse serio.
Senza esagerare… Non vogliamo perderlo.
Se scappa, peggio per lui. Vediamo come farà senza “papà, portami qui” o “mamma, ritira il pacco per me”.

Aveva ragione, ma avevo paura. Marco era testardo e avrebbe potuto essere troppo duro.

Alla fine, risolsi con laiuto di una mia amica, Lucia, che accompagnò Enzo.

Grazie, mi hai salvata, le dissi.
Tranquilla, sorrise. Anche tu hai aiutato me.

Le confidai i miei dubbi su Matteo. Lucia, che aveva solo ventisei anni, capì subito.

Lo comprendo. Anchio dovevo badare alle sorelle minori, disse. Forse lo pressi troppo. Per lui, pulire o occuparsi di Enzo sono cose tue. Ma capisco anche te. È famiglia.
Voglio solo un po di equità.
Per te è un dovere, per lui una pretesa. Io la pensavo come lui.

Marco, al ritorno, propose di affittargli un bilocale per due mesi.

Capisco. Mi cacciate, borbottò Matteo, prendendo le chiavi.
Non è così. Ti vogliamo qui, ma se non vuoi condividere le responsabilità, impara a vivere da solo, spiegò Marco. Ti aiutiamo ancora, ma la reciprocità è fondamentale.

Per un mese, Matteo evitò ogni contatto. Poi iniziò a chiedere consigli: come pulire, cucinare. Lo invitai a cena, gli diedi provviste.

Ci manchi, gli dissi.

Lui mi strinse forte.

Al terzo mese, chiese di parlare. Laffitto era finito, e forse era in difficoltà.

Voglio tornare, disse. Ma solo se sarà equo. Enzo è vostra responsabilità, non mia.

Prima mi sarei arrabbiata, ma ora capivo.

È tuo fratello, sbuffò Marco.
Basta, intervenni. Enzo è nostro figlio. Matteo non deve occuparsene, ma collaborerà in casa.

Stabilimmo le regole: pulizie, turni, la sua stanza off-limits.

Affare fatto, sorrise. Potrei anche cucinare per tutti.

Quella sera, mangiammo insieme come una famiglia vera. E per la prima volta, non cera rancore.

“Hai finalmente capito,” pensai. Ma forse, anche io ho imparato qualcosa. A volte, basta ascoltare e cercare un compromesso.

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