«Se non permetti a mia madre di vivere con noi, chiederò il divorzio»: e lo fece…
Un uomo che ti giura amore e fedeltà può in un attimo trasformarsi in uno straniero. Soprattutto quando ti trovi davanti a una scelta: salvare la famiglia o proteggerti dalla distruzione totale. Io l’ho vissuto.
Quando io e Marco ci siamo sposati, non avevamo una casa nostra. Vivevamo con i suoi genitori in un bilocale, stretto ma sopportabile. Finché un giorno il patrigno non tornò a casa e trovò sua moglie, la suocera, con un amante. Più giovane, arrogante, con la presunzione di “salvatore della vita”. Le aveva sussurrato di nuovi orizzonti e “montagne d’oro”, ma a una condizione:
«Vendi l’appartamento. Trasferiamoci in un’altra città. Ricominceremo da zero».
Cercammo di far ragionare Elena Maria:
«Ti sta ingannando. Rimanderai senza un tetto sulla testa».
Ma lei sbuffò:
«Siete solo invidiosi della mia felicità. Non vi immischiate».
Una settimana dopo, io e nostro figlio neonato ci ritrovammo per strada. L’appartamento era venduto, noi cacciati. Marco lavorava giorno e notte, io stavo a casa col bambino e scrivevo tesi universitarie di notte per arrotondare. A malapena riuscivamo a pagare l’affitto, ma resistevamo per il futuro.
Stavamo per chiedere un mutuo quando il destino ci sorrise: morì una zia lontana, senza figli, e nel testamento lasciò a me un appartamento a Bologna. Spazioso, pieno di luce, con finestre sul cortile. Con i soldi che avevamo risparmiato per l’acconto, lo ristrutturammo. Finalmente, dopo tanto tempo, potevo respirare.
Ma la tranquillità durò poco.
Una sera, mentre lavavo i piatti, bussarono alla porta. Sulla soglia c’era Elena Maria. Il viso gonfio di pianto, gli occhi da cagna bastonata.
«Figlioli… mi ha cacciato… Ho perso tutto. Sono rimasta con una borsa. Aiutatemi…»
Io e Marco ci scambiammo un’occhiata. Vidi il suo volto ammorbidirsi. La prese per le spalle, la fece sedere in cucina, le versò un tè. Io rimasi lì, senza sentire nulla, solo un dolore sordo e accecante. Perché l’avevamo avvertita, supplicata di non fare stupidaggini. E invece non solo non ci ascoltò, ma ci cacciò con un neonato quando ancora poteva evitarlo.
Marco mi guardò:
«Non può farcela da sola. Non possiamo abbandonarla. È mia madre».
Strinsi le labbra:
«Ci ha gettato via come spazzatura. E ora vuoi che viva qui? In questa casa? Dove abbiamo appena ricominciato a respirare?»
Elena Maria non stette zitta:
«Marco, non posso vivere per strada… Aiutami… Ho capito, non lo farò più…»
E allora lui disse la frase che mi squarciò il cuore:
«Se non accetti che mia madre viva con noi, chiederò il divorzio».
Mi sembrò di diventare cieca. Un ronzio nelle orecchie. Il cuore mi cadde a pezzi. Ma rimasi calma. Dicono che prima di morire, l’anima tace.
«Bene» risposi. «È la tua scelta. Ma lascia le chiavi. Qui vivrà solo chi mi rispetta».
Una settimana dopo, fece domanda di divorzio.
Se ne andò. Con sua madre. In un appartamento in affitto. Io rimasi sola, con nostro figlio e il cuore in frantumi. Ma non mi pento. Perché non ho aperto la porta a una donna che ci tradì, e non ho permesso a un uomo di decidere con chi condividere il mio tetto.
L’amore non dovrebbe porre condizioni. Soprattutto queste.
Ora so una cosa: la famiglia non è questione di sangue. È questione di rispetto. Di confini. Di scelte che si fanno quando la vita diventa difficile. Marco fece la sua. E io la mia.