“Se non ti piace mia madre, vattene!” disse il marito, senza aspettarsi che la moglie lo facesse davvero.
La sera stava per finire, e nell’appartamento dove vivevano Nina, suo marito Antonio e la suocera Vera Pavlovna, di solito regnava la quiete. Ma oggi era andato tutto storto fin dal mattino. Il piccolo Matteo, di due anni, era capriccioso, Vera Pavlovna trovava sempre motivo di lamentarsi, e Nina si sentiva esausta. Aveva fatto del suo meglio: cucinato i piatti preferiti della suocera, pulito la casa, si era occupata di Matteo. Ma accontentare Vera Pavlovna era impossibile.
“Nina, hai messo gli asciugamani nel modo sbagliato,” brontolava Vera Pavlovna passando davanti al bagno. “Quante volte devo dirtelo? Langolo deve essere rivolto verso di te, non allopposto!”
Oppure:
“Hai vestito male il bambino, Nina! Fuori fa fresco e tu lhai messo in una felpa leggera! Si ammalerà!”
Nina sospirava ogni volta. Non litigava, sopportava, sperando che con il tempo le cose sarebbero migliorate, che Vera Pavlovna si sarebbe abituata a lei, a Matteo, alla loro vita insieme. Antonio, quando la situazione diventava insopportabile, di solito rimaneva in silenzio. Se Nina cercava di lamentarsi, lui rispondeva con indifferenza:
“Dai, non farci caso, Nina. Mamma è anziana, ha i nervi fragili.”
Nina stava preparando una sorpresa per il loro anniversario di matrimonio. Aveva ordinato una piccola torta, comprato una nuova cintura di pelle che Antonio desiderava da tempo. Voleva organizzare una serata intima, solo per loro trecon Matteo, ovviamente.
Il giorno della festa, mentre la cena era quasi pronta e Matteo, per fortuna, si era addormentato, Vera Pavlovna fece unaltra scenata. Questa volta perché Nina, secondo lei, aveva “salato troppo la minestra”. Nonostante il brodo fosse perfettamente normale.
“È immangiabile!” gridava la suocera, battendo il cucchiaio sul tavolo. “Vuoi avvelenarci? Nina, non sai proprio cucinare!”
Nina stava vicino ai fornelli, stringendo il mestolo. Lanniversario, la torta, la sorpresatutto stava andando a rotoli. Si girò verso Antonio, seduto a tavola con lo sguardo basso. Sperava che finalmente dicesse qualcosa, che la difendesse, che mettesse fine a quellassurdo. Ma lui taceva.
“Antonio,” disse piano Nina. “Che ne dici?”
Si alzò, uscì lentamente dalla cucina nel corridoio. Nina lo seguì.
“Mamma ha ragione,” disse Antonio senza guardarla. “Fai sempre qualcosa di sbagliato.”
Le lacrime salirono agli occhi di Nina. Era la goccia che fece traboccare il vaso. Guardò il marito, mentre lui fissava il muro.
“Ma ti rendi conto di quello che dici?” la sua voce tremò. “Oggi è il nostro anniversario! Io ho cucinato, mi sono impegnata! E tua madre”
Antonio si voltò di scatto. Nei suoi occhi non cera rabbia, solo stanchezza e una certa indifferenza.
“Se non ti piace mia madre, vattene.”
Queste parole furono pronunciate con tale normalità, con tale banalità, che Nina non ne comprese subito il peso. Le aveva dette come se le stesse dando un consiglio, non emettendo un verdetto. Poi si voltò e andò in camera. La cena era rovinata. La festa era rovinata. Tutto era rovinato.
Nina sedeva sul letto nella loro camera, abbracciando Matteo addormentato. Le lacrime si erano asciugate, lasciando strisce salate sul viso. Era sotto shock. Aveva detto: “Vattene.” Era serio? Quella era la loro casa. La loro famiglia. Era davvero disposto a rinunciare a lei, a loro figlio, così facilmente? Non fece le valigie. Non riusciva a credere che tutto fosse reale. Sembrava un brutto sogno che sarebbe finito al mattino.
Passò un giorno. Poi un altro. Antonio non si scusò. Si comportava freddamente, distante. Tornava dal lavoro, mangiava in silenzio, poi andava nella sua stanza o si metteva al computer. Non parlava quasi con lei. Giocava con Matteo solo per formalità, senza lentusiasmo di prima.
Quando Nina cercò di parlargli, la respinse.
“Mamma è molto offesa. Dice che lhai insultata.”
“Lho insultata io?” Nina non credeva alle proprie orecchie. “Lei mi ha urlato contro per la minestra!”
“Non importa,” tagliò corto Antonio. “È tutto nelle tue mani. Fai il primo passo. Scusati. Forse allora ti perdonerà.”
Nelle sue parole non cera riconciliazione. Solo un ultimatum. E Nina cominciò a capire. Quella non era la sua casa. Lei era solo unospite. Era tollerata finché era utile, finché svolgeva tutte le funzioni. Ma appena smetteva di essere perfetta, poteva essere buttata via come un oggetto inutile. La paura che aveva provato il primo giorno lasciò il posto a una consapevolezza cupa e opprimente. Quella non era una famiglia. Era un gioco di lealtà a senso unico. Lei doveva essere leale ad Antonio, a sua madre, ai loro capricci. Loro non dovevano nulla a lei.
Guardò Matteo che dormiva. Quel posto non era per lui. Non era per lei. Quella casa, quellatmosferala stavano distruggendo. Lentamente, ma inesorabilmente. E Antonio, suo marito, se ne stava a guardare. Anzi, laveva spinta lui stesso verso il baratro.
Antonio era seduto al bar con il suo amico Andrea. Parlava lentamente, pesando ogni parola.
“Senti, vecchio mio, con M con Nina cè un problema,” cominciò. “Ecco, un blocco.”
Andrea sorseggiò il caffè.
“Di nuovo? La suocera?”
Antonio annuì.
“Eh già. Mamma è anziana, ha i nervi a pezzi. E Nina è giovane, dovrebbe adattarsi. Ma non vuole. Sempre offese, sempre pretese.”
Si sentiva esausto da quella lotta continua. Era stanco delle discussioni, delle critiche di sua madre, del malcontento di Nina. Voleva solo pace.
“Sono stanco di tutte queste lamentele,” continuò Antonio, allargando le mani. “Sinceramenteforse sarebbe meglio separarsi. Sono stufo di vivere in continua tensione. Da una parte mia madre, dallaltra lei. E io in mezzo. A che mi serve tutto questo?”
Andrea ascoltava in silenzio.
“Glielho detto chiaramente: se non ti piace mia madre, vattene. Che altro potevo dire? Mamma è sacra. Mi ha cresciuto. È sola. E lei, Nina, è sempre insoddisfatta.”
Nella sua voce non cera rimorso. Solo rabbia e il desiderio di liberarsi del problema. Non voleva prendersi la responsabilità. Voleva che fosse Nina a decidere. Che se ne andasse da sola. Così la sua coscienza sarebbe rimasta pulita. Non lavrebbe “cacciata”. Lei avrebbe “deciso” di andarsene.
“Che decida lei,” ripeté, come per convincere se stesso. “Sono stanco. Voglio vivere in pace. Tornare a casa e trovare silenzio. Senza lamentele.”
Non vedeva la propria colpa. Era convinto che fosse tutta colpa di Nina, che non riuscisse ad andare daccordo con sua madre. Non voleva ammettere che il problema era la sua inazione, il suo rifiuto di difendere la moglie. Voleva solo che il problema sparisse. E per lui lunico modo