Seconda Opportunità

**Diario di Fiammetta: Un Secondo Possibile**

Il cuore di Fiammetta era greve, come sempre accade dopo una visita al cimitero. Nell’autobus con lei c’erano altre poche persone, tutte assorte nei propri pensieri.

La città apparve quando il mezzo lasciò la tangenziale. Case basse, di uno o due piani, allineate ai margini del quartiere. Presto sarebbero scomparse, rimpiazzate da nuovi complessi residenziali con strade larghe e palazzine moderne.

Spinta da un impulso, Fiammetta scese alla fermata più vicina. «E se la prossima volta che torno, questo posto non esistesse più?» Camminò tra le strade con quelle modeste abitazioni scrostate, il cuore stretto dall’ansia di non ritrovare la sua casa, dove aveva vissuto gli anni più felici.

Molte finestre erano rotte, i portoni spalancati come bocche in un urlo muto. Gli inquilini erano già stati trasferiti in alloggi nuovi e confortevoli. Solo macchine e autobus passavano distratti. Eccola, la sua casa. Fiammetta la riconobbe con un sorriso, come un’amica ritrovata.

Senza vita, vuota. Rimaneva solo la panchina vicino all’ingresso, annerita dal tempo. A due case di distanza, già svettava la gru pronta a demolire tutto.

Chiuse gli occhi e per un attimo rivide sua madre affacciata alla finestra del secondo piano, che la cercava tra le bambine che giocavano a campana nel cortile. Dalle finestre aperte arrivavano rumori di piatti, odore di cipolla soffritta. In qualche appartamento, la tv sussurrava. E dalla finestra di zia Rosina, la voce stridula che rimproverava il marito ubriaco.

«Fiamma, a tavola!» La voce chiara di sua madre risuonò dal passato.
Fiammetta trasalì, riaprendo gli occhi. Niente madre, nessuno. Solo finestre vuote che la guardavano, indifferenti.

Ma ormai non poteva fermare i ricordi che tornavano, vividi…

***

«Fiamma, a tavola!» gridava sua madre dalla finestra.
Lei correva su per le scale sconnesse, entrava in casa e già nell’ingresso sentiva: «Lavati le mani e siediti!» E suo padre, seduto tra il tavolo e il frigo, leggeva il giornale aspettando che tutti fossero pronti.

Fiammetta rivide tutto con tale chiarezza da sentire persino l’odore della minestra agra. Le lacrime le rigarono il viso, e con le dita le asciugò in fretta.

Poi il ricordo di quando, con lo zaino in spalla, andava a scuola. A pochi passi da casa, sentì la corsa affannosa di Giorgio.

«Fiamma, aspetta!» gridò lui, raggiungendola. «Mi fai copiare i compiti di matematica?»
«Perché non sei passato ieri sera?» chiese lei.
«Tua madre mi guarda sempre come se volessi rubarle qualcosa.»
«Smettila di inventare.» Fiammetta gli lanciò un’occhiata di sbieco.
Quanto era cambiato quell’estate! Si era allungato, i capelli scuri schiariti dal sole, la pelle olivastra ancora più scura. La maglietta gli scopriva il collo sottile, dove una vena pulsava. Le pareva di vederla, ma no, era solo un ricordo.

Quando era diventato così? Fiammetta quasi non riconosceva più Giorgio, il compagno d’infanzia che abitava nello stesso palazzo, al primo piano. L’aveva vista dalla finestra ed era corso fuori.

Lui avvertì il suo sguardo e la fissò a sua volta. Lei non fece in tempo a distogliere gli occhi. Quel colore ambrato le bruciò come acqua bollente, le guance e le orecchie si incendiarono, il cuore le batteva irregolare.

I loro padri lavoravano entrambi alla fabbrica, che aveva concesso quegli alloggi. La madre di Giorgio era contabile lì, la sua infermiera all’ospedale. La fabbrica era vicina, con i suoi alti camini fumanti.

«Dove andrai a studiare?» chiese improvvisamente Fiammetta.
«Al Politecnico. Diventerò ingegnere, poi direttore, e cambierò tutto qui.»
«Davvero?» rise lei. «Mai sentito nessuno sognare di dirigere una fabbrica.»
«Non credi? Vedrai,» rispose sicuro.
«L’ingegnere lo capisco, ma perché la fabbrica? Tra poco la chiuderanno. Macchinari vecchi, capannoni fatiscenti. È più facile costruirne una nuova.»
«Che ne sai? Non la chiuderanno mai. È storica, dà lavoro a migliaia di persone.»

«E tu?» chiese lui.
«Io mi iscriverò all’università, ma a Roma. Farò la traduttrice, vedrò il mondo. O forse la psicoterapeuta. Ho un anno per decidere.»

L’ultima domenica di settembre, la classe era andata in gita alla cascina di un compagno per il suo compleanno. Ai piedi, le foglie dorate frusciavano, il sole basso accecava tra i rami radi.

Le ragazze e i genitori apparecchiavano in giardino, i ragazzi giocavano a pallavolo. Dopo pranzo, si dispersero nel bosco. Lì, per la prima volta, Giorgio baciò Fiammetta.

Che anno fu quello! Entrambi cresciuti all’improvviso, pazzi d’amore, abbracci e baci fino allo sfinimento. Una volta, sua madre era di turno di notte, e suo padre bloccato al lavoro. Giorgio venne a copiare i compiti.

Accadde tutto, rapido e goffo. Si guardarono confusi, incerti. Lei lo obbligò a promettere che non si sarebbe ripetuto. Lui annuì, scoraggiato, e se ne andò. Il giorno dopo, camminarono in silenzio verso scuola.

Solo giorni dopo ne parlarono.
«Ci sposeremo dopo il diploma,» disse lui.
«Ma io me ne vado,» sussurrò lei.
«Allora non andare.»
Litigarono per la prima volta.

Al ballo di fine anno, Fiammetta li vide baciarsi nell’aula semibuia: Giorgio e Luisa. Scappò piangendo. Le vacanze invernali resero facile evitarlo, ma lui si presentò a casa sua.
«Perché mi eviti?»
«Hai Luisa ora. Vi ho visti.»
«Lei si è avvinghiata a me, cosa dovevo fare?»

Fiammetta conosceva Luisa, sapeva che non lasciava scampo ai ragazzi carini. E Giorgio lo era diventato davvero. La gelosia la tormentava.

Ma il tempo passò, e Luisa sparì. L’ultimo anno fu un vortice d’amore. Si cercavano, ma trattenendosi, fingendo un’amicizia normale.

Dopo l’ultima campanella, noleggiarono un battello sul Po. Mangiarono in riva al bosco, qualcuno portò del vino. Poi scapparono tra i pini e si baciarono.

«Non andartene. Studia qui.»
«Vieni con me,» propose lei.
«Mia madre non me lo permetterebbe. Poi la fabbrica è un’ottima opportunità. Cinque anni volano. Tornerai, e allora…»

«Rossi! Bianchi! Dove siete? Si riparte!» li chiamò la professoressa.
Riapparvero con le labbra gonfie e gli sguardi brillanti.

Studiarono insieme per gli esami, finché il padre di Giorgio non li sorprese baciarsi. Non disse nulla, ma restò a casa in malattia. Lui smise di frequentarla. Dopo la maturità, lo spedirono dalla nonnaSi guardarono negli occhi, e in quel silenzio capirono che nonostante gli anni, il dolore e le scelte sbagliate, forse era davvero possibile ricominciare.

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