Era una di quelle serate uggiose, mentre sistemava vecchie cose nella casa dei genitori, che Ginevra si è imbattuta in una conversazione che le ha cambiato la vita. Era seduta nella sua stanza quando la voce della madre, piena di ansia, è arrivata dalla cucina:
“Ginevra, ma non vuoi tornare da lui? Hai lasciato tutto e te ne sei andata, davvero?”
“Mamma, ho già detto che è temporaneo,” rispose Ginevra stanca. “Gli inquilini stanno per lasciare l’appartamento del nonno a Torino, ci trasferirò lì. Non voglio darvi fastidio.”
“Che fastidio, Ginevra?” la voce della madre tremava. “Vivevi con Enrico, avevate tutto. Non beveva, non frequentava altre donne. Cosa ti aspetti di più? Bisogna adattarsi, non è miamo il primo anno insieme!”
Ginevra sorrise amaramente, fissando la pioggia fuori dalla finestra. Sentiva una tempesta crescere dentro di sé. Come spiegare alla madre che il suo matrimonio era stato come vivere sotto gli occhi indiscreti di tutti?
“Mamma, tu non sai come ho vissuto tutti questi anni,” iniziò, e la sua voce tremò per l’emozione repressa. “Chiudi le tende la notte? Sei sola con papà in camera o ci sono anche i vicini? Se volevate un momento intimo, lo sapeva tutto il palazzo? No? E io invece sì! Era come vivere in un acquario, dove ogni mio passo, ogni respiro era sotto osservazione. Non mi stupirei se tutto il quartiere sapesse di che colore è la mia biancheria o…” si interruppe, “cosa facevamo di notte io e Enrico. E tu pensi che sia normale?”
La madre tacque, scioccata. Ginevra continuò, senza riuscire a fermarsi:
“E sai chi raccontava tutto al quartiere? Mio marito! Quello stesso da cui sono scappata e a cui non tornerò mai. Non sa tenere la bocca chiusa! Gli dico: ‘Enrico, questo resta tra noi’, e un’ora dopo lo sanno tutti. Lui fissa con quegli occhi da cerbiatto e dice: ‘Ma l’ho detto solo in confidenza, che male c’è?'” Ginevra serrò i pugni. “L’ultima volta ha avuto una crisi, urlando che è abituato così, che sua madre non lo fa per cattiveria, ma perché si preoccupa. E dimmi, perché sua madre doveva sapere in che giorno avremmo provato ad avere un figlio?!”
La madre sussultò, coprendosi la bocca con una mano.
“Eh sì, mamma, è successo proprio così!” Ginevra quasi gridò. “Mi chiama sua madre e mi chiede come è andata, dice che è in ansia per i nipotini. È persino andata da qualche fattucchiera, facendomi mandare erbe da Enrico da mettermi nel tè! Questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Non posso vivere così! Cammino per strada e la gente sorride come se sapesse cosa abbiamo fatto ieri sera. Ho la paranoia ormai! Sua madre mi chiama e mi chiede se mi metto a testa in giù dopo… vabbè, hai capito. Non ce la faccio più!”
Ginevra tacque, ansimando. La madre la fissava inorridita, senza parole.
“E le sorprese?” continuò Ginevra più piano. “Impossibile farne una. Lui rovina tutto! Mi regala qualcosa e io lo so già da un mese perché la vicina me l’ha detto. Sì, è bravo, non beve, lavora sodo, ma quella sua lingua… Non ce la faccio, mamma.”
Il padre, di solito silenzioso, intervenne all’improvviso:
“Basta, moglie, lasciala in pace!” la sua voce era ferma. “Se dice che non può, significa che non può. Chi la sostiene se non noi? Vivi, piccola, finché ne hai bisogno.”
Poi si rivolse a Ginevra, addolcendo il tono:
“Ne ho conosciuti come il tuo Enrico. In fabbrica c’era uno, lo chiamavano Chiacchierone. Non si poteva confidargli niente, spargeva tutto. Diceva che era così tutta la sua famiglia, ereditato dal padre. Forse mentiva, chi lo sa. Ma vivere così è una tortura.”
Ginevra annuì grata al padre e tornò in camera. Amava il suo appartamento accogliente, pieno di ricordi, ma vivere con Enrico, con la sua lingua lunga che distruggeva ogni privacy, era insopportabile.
Bussarono alla porta. La madre entrò, torcendosi il grembiule.
“Ginevra, davvero chiederai il divorzio?”
“Mamma, fammi riflettere,” sospirò Ginevra. “Ma probabilmente sì. Lui non cambierà.”
“E se invece migliorasse?” chiese la madre con speranza.
“Non migliorerà,” tagliò corto Ginevra. “Credi che per me sia facile?”
La madre uscì, e Ginevra si sdraiò sul letto, lasciando scorrere le lacrime. Non si sarebbe mai aspettata che il suo matrimonio con Enrico, così affascinante, affidabile e gentile in apparenza, finisse così. Anche prima del matrimonio c’erano stati segnali: una volta passarono il weekend in campagna, e dopo tutte le vicine iniziarono a salutarla con sorrisi e nomignoli affettuosi. La suocera una volta lasciò cadere che le ragazze d’oggi sono “sbandate”, mentre Ginevra era “perbene, pura”. Anni dopo, durante un litigio, la suocera le sbatté in faccia che sapeva della sua verginità ancora prima del matrimonio.
“L’hai detto a tua madre?!” aveva urlato Ginevra.
“E allora? Era così felice!” aveva risposto Enrico, senza capire la sua rabbia.
Era stato il punto di rottura. Ginevra capì che non ce l’avrebbe fatta più.
Passarono tre mesi. Ginevra si trasferì in un’altra parte di Torino, lontana da casa, per ricominciare. Non si aspettava di incontrare Enrico lì.
“Ciao, Gine,” lui era davanti al portone, scomodo, spostando il peso da un piede all’altro.
“Ciao,” rispose fredda.
“Possiamo parlare?”
“Hai attivato il registratore?” lo provocò Ginevra. “Per ripetere tutto parola per parola dopo?”
Enrico arrossì.
“Volevo scusarmi. Ho capito, Gine. Basta stupidaggini. Senza te sto male. Non sarò più così.”
“Anch’io sto male senza di te,” ammise lei, ma subito aggiunse: “Ma hai scelto la tua strada. Se non sai tenere la bocca chiusa, è finita.”
“Hai chiesto il divorzio?” chiese piano lui.
“Sì.”
“C’è qualcun altro?”
“Nessuno,” tagliò corto Ginevra. “Ma spero che arrivi. E lui, a differenza tua, terrà le nostre cose per sé. Vattene, Enrico.”
Si girò e se ne andò, sentendo il cuore spezzarsi dal dolore. Si aspettava chiamate dalla suocera, dagli amici, dai vicini—dovevano arrivare tutti a rimproverarla per aver osato lasciare un uomo “perfetto” come Enrico. Ma il telefono rimase muto. Né quel giorno né quello dopo nessuno chiamò.
Enrico, invece, iniziò a farsi vedere ogni giorno. Davanti al portone, al bar vicino.
“Cosa ci fai qui?” gli chiese una volta.
“Sono in ferie, Gine,” rispose, guardando altrove.
Le ferie finirono, ma lui restava lì. La suocera chiamava, chiedeva come stava, ma di lui—non una parola. Una volta cedette:
“GinevGinevra lo guardò negli occhi, incerta se fidarsi di nuovo, ma poi sospirò e gli sorrise appena, facendolo sperare.