Sei cattiva. Me ne vado.

**Sei cattiva. Andrò da papà**

Ogni giorno, giovani uomini e donne si incrociavano per strada, senza che accadesse nulla tra loro, senza alcun moto del cuore. Ma un giorno, per caso, lei lo vide, e all’improvviso il cuore le batté forte, e nello stomaco sentì svolazzare le farfalle. E anche lui provò la stessa cosa. E fu così. Da quel momento, stare separati divenne impossibile, la vita senza l’altro perse ogni significato. Non restava che arrendersi al destino e camminare insieme.

Così Fiammetta si innamorò di Domenico. Una domenica d’inverno, era andata a pattinare sul ghiaccio con le amiche. Ma Fiammetta pattinava male: non prendeva slancio, avanzava con cautela e si fermava spesso. Le amiche, stufe di strisciare come tartarughe, la lasciarono indietro. Lei intralaiava chi invece scivolava sicuro, costringendoli a girarle attorno.

Stanca, con le gambe indolenzite, Fiammetta decise di raggiungere la balaustra per aspettare le amiche. Dovette attraversare la pista, passo dopo passo. Ancora due metri, e qualcuno le finì addosso.

La caduta fu dolorosa: batté il fianco e il ginocchio sul ghiaccio duro.

“Scusa. Ti sei fatta male? Riesci ad alzarti? Lascia che ti aiuti,” sentì una voce sopra di sé. Poi, leggera, fu sollevata e rimessa in piedi.

Il ginocchio protestò con una fitta lancinante, e Fiammetta gemette. Se non fosse stato per i riflessi pronti di quel ragazzo, sarebbe caduta di nuovo. Lui la strinse a sé, e i loro occhi si incontrarono così vicini che Fiammetta vi scorse il proprio riflesso. Per un attimo, il mondo intorno svanì.

“Tutto bene?” chiese lui.

Fiammetta sembrò risvegliarsi. I suoni tornarono a farsi sentire: il fruscio dei pattini, le risate, le voci. Ma lei restò immobile, aggrappata alle maniche della sua giacca.

“Non cadi, se ti lascio?” domandò il ragazzo.

“Non lo so,” sussurrò Fiammetta, senza distogliere lo sguardo.

Lui allentò la presa, e lei rimase in piedi.

“Brava, ora raggiungiamo la balaustra. Non aver paura, io ti tengo.”

Con lui, scivolava davvero, non più incerta.

“Forse è meglio uscire. Ci sono delle panchine all’ingresso.”

Fiammetta annuì. Sostenuta da lui, raggiunse la panchina e vi si lasciò cadere.

“Ti sei fatta male?” si sedette accanto a lei. “Sei sola? Vuoi che ti accompagni?”

“Sono con le amiche.”

“Meglio chiamarle, avvisale. Dammi il numerino, intanto prendo le tue scarpe.”

“No, aspetterò loro,” tentò di opporsi, debolmente.

“Prenderai freddo.”

Era vero: il gelo penetrava già attraverso la giacca. Tirò fuori il numerino e il telefono. Mentre lui andava a prendere le sue scarpe, chiamò le amiche.

Camminarono verso casa parlando. Dopo il ghiaccio scivoloso, era piacevole sentire sotto i piedi l’asfalto solido, ma Fiammetta continuava ad aggrapparsi al braccio del ragazzo. Forse le girava la testa, o forse era la terra a mancarle sotto. Lui si chiamava Domenico, lavorava già ed era più grande di lei di quattro anni. Lei gli raccontò di studiare all’università, di vivere con la madre. Tra loro, la simpatia era stata immediata. Quando, salutandola, le propose di tornare al pattinaggio il weekend dopo, Fiammetta scosse la testa.

“Preferirei il cinema.”

“D’accordo. Ti chiamerò.”

Ma Domenico non aspettò il weekend: chiamò il giorno dopo e la invitò al bar. Non si poteva passeggiare a lungo con quel freddo. Qualche forza li aveva fatti scontrare, letteralmente, e da allora non si lasciarono più.

Fiammetta si era innamorata, non riusciva più a immaginare la vita senza Domenico. Le sembrava di conoscerci da sempre. Arrivò la primavera, e i genitori di lui iniziarono a passare i weekend in campagna, lasciando loro l’appartamento.

La primavera lasciò il posto all’estate, che volò via in un battito d’ali. Poi tornarono le piogge d’autunno e le prime gelate. I genitori di Domenico tornarono in città più spesso, e i due giovani si ritrovarono senza un posto dove incontrarsi.

“E ora?” chiese Fiammetta, stringendosi a lui.

“Troverò una soluzione,” rispose.

Un giorno, Domenico andò a casa sua, e sua madre lo affrontò direttamente: “Fino a quando vuoi prendere in giro mia figlia?”

“Pensavo di farle la proposta a Capodanno. Non ho neppure l’anello con me. Ma se vuoi, posso chiedere la sua mano ora stesso,” disse Domenico.

Fiammetta arrossì, imbarazzata e felice.

“Questo è un altro discorso. L’anello glielo darai a Capodanno. Ma vivete già insieme, e io non so più cosa pensare,” rispose la madre, soddisfatta.

Si sposarono in primavera, quando la neve si sciolse, il sole si fece più caldo e gli uccelli cantarono più forte. Domenico aveva da tempo il sogno di una casa propria e aveva messo da parte dei soldi. Con i regali di nozze, bastò per l’anticipo del mutuo. Comprarono un appartamento, decidendo di aspettare prima di avere figli.

Passò il tempo. Fiammetta si laureò e trovò lavoro. Ma sempre più spesso, parlava di bambini.

“Non abbiamo ancora finito di pagare il mutuo. Perché correre? Avremo tempo. Sai quanti problemi ci aspettano? Sì, ce la faremo, ma perché crearci difficoltà? Finiamo di pagare, poi ne riparliamo. Hai visto mai che abbia torto?” la convinceva Domenico.

Era vero, ma non voleva un figlio subito. Nove mesi di gravidanza, e per allora il mutuo sarebbe finito…

“Basta, non discutiamone,” la interruppe Domenico.

Discutere con lui era difficile, e lei non ne aveva voglia. Ma le sue amiche già passeggiavano con i passeggini, e una volta ne aspettava persino un secondo, mentre lei, la prima a sposarsi, era ancora senza figli. Un giorno, riprovò.

“D’accordo, fallo se ci tieni tanto,” cedette Domenico. “Ma avvisata: non chiedermi di aiutarti, di lavare i pannolini. Io porto i soldi a casa, tu pensaci tu. E poi non lamentarti se sarai stanca o non avrai dormito. Ci siamo intesi?”

Fiammetta stava per offendersi, ma cambiò idea.

“Hai paura che amerò il bambino più di te?” indovinò.

“Non tiriamo fuori altro. Se vuoi, fallo.”

Fiammetta smise di prendere la pillola. Due mesi dopo, il test mostrò le due linee rosa.

Domenico non condivise la sua gioia. Poi arrivarono le nausee. Lei restava a casa, lui usciva con gli amici. Tra loro si era alzato un muro. Lui non accarezzava mai la sua pancia, quasi non la notasse. Per il resto, tutto era come prima. “Non importa,” si diceva Fiammetta. “Quando nascerà, lo vedrà e cambierà.”

Ma neppure dopo la nascita di Ginevra, Domenico cambiò. Non la prendeva in braccio, si irritava se piangeva. Se Fiammetta gli chiedeva soldiEppure, nonostante tutto, quando Ginevra crebbe e un giorno le chiese di lui, Fiammetta sorrise e disse solo: “Era tuo padre, e per questo sarò sempre grata, ma la felicità l’abbiamo trovata altrove.”

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