Sei colpevole della tua mancanza di denaro: nessuno ti ha obbligato a sposarti e fare figli”, mi disse mia madre quando chiesi aiuto.

“Sei colpevole per la tua mancanza di denaro: nessuno ti ha obbligato a sposarti e avere figli,” mi disse mia madre quando le chiesi aiuto.

“A te la colpa se ti sei cacciata in questa situazione. Nessuno ti ha costretto a sposarti e mettere al mondo bambini.” Queste le parole che mi ha scagliato contro mentre le imploravo un sostegno.

A ventanni, mi sono sposata con Luca. Affittammo un minuscolo bilocale nella periferia di Napoli. Lavoravamo entrambi: lui in edilizia, io in farmacia. Vivevamo con poco, ma bastava. Sognavamo di mettere da parte i soldi per una casa nostra, e allora tutto sembrava possibile.

Poi è nato Matteo. Due anni dopo, Giovanni. Andai in maternità, e Luca cominciò a fare gli straordinari. Ma nonostante tutto, il denaro non bastava mai. Tutto andava in pannolini, latte in polvere, visite mediche, bollette e, ovviamente, laffitto. Solo quello divorava metà del suo stipendio.

Guardavo i nostri bambini e ogni mattina mi svegliavo con la stessa angoscia: e se Luca si ammalava? E se ci cacciavano di casa? Cosa avremmo fatto allora?

Mia madre viveva da sola in un trilocale. Anche nonna aveva un appartamento. Entrambe a Roma. Entrambe con una stanza vuota. Non chiedevo un palazzo, pensavo. Solo un angolo, temporaneo. Finché i bambini fossero stati piccoli. Finché non ci rimettevamo in piedi.

Proposi a mia madre di andare a vivere con nonna: loro due insieme in un appartamento, e noi nellaltro. Non occupavamo molto spaziosolo io, Luca e i due ragazzi. Ma lei non volle nemmeno ascoltare.

Vivere con mia madre? sbuffò. Sei pazza? Credi che la mia vita sia finita? Sono ancora giovane. Con quella vecchia, mi rovino i nervi. Vivete dove volete, ma non rompetemi.

Ingoiai in silenzio quel disprezzo. Poi chiamai mio padre. Lui viveva da anni con la nuova compagna. Avevano un ampio appartamento di quattro stanze, e speravo che portasse nonna con sé. Dopotutto, era sua madre. Ma anche lui rifiutò. Disse che aveva i figli del secondo matrimonio e che “la casa è già piena fino al soffitto.”

Disperata, richiamai mia madre. Piansi. La supplicai di accoglierci, anche solo per un po. Fu allora che mi sputò in faccia:

La colpa è tua se non hai soldi. Nessuno ti ha ordinato di sposarti. Nessuno ti ha chiesto di fare figli. Volevi fare ladulta? Ora affronta le conseguenze. Risolvi i tuoi problemi da sola.

Mi sentii come fulminata. Mi sedetti in cucina con il telefono in mano, e il mondo mi crollò addosso. Questo veniva da mia madre. Dalla donna che avrebbe dovuto sostenermi. Non chiedevo niente di straordinariosolo un angolo, solo un po di compassione.

Il giorno dopo, io e Luca discutemmo su cosa fare. Lunica che rispose al nostro disperato appello fu sua madre, la signora Rosaria. Vive in un paesino vicino a Salerno, in una casa con giardino. Ha una camera libera e ci accoglierebbe volentieri. Si è persino offerta di badare ai bambini mentre lavoriamo.

Ma ho paura. Non è la città. È la campagna. Non cè un centro medico decente, né scuole buone, né trasporti. Temo che, se andiamo là, non ne usciremo più. Che i bambini crescano senza opportunità, senza futuro. Che io mi arrenda, mi chiuda alla vita.

Eppure, non abbiamo scelta. Mia madre mi ha voltato le spalle. Nonna è troppo anziana per ospitarci. Mio padre non ci considera famiglia. E ora sono a un bivio: andare nel nulla o accettare un aiuto che, pur venendo da altri, è sincero.

Sai cosa fa più male? Non la povertà. Non le difficoltà. È sapere che quelli della nostra stessa carne sono i più lontani quando ne abbiamo più bisogno. E la mia paura più grande non è per me. È per i miei figli. Che non provino mai sulla loro pelle cosa significhi essere rifiutati dalla propria nonna.

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