**Tu sei il mio mondo**
Lorenzo e Giulia vivevano nello stesso palazzo, sullo stesso pianerottolo, al quinto piano. Lorenzo aveva appena iniziato la quarta elementare ed era considerato abbastanza grande per badare a Giulia, una bambina di sei anni che abitava nell’appartamento di fronte. Sua madre lavorava come chirurgo e spesso, anche nei weekend, veniva chiamata per operazioni urgenti.
Lorenzo si comportava in modo responsabile con Giulia: la sfamava, la proteggeva, la sgridava quando c’era motivo. E lei lo ascoltava senza fiatare, seguendolo ovunque come un’ombra, fissandolo con i suoi grandi occhi neri.
Un giorno, Giulia si ammalò di tonsillite. E come aveva fatto a prendersi un raffreddore a giugno? Lorenzo dovette starle accanto per giorni interi. I suoi amici sapevano già dove cercarlo: suonarono al campanello di casa sua per chiamarlo a giocare a calcio.
«Non posso. Devo badare a Giulia», rispose serio Lorenzo.
«Ma portala con te! Sarà la nostra tifosa», propose Matteo.
«Ha la febbre. Non può. Giocate senza di me oggi».
«E come facciamo senza di te? Chi fa il portiere?», si lamentò Francesco, deluso.
«A turno», suggerì Lorenzo, guardando i suoi amici abbacchiati.
«Ma non è lo stesso. Allora non andiamo neanche noi».
«Allora entrate», sospirò Lorenzo, lasciando che i ragazzi entrassero.
Giulia, con una sciarpa avvolta intorno al collo, era seduta sul divano a sfogliare un libro illustrato. Vedendo i ragazzi, si illuminò.
«Questi sono i miei amici, Francesco e Matteo», presentò Lorenzo. «Rimangono un po’ con noi, ti va?»
«Leggetemi una storia», disse Giulia con naturalezza, porgendo loro il libro.
«No, costruiamo una tenda!», esclamò Francesco fissando il tavolo rotondo al centro del salotto.
«Come? Servono rami e fieno, e non ne abbiamo», rispose Giulia, gli occhi brillanti per la febbre o l’eccitazione.
«Non serve il fieno. Possiamo usare la coperta del divano?», chiese Francesco. «La mettiamo sul tavolo e ci stiamo sotto!»
Ma una coperta non bastò, e Giulia indicò a Lorenzo dove trovare una vecchia coperta di lana nell’armadio. In men che non si dica, tutti e quattro si rannicchiarono sotto il tavolo. Era stretto, afoso, buio e paurosamente divertente.
«Raccontiamoci storie di paura!», propose Matteo. «Il mio bisnonno ha combattuto in guerra».
«Che noia», borbottò Francesco.
«Lo sai quanti ordini ha vinto? Troppi da contare», si vantò Matteo. «Portava il pane a Milano durante la guerra».
«Basta con la guerra! È noioso», sbadigliò Francesco.
«Se non lo sai, non parlare. Mio nonno diceva che durante la guerra la gente mangiava di tutto, persino i propri parenti. Facevano il pane con la segatura!».
«Che schifo! Non si mangiano le persone», rabbrividì Giulia, stringendosi a Lorenzo.
«Io conosco tante storie sull’Uomo Nero», annunciò Francesco con gioia. «L’estate scorsa in colonia, ce le raccontavamo di notte. Brividi!»
Giulia si irrigidì. La parola “nero” di per sé la spaventò, ma nell’oscurità sotto il tavolo diventò ancora più terrificante. E al suono di “brividi”, cominciò a tremare.
«Lui veste tutto di nero. Se ti distrai un attimo, ti porta via e nessuno ti rivedrà mai più. Sparisce come un’ombra. E adora i bambini… quelli che scappano dai genitori…».
«Basta! L’hai spaventata», lo interruppe Lorenzo, sentendo il tremore di Giulia. «Poi non dorme più stanotte, è piccola».
«Non sono piccola!», si offese Giulia. «Non voglio sentire di quell’uomo. Ho paura», la sua voce tremò, sul punto di piangere.
La porta d’ingresso si aprì di colpo. I bambini sotto il tavolo tacquero. Sentirono passi lenti e cauti che si avvicinavano. Francesco si agitò, Matteo respirava affannosamente. Giulia si strinse al petto di Lorenzo, sentendo il cuore di lui battere forte sotto il suo orecchio.
All’improvviso, il bordo della coperta si sollevò. Giulia urlò e chiuse gli occhi.
«Eccovi qui!», disse la voce della mamma.
«Mamma!», Giulia saltò fuori e le corse incontro.
«Perché c’è la coperta sul tavolo? Cosa stavate facendo?», chiese la madre, osservando i ragazzi spettinati che uscivano da sotto il tavolo.
«Una tenda! Ci stavamo dentro e ci raccontavamo storie di paura», spiegò Giulia a mille.
«E tu non avevi paura?», domandò la mamma.
«Sì, ma quando ho sentito i passi, ho pensato che fosse l’Uomo Nero a prenderci».
«Che Uomo Nero?», la madre lanciò un’occhiata di rimprovero ai ragazzi, soffermandosi su Lorenzo.
Lui chinò la testa, colpevole.
«Basta. Smontate la tenda e lavatevi le mani. Ora si mangia!», disse la mamma, portando Giulia in cucina.
Dopo pranzo, Lorenzo e i suoi amici uscirono a giocare a calcio. La mamma mise Giulia a letto, ma ogni volta che chiudeva gli occhi, le sembrava di vedere l’Uomo Nero.
Quando Lorenzo passò alle scuole medie, Giulia iniziò le elementari. Ormai grande, non aveva più bisogno di una babysitter, ma spesso correva da lui per aiutarla con i compiti o quando c’era il temporale. Giulia aveva paura dei tuoni.
Se i ragazzi uscivano per il cinema o il pattinaggio, Giulia si intrufolava sempre. Se provavano a escluderla, lei sapeva usare le lacrime con maestria, e Lorenzo, impietosito, convinceva gli amici a portarla con loro.
Fu lui a insegnarle a pattinare, a scaldare la minestra nel microonde, a farle amare i libri d’avventura. Alle superiori, Lorenzo non usciva più con gli amici, ma con una bella compagna di classe, Elena. Una sera, Giulia li spiò mentre si baciavano dietro casa. Il suo cuore infantile si spezzò di gelosia.
Dopo il diploma, Lorenzo entrò all’accademia militare. Tornava raramente, il che rallegrava Giulia: niente più ragazze intorno a lui. Ma la rattristava anche, perché lo vedeva poco e le mancava molto.
Una volta, Lorenzo tornò in licenza per qualche giorno, ma i suoi genitori non c’erano. Bussò dai vicini. Vedendolo in divisa, Giulia arrossì. Anche Lorenzo notò quanto fosse cresciuta, quasi non la riconosceva. A tavola, la guardava spesso, e sotto i suoi sguardi le sue ciglia tremavano e le guance si tingevano di rosa.
La madre chiese a Lorenzo dei suoi studi, di dove sarebbe stato di stanza. Lui rispondeva, fissando Giulia come se ogni parola fosse per lei. Il suo cuore batteva forte. Poi tornarono i suoi genitori, e Lorenzo se ne andò, lasciandola confusa.
Dopo l’accademia, Lorenzo fu assegnato al confine sud. Giulia iniziò medicina. Tre anni dopo, lui tornò in licenza. Lei aspettò con il cuore in gola che bussasse alla porta, spiando dalla finestra. Trattenendo il respiro ogni volta che sentiva passi nel corridoio.
«È grande, ormai. Dovrà sposarsi. E tu devi studiareMa alla fine, dopo anni di attesa e malintesi, trovarono il coraggio di dirsi la verità e scoprirono che l’amore che li aveva legati fin dall’infanzia era ancora lì, più forte che mai.