**Sei mesi sotto lo stesso tetto con la suocera: come ha distrutto il nostro matrimonio**
Da sei mesi la mia vita è diventata un circolo vizioso di nervosismi. All’epoca, la suocera — Antonella Rossi — annunciò che non poteva più vivere da sola. Lacrime, pressioni, discorsi sulla solitudine e sulle paure notturne. Fece così tanta pressione su mio marito che, senza neanche consultarmi, la trasferì da noi — nel nostro bilocale nel centro di Firenze.
Lei, tra l’altro, ha una casa con giardino e una cucina spaziosa. Ma pare che là fosse “troppo silenzioso”. Nessuno l’aveva abbandonata, nessuno la ignorava. La visitavamo, le portavamo la spesa, aiutavamo con le medicine. Ma lei decise diversamente: voleva il controllo totale. Su suo figlio. Su di me. Sulla nostra vita.
Antonella Rossi è una donna insopportabile. Testarda, capricciosa, con manie di grandezza. Finché visse suo marito, mantenne le apparenze. Ma dopo la sua morte, quando scomparve l’unico che almeno in parte la frenava, iniziò l’incubo.
All’inizio, il lutto. Tutti soffrimmo la perdita. Lei era davvero devastata, e io, nonostante il nostro rapporto freddo, cercai di esserle vicina. Non la lasciammo sola nemmeno un giorno. Ma dopo un paio di mesi, nei suoi occhi si riaccese una luce. E purtroppo, non di calore, ma di prepotenza.
Ricominciò con le frecciatine al mio indirizzo:
— Almeno pettinarti, prima che torni tuo marito.
— Cos’è questa carne? Sembra la suola di una scarpa. Tua madre non ti ha insegnato a cucinare?
E poi, continue comparazioni: «La nipote di Paola, il figlio mangia il minestrone e lo loda. Il tuo, invece, storce il naso…». Peccato che quella nipote abbia tre figli e un marito che non apre bocca senza il suo permesso.
Quando propose di trasferirci da lei, mi opposé con fermezza. Sì, la sua casa è più grande. Ma là non avrei potuto respirare. La nostra, invece, benché piccola, è in centro, vicino al lavoro, all’asilo, ai negozi. E soprattutto, è la nostra casa. Ma nessuno mi ascoltò. Mio marito ubbidiva solo a lei:
— Mamma, sei sola… Sì, certo, vieni da noi, ti riprenderai un po’.
Lo supplicai di riflettere. Lo avvertii. Sapevo come sarebbe finita. Ma lui promise:
— È temporaneo. Tengo tutto sotto controllo. Non lascerò che ti ferisca.
Sono passati sei mesi. In questo tempo, ho smesso di riconoscermi. Sono diventata irritabile, stanca, svuotata. Ogni giorno è sempre lo stesso. Dalla mattina alla sera, servo una donna adulta e autosufficiente che però ha deciso che devo girarle attorno come una cameriera d’albergo a cinque stelle.
— Tè con limone, ma non bollente.
— Accendi la serie, ma non questa, mi alza la pressione.
— Andiamo a passeggiare, sono chiusa qui come un cane alla catena.
Se per sbaglio sbaglio qualcosa, parte il teatrino:
— Mi sento male! Chiama l’ambulanza! Il cuore!
Io e mio marito avevamo pianificato una vacanza — volevamo scappare almeno una settimana al mare, ricaricarci. Ma appena glielo dicemmo, Antonella montò uno spettacolo. Lacrime, lamenti:
— Ecco, mi abbandonate di nuovo. Sto male! Non conto niente per nessuno! Portatemi con voi o non andate da nessuna parte!
Mio marito, come al solito, tacque. Si strinse nelle spalle.
— Ma cosa posso farci?… È mia madre…
Io, invece, posso. Non ne posso più. Non ho chiesto palazzi, diamanti o una vita da vip. Volevo solo vivere con mio marito e i figli in una casa dove nessuno mi controlla le spalle e mi insegna come tagliare le carote. Ma questo mi è stato negato.
La famiglia si sta sgretolando. Sento svanire il rispetto, l’amore. Il mio uomo ha scelto di essere un figlio. E io sono stanca di essere una vittima.
Se per lui la madre è più importante della moglie e della famiglia, allora resti pure con lei. Non sono di ferro. Sono una donna, non un’ombra sottomessa. E se il divorzio è il prezzo per la mia pace, sono pronta a pagarlo.