Mi sembra che non ci siamo mai lasciati…
Ogni giorno Sofia tornava a casa sperando che Luca fosse tornato. Sapeva che non aveva le chiavi, le aveva lasciate quando era partito. Eppure continuava a sperare che, aprendo la porta, avrebbe trovato le sue scarpe da ginnastica nell’ingresso. Ma anche questa volta, il miracolo non era avvenuto.
Avevano vissuto insieme per due anni. Lui aveva riempito il vuoto lasciato dalla morte di sua madre. E perché mai aveva iniziato quel discorso? Tra loro non c’era mai stata passione, ma stavano bene insieme. Eppure Luca non le aveva mai parlato di matrimonio, né di un futuro insieme.
«E ora?» chiese Sofia un giorno.
«Parli del timbro sul passaporto? Cosa cambierebbe?»
«Per una donna è importante. Se per te non lo è, forse è meglio separarci» disse lei, quasi scherzando, per spaventarlo e spingerlo a fare il passo decisivo.
«Allora separiamoci» rispose lui all’improvviso, e se ne andò.
Era già una settimana che viveva da sola. E aspettava. Doveva chiamarlo? Chiedergli di tornare? Ma se un uomo se ne va così facilmente, significa che non ha mai amato davvero.
Lui era arrivato nella sua vita proprio nel momento in cui si era ritrovata completamente sola. Due anni prima, l’autista di un furgone aveva avuto un infarto, perdendo il controllo del veicolo e schiantandosi contro una fermata dell’autobus. Sua madre e un’altra donna erano morte sul colpo; gli altri passeggeri erano rimasti feriti, ma si erano salvati. L’autista era morto in ospedale quando aveva saputo di aver ucciso due persone. Un infarto massivo.
La notizia era passata in tutti i telegiornali. Dopo il funerale, Sofia camminava come in trance. Quasi finì sotto l’auto di Luca. Lui frenò appena in tempo, scese e iniziò a urlarle contro, ma poi vide il suo viso e tacque. La riportò a casa e rimase con lei.
Lui era più giovane di tre anni. Non era una differenza enorme, ma a Sofia sembrava che tra loro ci fossero decenni. Lui non pianificava nulla, viveva alla giornata, scherzava via ogni discorso sui bambini. «Che bambini? Abbiamo tempo, Sofì. Non stiamo bene così, noi due?» rideva Luca.
Ma lei voleva una famiglia normale, dei figli, scegliere carrozzine e body insieme. Quei discorsi lo infastidivano.
A casa, Sofia evitava di estrarre il telefono dalla borsa per non controllarlo ogni minuto. Resisteva alla tentazione di chiamarlo. Ogni mattina, prima di uscire, controllava i messaggi col cuore in gola. Luca non scriveva.
Un’altra sera vuota e solitaria. In tv passava un film qualunque. Sofia era persa nei suoi pensieri, senza vedere lo schermo. Per questo non sentì subito la suoneria attutita provenire dall’ingresso. Impiegò un’eternità a trovare il telefono nella borsa, tra portafoglio, spazzola e altri oggetti femminili. Finalmente lo afferrò, ma non era Luca. Rispose lo stesso, pensando che forse la batteria gli fosse morta o che fosse finito in un incidente…
«Sofia?» una voce femminile, non più giovane.
E all’improvviso le importò poco di chi fosse e perché chiamasse.
«Sono la vicina di tua zia Beatrice. È morta stamattina.»
Quale zia Beatrice? Quale vicina? Di cosa stava parlando quella donna? Poi, un ricordo dell’infanzia le illuminò la mente. Una donna piccola e rotonda, simile a una pagnotta. Si copriva la bocca con la mano quando sorrideva. Le mancavano i denti davanti—glieli aveva spaccati il marito ubriaco. Addosso le odorava di forno e di torte.
Sofia aspettava sempre l’estate con ansia per andare da zia Beatrice. Ma un giorno sua madre le disse che non ci sarebbero più tornate. Non ricordava il perché. E poi si era dimenticata anche di zia Beatrice.
«Mi senti?» ripeté la voce estranea.
«Sì. Di cosa è morta?»
«Il dottore ha detto che è stato un trombo. L’ospedale qui in paese non è come quelli in città. Potevamo lasciarla a casa, ma con questo caldo… Verrai?»
«Quando sono i funerali?» chiese Sofia. Non aveva intenzione di andare da nessuna parte.
«Dopodomani, il terzo giorno, come si usa. Se non puoi, dillo, possiamo spostarli…»
«No, verrò. Mi dica come arrivare, non ricordo» ammise a fatica.
«Certo!» esclamò la donna, sollevata. «Come potevi ricordare? Il paese è San Martino. In autobus ci vogliono due ore, in macchina meno.»
«Prenderò l’autobus» disse Sofia, ricordando che Luca con la sua auto non c’era più.
«Devi scendere a Montelupo, l’autobus non arriva fino a noi, dovrai fare un pezzo a piedi. Vuoi che ti vengano a prendere?»
«No, grazie.»
«Vieni. Non ha nessun altro, a parte te…»
«Non andrò. Perché dovrei? Non ricordo nemmeno zia Beatrice. E poi come ha fatto questa vicina a trovare il mio numero?» Sofia aprì l’armadio. Le cadde l’occhio sul vestito che aveva indossato al funerale di sua madre. «Mamma… lei ci sarebbe andata.»
Prese una gonna lunga blu con piccoli fiori bianchi e una maglietta nera. Il resto era troppo colorato, inadatto a un funerale. Mise tutto in una borsa.
La mattina dopo andò al lavoro e chiese tre giorni di permesso non retribuito. Come da regolamento.
«Se hai bisogno di più tempo, fammelo sapere» le disse la capoufficio con compassione.
Tornata a casa, preparò il necessario e partì per la stazione. L’autobus era già andato, il prossimo sarebbe passato dopo due ore. Tornare a casa non aveva senso. Sofia uccise il tempo in un bar e nei negozi vicini alla stazione. Comprò biscotti, cioccolatini e vino. Non poteva presentarsi a mani vuote. Sarebbero serviti per il pranzo dopo il funerale.
Per tutto il viaggio pensò all’inutilità del suo viaggio. Quando scese dall’autobus, il sole stava calando ma picchiava ancora implacabile. Sofia iniziò a sudare, i vestiti si appiccicavano alla pelle. Poco dopo, una macchina la superò e si fermò più avanti. Ne scese un uomo giovane.
«Sofia?»
«Sì. Come…»
«Non mi riconosci? Sono Matteo.»
Nella sua memoria affiorò l’immagine di un ragazzino mingherlino col naso sempre colante. Non poteva essere quel poveretto a essersi trasformato in un bell’uomo così.
«Sali, ti porto. Ti stavano aspettando.»
«Me?» si stupì Sofia.
«Certo. È morta tua zia. Lo so di tua madre, mi dispiace. La signora Anna si preoccupava che non avrebbe trovato nessun parente. Invece ci sei riuscita.»
«Quella che mi ha chiamato? Ma come ha fatto a trovare il mio numero?»
«Forse lo aveva lasciato tua madre quando era venuta. Siamo arrivati» disse lui, e Sofia non fece in tempo a chiedere quando mai sua madre fosse tornata lì.
Non ebbe neppure il tempo di scendere dalla macchina che una donna bassa e gentile le si avvicinò.
«Come sei cresciuta!» E la strinse in un abbraccio. Odorava di latte, pane e qualcos’altro che le era dolorosamente familiare.
Vedendola irrigidirDopo un momento di esitazione, Sofia si rilassò tra le braccia della donna, sentendo finalmente di essere a casa, in un posto che non sapeva di aver dimenticato, ma che adesso non avrebbe mai più lasciato.