Sembrava perfetta, ma si è rivelata il mio più grande dolore.

Sembrava perfetta. E invece è diventata il mio più grande dolore.

La prima volta che ho visto Ludovica, ho pensato di aver incontrato la donna dei miei sogni – tranquilla, raffinata, con occhi che sembravano nascondere mondi interi. Ci siamo avvicinati in fretta. La portavo nei miei posti preferiti a Firenze, cucinavamo piatti semplici a casa, ridevamo per sciocchezze. Ero sicuro: era lei. Quando le ho chiesto di sposarmi, non ho avuto un attimo di dubbio.

Il matrimonio è stato intimo e sincero. Una piccola festa con i parenti, un vestito bianco, un lento ballo con musica soffusa. La vita pareva serena. Ludovica era premurosa, sempre attenta, un po’ distante – ma lo attribuivo al suo carattere. Ben presto, però, quella calma cominciò a incrinarsi.

Iniziò a tornare tardi dal lavoro. Prima erano “riunioni con i colleghi”, poi “incontri improvvisi”. A volte si confondeva nei racconti. Cercavo di ignorare i sospetti. Finché un giorno notai il suo telefono, che di solito teneva sempre stretto, abbandonato sul tavolo della cucina senza blocco. Non volevo ficcanasare… ma qualcosa mi spinse.

Vidi i messaggi. Un nome – Alessandro. I testi erano chiari: *«A presto. Promesso. Mi mancano le tue mani.»* E lei rispondeva con la stessa passione. Il cuore mi si strinse. Chi era? Cosa c’era tra loro?

Il giorno dopo investigai più a fondo. Trovai un vecchio profilo sui social. Foto di feste, scatti in bikini in spiaggia, uomini sconosciuti. Post pieni di allusioni a passioni, libertà, incontri fugaci. La Ludovica che conoscevo e quella nei social sembravano due persone diverse. Non riuscivo a crederci. Ma sentivo che la verità era più crudele di quanto immaginassi.

Due settimane dopo, trovai il suo diario. Per caso – o forse il destino lo volle. Sulla copertina c’era scritto: *«Non aprire.»* Ma lo feci. Ogni pagina era una coltellata:

*«Lui crede che io sia buona. Non sa quanto ho fame di emozioni. Di toccare. Uno solo non mi basta.»*
*«Alessandro mi ha chiesto di restare. Stavo per dire di sì. Ma lui ha una famiglia. Io ho solo un caleidoscopio di desideri.»*
*«Lorenzo è così ingenuo. Pensa che staremo insieme per sempre. Peccato non sappia di Massimo…»*

Rimasi seduto per terra, incapace di trattenere le lacrime. Mia moglie. Mia – eppure non mia affatto. Tre uomini. Amori nascosti. La sua vita, un teatro.

Montai un’app sul suo telefono. Il mercoledì e il venerdì andava davvero fuori città. Lo stesso hotel. La stessa stanza. E sempre con Alessandro. Poi c’era Massimo. Sposato. A lui scriveva: *«Sei il più passionale. Con te mi sento viva. Ma non chiedermi di più.»*

Ero distrutto. Eppure avevo paura di parlare. Finché un giorno scoppiai:
*«So tutto.»*

Imbiancò. Non negò. Pianse soltanto. Aspettavo spiegazioni. Risposte. Disse solo:
*«Ho paura di restare sola. Non posso essere solo una moglie. Ho bisogno di più. Di sentirmi desiderata. Tu sei buono. Ma non sai accendere il fuoco in me.»*

Fu peggio di un’ammissione di tradimento. Era l’ammissione che, per lei, io non ero nessuno. Un porto sicuro. Un sostegno. Ma non l’uomo che avrebbe scelto.

Una settimana dopo, firmammo il divorzio. Io me ne andai. Lei restò nell’appartamento – e nella sua ragnatela di bugie.

Nell’ultimo messaggio, scrisse: *«Scusami. Tu eri vero. Io cercavo solo me stessa. E non ho trovato niente.»*

Scrivo questa storia non per vendetta. Non provo più rabbia. Voglio solo che, chi la legge, capisca: le maschere possono essere bellissime. Ma dietro, spesso, si nascondono anime che non conosceremo mai davvero.

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