Semplicemente Vivere alla Bella Italia

Marco stava davanti alla grande vetrata panoramica del suo nuovo appartamento al ventiduesimo piano di un grattacielo in Porta Nuova, Milano. Giù, i lampioni delle vie serali scintillavano come lava rovente. Ogni auto sembrava una piccola perla, ogni semaforo un rubino o uno smeraldo. Guardava la città dallalto e gli sembrava di librarsi sopra di essa, come un rapace che ha finalmente trovato il suo posatoio.

Era arrivato così, a tutti gli effetti. In lontananza, il fumo di una vecchia fabbrica di tessuti, quella che una volta aveva salvato dalla bancarotta, si levava verso il cielo. Il suo nome girava nei circuiti daffari, lo rispettavano, lo temevano. Lappartamento, la macchina, lorologio costato più di una berlina importata tutto era al suo posto. Tutto quello che aveva sognato mentre spingeva balle di farina nei mercati degli anni 90.

La vita gli sembrava un piano daffari perfetto, ogni mossa una resa. Però la sera, avvicinandosi sempre più spesso a quella finestra, avvertiva non trionfo ma un silenzio immenso, riverberante come in una chiesa vuota.

Il suo cellulare quel secondo lavorativo che squillava solo per questioni serie vibrò sulla consolle di vetro. Un numero sconosciuto. Era sul punto di rifiutare, stanco delle chiamate pubblicitarie, quando la mano tremò. Forse un nuovo cliente? Marco era sempre pronto.

Pronto? disse con la sua voce daffari, leggermente stanca.

Una soffice inspirazione, poi una voce femminile timida, quella che non sentiva da più di venti anni.

Marco? Sono sono Fiorella. La tua compagna di corso.

Marco appoggiò la fronte al vetro freddo. Fiorella, la ragazza dai capelli a trecce, che sedeva accanto a lui alle lezioni di analisi matematica, rideva dei suoi progetti ambiziosi e gli diceva che la radice è più importante dellaltezza. Allora lui gli rispondeva con un sorriso condiscendente. Che radici, quando bisogna volare.

Fiorella, balbettò. Che fine ha fatto?

Aspettò la solita richiesta di soldi, un lavoro, un favore. Ma Fiorella disse altro.

Ti chiamo perché, mentre sistemavo le cose nella casa di mia madre in campagna, ho trovato i tuoi vecchi appunti e un libro. Lunedì inizia il sabato dei fratelli Strugatskij. Lavevi perso al primo semestre, ricordi? Lho trovato, ma non ho mai avuto tempo di restituirtelo.

Marco rimase in silenzio. Non ricordava quel Lunedì, ma tra grafici, quotazioni e contratti, una scintilla di quellavventura magica gli tornò in mente, quel desiderio di essere un inventore, uno scienziato, un creatore.

E ho pensato, la voce di Fiorella tremò, forse vuoi prenderlo? Sto vendendo la cascina di mia madre, quindi sto facendo ordine. Ti è caro, vero?

Invece di dirle di buttarlo, chiese:

Dovè la cascina?

A Brivio, vicino al lago, dove eri già stato.

Ricordò il fiume, lodore del fuoco, Fiorella in un semplice vestito di cotone, giovani e poveri ma felici a parlare del futuro dellumanità. Decise di andare.

Guidò il suo fuoristrada su strade sassose, sentendo di viaggiare non solo nello spazio ma nel tempo, tra ricordi di profumo di colonia low cost e gioventù.

La cascina era esattamente come nei suoi ricordi, solo che il recinto era scosso e metà del terreno era ricoperto derba. Fiorella lo accolse sul portico, quasi senza mutamenti: niente trucchi, un vestito semplice, uno sguardo profondo e una sorridente familiarità.

Vieni, disse, il tè è pronto.

Seduti al tavolo con un vecchio bollitore di rame, lei raccontò della sua vita: contabile in una piccola azienda locale, madre, nonna, marito perso in un incidente anni fa, una vita tranquilla lontano dai grattacieli e dalle quotazioni. Per lei la finanza era un pianeta alieno.

Le porse il libro consumato, con la copertina di cartone. Le pagine erano ingiallite, sui margini cerano i suoi scarabocchi giovanili. Un leggero pizzicotto al petto gli ricordò che qualcuno aveva tirato una corda rimasta silenziosa per anni.

Grazie per averlo conservato, mormorò.

E che faccio? rispose lei scrollando le spalle. È tutto un po inutile, ma non riesco a gettarlo via. Forse è proprio questo il segreto.

Non ti sembra di sprecare la tua vita? chiese Marco, con una durezza che non gli apparteneva. Scusa, è solo la tua vita è così tranquilla, senza eventi, senza scala. Non ti è mai mancata la voglia di?

Fiorella lo guardò, non con biasimo ma con una lieve tristezza.

La scala è relativa, Marco. Guarda, la condusse al vicino giardino dove una vecchia mela spuntava robusta. Questa mela lha piantato mio nonno, quel capanno lha costruito mio padre. Mia figlia giocava qui, ora il mio nipote corre. Per me è il mondo intero. Non rimpiango nulla, ho solo vissuto.

Marco osservò lalbero, il capanno cadente, la casa di legno, e una dolorosa consapevolezza lo colpì: aveva costruito grattacieli, ma non aveva un albero che custodisse il calore delle sue mani, nessuna radice per chi lo avrebbe ricordato.

Salutò Fiorella. Quella sera doveva andare a una cena con gli investitori, ma non salì sullauto. Anziché verso il centro, tornò alla sua torre, salì al ventiduesimo piano, si affacciò di nuovo. Le luci di Milano lampeggiavano, ma non si sentiva più un rapace, bensì un viaggiatore smarrito.

Non andò alla cena, annullò lappuntamento qualcosa di insolito per lui. Rientrò nella sua casa bianca, minimalista, con pochi mobili di design, pareti perfette. Non era un luogo dove si viveva, ma dove si passava il tempo tra voli daffari. Prese il telefono, quasi premendo il tasto per chiamare lassistente, poi lo lasciò. Sognò un altro numero.

Pronto, Fiorella? Sono ancora io, Marco. Pausa, cercando le parole. Posso tornare da te ancora un po? Ho una domanda.

Una leggera sorpresa nella sua voce, ma accettò.

Due ore più tardi, il fuoristrada ruggiva su una strada di campagna, questa volta senza accelerare, osservando paesaggi familiari e dimenticati. Fiorella lo aspettava sullo stesso portico, con il suo sorriso tranquillo.

Pensavo fossi già in città, commentò. Hai sempre gli impegni.

Gli affari possono aspettare, rispose Marco, e senza pensarci disse: Vendi la cascina? A che prezzo?

Il prezzo era una somma ridicola per lui, spiccioli.

La compro, affermò, ma con una condizione.

Fiorella alzò un sopracciglio, confusa.

Resti qui a vivere, a gestire, a presenziare. Non sarò sempre qui, ma voglio che il posto abbia unanima, che io possa tornare e piantare lalbero che desidero.

Marco balbettò, non come uomo daffari, ma con il cuore in tumulto. Fiorella lo osservava, leggendo nei suoi occhi dubbio, speranza, un pizzico di follia.

Sei serio? sbuffò infine. Perché vuoi questa rovina?

Ho i grattacieli, rise amaramente. Ma non ho un luogo così. Non compro una cascina, Fiorella. Compro un punto di partenza. Che ne dici?

Lei guardò lalbero, il sentiero verso il ruscello, e poi annuì.

Daccordo, sussurrò. Ma devi davvero venire, piantare lalbero, ricordare perché lo vuoi.

Si stringettero la mano, senza avvocati né contratti, solo una stretta sincera. Per la prima volta Marco sentì di chiudere laccordo più importante della sua vita.

Tornò a Milano, riprese le trattative, firmò contratti, guadagnò milioni, ma la sera, avvicinandosi alla finestra, non cercava più la supremazia, ma limmagine di quel giardino con il profumo di mele e erba appena tagliata.

Rileggeva il suo Lunedì inizia il sabato, le pagine ancora sottolineate da quel giovane che credeva di poter rendere felice il mondo gratuitamente. Finalmente capiva da dove doveva partire.

Allinizio, Marco trattava la cascina come un investimento: annotava su un tablet costoso cosa riparare, cosa ricostruire. Fiorella non lo ostacolava; faceva marmellate, curava orti, e solo di tanto in tanto, appoggiata al telaio della porta, osservava quelluomo elegante con gli scarponi sporchi di fango.

Una sera di pioggia, riuscito a liberarsi dal lavoro, si sedettero in cucina a bere tè con marmellata di lampone. Le chiacchiere di affari erano finite, e Marco, con un velo di freddezza, cercava di non aprirsi.

Allora Fiorella, senza guardarlo, domandò:

Ti ricordi quando al professore Starikov discutevamo di Shakespeare? Tu dicevi che Amleto non era codardo, ma un geniale procrastinatore. Io sostenevo che fosse solo un ragazzo infelice.

Marco alzò lo sguardo dalla tazza, la vide davvero per la prima volta, non più la contabile, ma la ragazza dagli occhi accesi.

Ricordo, rispose con voce rauca. E ancora penso di avere ragione.

E io? rispose lei, sorridendo, e le rughette ai lati degli occhi si illuminarono.

Quel sorriso fu per Marco qualcosa di più di una cortesia professionale; era genuino.

Cominciò ad andare più spesso, non più con il tablet, ma con libri dalla sua città, sistemandoli sugli scaffali che aveva restaurato. Parlava di tutto: di letture, di ricordi, di ciò che sembrava importante allora e ora.

Una notte lo trovò mentre leggeva al nipote. Il bambino, in visita, era sdraiato sul letto; Fiorella, con la lampada sul comodino, leggeva Il piccolo principe. La sua voce era un canto dolce, una carezza per il cuore di Marco, che rimaneva fermo nella porta, senza respirare, temendo di interrompere quel momento perfetto. Capì che voleva ascoltare quella voce per il resto della vita.

Diventò il suo aiuto, impacciato ma premuroso. Imparò a tagliare legna, a sistemare il lavandino intasato, a legare i pomodori. Il suo sguardo approvante lo faceva sentire un pioniere della vita, non più un fallito.

Poi arrivò linverno più bello. Arrivò la vigilia di Capodanno, la cascina era ricoperta di neve, dal camino usciva fumo di pino e mele cotte. Fiorella preparava la tavola per due. Guardando le sue mani che disponevano i piatti, Marco, con una chiarezza inoppugnabile, comprese: era a casa. Per la prima volta in anni si sentiva totalmente, irrevocabilmente a casa.

Si avvicinò da dietro, la abbracciò per le spalle, posò la guancia tra i suoi capelli. Lei si fermò, poi si lasciò cullare, poggiando la mano sulla sua.

Rimani, sussurrò, non come richiesta ma come constatazione.

Non me ne andrò più, rispose lui, con la decisione più leggera e vera della sua esistenza.

Parlarono senza sosta, colmando gli anni persi, condividendo paure, speranze, cicatrici. Lui baciava le sue mani calde, lei accarezzava le sue tempie argentate. Non era un fuoco improvviso, ma una fiamma costante, destinata a scaldare per sempre.

Al mattino la luce del sole colpiva la finestra; Fiorella dormiva accanto a lui, il volto sereno. Marco uscì sul portico, laria era fredda e pungente, la neve accecava. Il telefono mostrava decine di chiamate perse da partner. Lo tenne in mano, lo guardò un attimo, poi lo spense decisamente.

Non era più luomo che volteggiava sopra la città. Era luomo che aveva finalmente gettato radici. E quella era la sua più grande vittoria.

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

one × two =

Semplicemente Vivere alla Bella Italia