Non riesco a respirare
Ginevra girò lentamente la chiave nella serratura ed entrò cautamente nell’appartamento. Non importava quanto cercasse di chiudere la porta in silenzio, la serratura scattò comunque. Senza accendere la luce, si spogliò e, in punta di piedi, si avviò verso la porta della sua camera… Il clic dell’interruttore alle sue spalle risuonò nel silenzio della casa come uno sparo.
«Ginevra, dove sei stata? Perché così tardi? Ho chiamato Beatrice. Mi hai mentito», la voce della madre risuonò fredda e spezzata.
La ragazza si bloccò, inspirò rumorosamente e si voltò verso di lei.
«E tu perché non dormi?», replicò, la voce tesa.
«Come posso dormire quando non sei a casa? Ero preoccupata.» La madre la fissò con occhi pieni di ansia.
«Sono grande, mamma, smettila di controllarmi», borbottò Ginevra, visibilmente irritata.
«Sì, sì, grande…» La madre agitò una mano e rientrò in camera sua, lasciando la porta socchiusa.
Ginevra esitò, poi la seguì. Si sedette accanto a lei sul divano.
«Mamma, scusami. Mi sono dimenticata del tempo.»
La madre sembrava stanca, il volto pallido. La luce forte del lampadario accentuava le rughe e le occhiaie, negli occhi un rimprovero muto.
«Non ero sola. C’ero con Matteo. Siamo andati al cinema e poi a fare una passeggiata. Non preoccuparti.»
«Con Matteo?»
«Sì. L’ho conosciuto due settimane fa. È così… interessante, sa un sacco di cose.» Un sorriso le sfiorò le labbra, lo sguardo si perse nel vuoto. Si strinse più forte alla madre, appoggiando la testa sulla sua spalla.
«Quindi anche l’altra volta eri con lui, non da Beatrice?»
«Scusami.»
«Capisco tutto, ma perché non dirmelo subito? Ha già finito l’università?»
«Sì, lavora già», rispose Ginevra in fretta.
«Quindi è più grande di te? Oh, piccola…» Sospirò la madre, ma Ginevra sollevò lo sguardo, pronta a difendersi. La madre però la anticipò. «Mi farai conoscere questo ragazzo?»
«Certo. Ti piacerà.»
«Non mi ero accorta di quanto sei cresciuta.» La madre la guardò con malinconia. «È tardi, vai a dormire.»
«Buonanotte, mamma.» Ginevra baciò la madre sulla guancia e tornò nella sua stanza.
Si spogliò, si infilò sotto le coperte e fissò il soffitto, rivivendo ogni parola, ogni bacio, sognando ancora…
Al risveglio, la madre era già uscita per lavoro. Ginevra si lavò, mangiò la colazione lasciata per lei e prese il telefono.
«Ciao, sei già al lavoro?», chiese allegramente.
«Sì», rispose Matteo con tono secco.
«Ti ho disturbato?» Si irrigidì, sentendo quella freddezza.
«Sì. Ti richiamo più tardi.» La linea si interruppe.
«”Ti richiamo”?» Ginevra fissò il telefono, confusa, finché lo schermo non si spense.
“Magari c’era qualcuno con lui”, pensò, cercando di aspettare. Provò a leggere, ma le parole le scivolavano via senza senso. Alla fine, chiamò Beatrice per uscire.
Mentre mangiavano un gelato, Ginevra le raccontò entusiasta di essersi innamorata, quando finalmente Matteo richiamò.
«Scusami, Colombella, era un momento poco opportuno. Ero impegnato. Ci vediamo stasera?»
«Sì!» rispose felice.
«Mamma vuole conoscerti», gli disse quando si incontrarono.
«Gliel’hai detto di noi?» Matteo si irrigidì. «Non le dispiace che usciamo insieme?» La guardò con diffidenza.
«E perché dovrebbe?»
«Siamo insieme da poco… Conoscere i genitori significa che è una cosa seria…»
«E noi non lo siamo?» Ginevra si tese.
«Io sono serissimo.» La strinse così forte da non lasciarle vedere il suo viso. «È solo che tua madre mi farà mille domande.»
«Quante volte hai incontrato i genitori delle tue ragazze? Su, confessa!» Scherzò, dandogli un colpetto sul fianco.
«Un paio di volte.»
«Non hai niente da nascondere, vero? O hai una stanza segreta, dove tieni le tue ex?» Rise. «Sei forse sposato?»
«Ma che dici?»
«Va bene, dove andiamo?» cambiò argomento.
«Ho poco tempo. Mia madre vuole che torni presto. Facciamo due passi?» Matteo la baciò, e un brivido le corse lungo la schiena. Se c’erano dubbi, svanirono all’istante.
Camminarono abbracciati, mentre Matteo le diceva che non riusciva a dormire, che sognava di averla accanto, che non aveva mai provato nulla del genere. Promise che, quando sua madre stesse meglio, l’avrebbe presentata. Dopo la morte del padre, ogni squillo del telefono la spaventava, perciò lo teneva spento…
Ginevra ascoltava, immaginandoli già insieme. Lo vedeva tornare dal lavoro con un mazzo di fiori, baciarla… Non osava sognare oltre, ma bastava a farle battere il cuore.
«Allora, vieni sabato?» chiese alla fine. «Mamma farà la sua torta al cioccolato.»
In risposta, Matteo la baciò di nuovo.
Sabato, però, telefonò: sua madre stava male, era arrivata l’ambulanza, non poteva lasciarla…
Ginevra si rattristò.
«Non importa. È un buon figlio, sarà un buon marito. Mangiamo la torta», disse la madre.
Ginevra mangiò un pezzo senza appetito, poi vagò per casa senza meta. Aveva sognato un giorno intero insieme. Che sfortuna che Beatrice fosse in campagna.
Uscì, come le aveva suggerito la madre. L’estate stava finendo, ma l’aria era ancora calda. Camminò a lungo, comprò un gelato, ma quando alzò lo sguardo, lo vide. Matteo spingeva un passeggino, accanto a una donna bionda, elegante. Ginevra si nascose dietro un albero, osservandoli.
Passarono. Il gelato si sciolse tra le sue dita. Lo buttò via e tornò a casa a testa bassa, ingoiando le lacrime. Cercava scuse per lui, ma non ne trovava. Se non era sua moglie, chi era?
«Ragazza, guarda dove vai!» una signora la rimproverò.
«Scusi.» Continuò a camminare, senza vedere nulla.
Poi si riebbe. Se lui non era a casa, poteva chiamarlo. Ma il telefono era spento.
«Che succede? Sei pallida», si preoccupò la madre vedendola tornare.
«Solo stanca.» Si chiuse in camera.
Più tardi, la madre entrò e si sedette sul letto. Ginevra fissava il soffitto, abbracciandosi le spalle.
«Che hai, piccola? Lui ti ha fatto del male?»
Ginevra si girò verso il muro.
Quella sera, la madre sentì che qualcosa non andava. Ginevra si chiudeva sempre di più. Amore, capiva. Ma qualcosa era rotto.
Il giorno dopo, Matteo la chiamò, allegro. «Mi sei mancata. Ho una sorpresa per te.»
Voleva chiedergli: “Un’altra?”, chGinevra lo incontrò, ma quando gli disse del bambino, lui le voltò le spalle, e solo allora capì che la libertà più grande era lasciarlo andare per sempre.