“Non c’è ritorno”
“Buon compleanno, Sveva, voglio regalarti il tuo sogno,” annunciò felice Daniele abbracciandola.
“Come fai a regalare un sogno? Un sogno è un sogno è qualcosa che non puoi toccare,” disse Sveva sorpresa, uscendo dalluniversità dopo le lezioni.
“Eppure te lo regalerò lo stesso,” rispose lui con sicurezza. “Andiamo in dormitorio, lasciamo gli appunti, cambiati e usciamo dalla città.”
Scesero dallautobus alla fermata “Circolo Istruzione Equestre”. E allora Sveva capì: voleva regalarle una cavalcata. Quante volte gli aveva detto che il suo più grande desiderio era proprio quello! Da bambina, sognava sempre i cavalli, anche se li aveva visti solo allo zoo. Adorava i film che li ritraevano.
Non sapeva neanche lei perché li amasse così tanto. Una volta, a cinque anni, aveva chiesto a suo padre:
“Papà, compriamoci un cavallo!”
Lui, sorpreso, rise e chiese:
“E dove lo teniamo? È enorme, mangia fieno, ha bisogno di spazio. Abbiamo un bilocale!”
“Sul balcone,” rispose lei semplicemente.
Suo padre le spiegò pazientemente che i cavalli vivono nelle scuderie e corrono nei campi, non in un appartamento. Sveva, dispiaciuta per lipotetico animale, accettò.
“Va bene, papà, non possiamo tenerlo sul balcone. Ma puoi costruirgli una scuderia sotto!”
Quel sogno laveva accompagnata per tutta la vita. Ora era al quarto anno di università, ma lamore per i cavalli era rimasto.
Dopo la cavalcata, Sveva era felice.
“Grazie, Daniele, è stato meraviglioso. Ora so che i sogni si avverano.” Lui sorrise, felice di aver realizzato il desiderio della ragazza che amava.
Era primavera. Usciti dal circolo, Sveva vide un bosco vicino e propose una passeggiata. Tra gli alberi, rivisse unaltra gioia dellinfanzia: il terreno era bianco di bucaneve.
“Oh, Dani, che meraviglia! Da piccola, con le amiche, li raccoglievamo. Cè ancora un po di neve, ma loro spuntano già e che profumo! La primavera è magica.”
Giovani e felici, Daniele le corse incontro con un mazzolino di fiori.
“Buon compleanno e buona primavera,” disse allegro.
“Grazie, Daniele. Mi hai regalato davvero tanto oggi. I cavalli e ora questi fiori. È come tornare bambina.”
“Sono contento di averti sorpresa.”
Si frequentavano da più di un anno. Prima della laurea, Daniele usò i suoi risparmi e la borsa di studio per comprarle un anello e chiederle di sposarlo. Quello che provavano era amore, ne erano certi.
Il matrimonio fu festoso, come da tradizione: labito bianco per lei, il completo per lui. La testimone fu Agata, la sua migliore amica del dormitorio. Anche dopo luniversità, rimasero vicine, sebbene lavorassero in posti diversi.
Daniele, assunto in unazienda, divenne capoufficio e guadagnava bene. Sveva lavorava, ma poi andò in maternità e nacque il loro bellissimo figlio, Niccolò.
Passarono gli anni. Niccolò crebbe e iniziò le le elementari. A Sveva sembrava di avere tutto: una vita serena, un marito affettuoso, un figlio adorato, un bilocale. Agata veniva spesso a trovarli, soprattutto nei weekend.
“Ma quando ti sposi?” chiedeva Sveva allamica, ancora single.
“Non lo so, ma spero presto,” rispondeva lei, enigmatica.
Poi, allimprovviso, il fulmine a ciel sereno. Un giorno Daniele tornò a casa cupo e, senza guardarla in faccia, le disse:
“Me ne vado, Sveva.”
“Dove?” chiese lei, ancora confusa.
“Da unaltra donna.”
“Scherzi? Chi è?”
“Non ci crederai ma è Agata.” E iniziò a fare le valigie.
Sveva, sconvolta, cadde su una sedia. Le parole le rimbombavano in testa.
“Non può essere vero.”
Ma quando Daniele chiuse la porta alle spalle, capì che non era un incubo. Niccolò, che giocava in cortile, non aveva sentito nulla.
“Ho visto papà con la valigia,” le disse tornando. “Ha detto che parte per un lungo viaggio di lavoro.” Lei annuì, senza parole.
Passarono quasi dieci anni.
Un sabato, verso pranzo, qualcuno suonò insistentemente. Sveva, irritata, aprì per rimproverare lindiscreto, ma vide Agata sulla soglia e tentò di chiuderle la porta in faccia. Laltra bloccò il battente con un piede.
“Che vuoi ancora da me?” domandò Sveva seccata.
“Non mi fai nemmeno entrare?”
“Che ci fai qui? Vattene.”
“Sono venuta in pace. Ascoltami, ti prego.”
Qualcosa nella voce di Agata la fece desistere. La lasciò passare.
Lex amica si sedette in cucina.
“Ti preparo anche un caffè?” disse Sveva con sarcasmo.
“Sarebbe perfetto, ma so che non lo farai.”
Sveva la osservò: gli anni non erano stati gentili con lei.
“Prenditi indietro Daniele,” sbottò Agata allimprovviso.
“Che coraggio!” esclamò Sveva, sbalordita.
“Ti supplico. Posso pure darti dei soldi, se vuoi.”
“Allora mi rubi mio marito, complotti alle mie spalle, e ora vuoi che lo riprenda? Sei pazza? O forse è malato e vuoi sbarazzartene?”
“No, sta bene.”
“Allora cosè? Ti sei stancata?”
“Non lho mai amato,” confessò Agata. “Lho preso solo per ferirti.”
“Perché?”
“Perché tu avevi tutto, io niente! Eri più bella, più brillante. Io ero solo la tua ombra. Daniele guadagnava bene e io ne ho avuto abbastanza. Ho voluto renderti la vita difficile.”
“E adesso non lavora più?”
“Adesso beve e sta sul divano. Non abbiamo figli, non posso dargliene. Lui li vorrebbe ma sì, lavora ancora, solo che beve troppo.”
“Quindi vuoi restituirmelo?”
“No, Sveva. Mi sono innamorata. Di un altro. E lui mi ama potrei anche avere un figlio, stavolta.”
Sveva rise amara.
“Di me, come al solito, non ti importa. Hai rovinato la mia vita e quella di Daniele, e ora vuoi scaricarlo? Non lo riprenderò mai.”
“Ma tu lo amavi e vivi sola.”
“Sì, lo amavo. Ma quel amore lo hai distrutto tu. Vi siete traditi insieme. Ho perdonato, ma non voglio più né lui né te.”
Agata si alzò, sconfitta.
“Vai via. Non voglio più vederti.”
Quando la porta si chiuse, Sveva si sedette e pianse. Non per Daniele. Ma perché aveva mentito: non cera nessun altro uomo nella sua vita, solo Niccolò. E forse non ci sarebbe mai stato. Ma, in fondo, non importava. La strada dellamore con Daniele era ormai alle spalle. E non cera ritorno.