Sfiorare con lo sguardo e abbracciare la felicità

19anni ormai li trascorro nella piccola frazione di San Martino, tra la casa di mia madre Lucia e la cucina di nonna Rosa, sperando che un giorno arrivi Luca, il ragazzo del villaggio accanto, che ho amato fin da quando eravamo bambini. Ricordo ancora il suo sorriso più grande di cinque anni rispetto al mio, e mi domando spesso:

Che bello sarebbe se Luca decidesse di venire qui, nella nostra terra di colline e olivi. Purtroppo la sua nonna è morta tre anni fa, e io sono stata io a badare a lei fino allultimo

Dopo la scuola media mi sono iscritta al liceo professionale di medicina di Poggibonsi, ho ottenuto il diploma e ora lavoro come operatore sociosanitario presso il centro di assistenza locale. Spesso mi chiedo:

Cosè la felicità femminile? Esiste davvero? Viviamo solo noi tre, una famiglia tutta al femminile, e non riesco a capire che felicità provi mia madre. Forse neanche lei sa cosa sia, perché mi racconta di come il nostro padre, che non ho mai visto, fuggì via non appena seppe che era incinta. E nonna Rosa, così dolce e generosa, ha cresciuto da sola le due figlie dopo aver rimasto vedova molto giovane.

Curo gli abitanti del villaggio, pur essendo così giovane, con semplicità: preparo le iniezioni, misuro la pressione, mostro sempre cortesia e affetto. La gente mi rispetta perché sono una di loro, una di quelle figlie del campo. Fin da piccola ho sognato di diventare medico, curavo gatti, cani, e le ginocchia dei miei compagni con la verde di Nonna Rosa; anche le mie piccole ferite le medicavo da sola.

Stasera, tornando dal centro, il pensiero di Luca mi torna a galla.

Perché continuo a rimuginare su di lui? mi rimprovero forse è già sposato, forse ha già una fila di figli e non saprà mai che lho amato fin dai tredici anni.

Lultima volta lo ho visto fu al funerale della sua nonna; parlammo a malapena. Era con sua madre, visibilmente provata, che si appoggiava al braccio di Luca.

Linverno è ormai consolidato, abbiamo già festeggiato il Capodanno e febbraio si avvicina alla fine. Mia madre lavora come addetta postale, mentre nonna Rosa passa le giornate a casa, preparando focaccine, gnocchi e ravioli.

Mentre torno verso casa, mi soffermo davanti alla dimora del vicino, la cui chiave mi fu data da nonna Rosa quando ancora vegliavo su di lei. Dopo le tormentate buche di neve, a volte mi occupavo di sgomberare il sentiero sperando che Luca potesse arrivare, ma

Ciao, nonna, dove è mamma? Doveva già essere a casa chiedo alla nipote.

È uscita a fare visita a Maria, la sua amica, perché non si sente bene. Tornerà presto, ho portato le medicine. Vieni a tavola, ti farò qualcosa di caldo. risponde dolcemente nonna Rosa.

Grazie, nonna, ho fame e il freddo è pungente; la primavera non vuole ancora arrivare rido, immaginando che il sole scacci via il gelo.

Rientro nella mia piccola stanza, mi sdraio sul letto e mi perdo ancora nei ricordi di Luca. Una volta, quando aveva diciassette anni, era venuto in vacanza e aiutava il nonno Sempronio a riparare il tetto. Una volta scivolò per errore, quasi cadde, ma il nonno lo afferrò per la mano in tempo; la gamba rimase ferita da un chiodo sporgente. Io, dal mio cortile, presi subito una benda e la verde, corsi nella loro proprietà dove Luca, con la gamba avvolta, gemeva.

Fa male, Luca? Ora ti sistemo la ferita gli dissi, mentre lui mi guardava stupefatto.

Finalmente ho trovato la mia dottoressa commentò con un sorriso imbarazzato.

Non è per nulla intervenne la nonna, è la stessa che cura tutti noi fin da bambine.

Stesai il pungiglione, gli chiedo continuamente: Ti fa male? i miei occhi azzurri brillano di compassione, e quasi mi viene voglia di piangere per la sua sofferenza. Lui, notando il mio sguardo, si rilassa e sorride.

Nessun problema, non sento nulla risponde, e da quel giorno conserva il ricordo dei miei occhi azzurri.

Quando Luca tornò dallesercito, trovò sua madre pallida e con le labbra secche; le lacrime gli rigarono il viso. Lei, commossa, pianse di gioia per averlo di nuovo accanto e disse:

Grazie al Signore, figlio mio, sei tornato; ora posso morire in pace.

Mamma, non dire così, prometto di prendermi cura di te in ogni modo rispose Luca, tenendola stretta.

Era davvero un figlio devoto: somministrava iniezioni, massaggiava le sue gambe doloranti. Il suo sogno era rimettere in piedi la madre, e con impegno ci riuscì. Presto lei riprese le faccende domestiche e ricordava sempre la casa di famiglia nel villaggio.

Ah, figlio mio, quanto sarebbe bello vivere qui, senza dover scendere dal quarto piano, solo sedersi sulla sedia del portico e respirare laria pulita. Potremmo anche allevare qualche gallina

Decise allora di tornare a San Martino, anche se linverno rendeva pericoloso avvicinarsi alla vecchia casa abbandonata. Promise a sua madre di andare il prossimo weekend a controllare la situazione. Gli occhi di sua madre si illuminarono di speranza.

Salì sullautobus per il villaggio, e rimase sorpreso di vedere la strada già spazzata dal trattore, dritta verso la casa della nonna. Il vialetto era pulito fino al cancello e le tre scalette del portico erano sgombre, lì persino un vecchio scopettone riposava.

Chi ha pulito tutto questo? mi chiesi, incuriosito.

Le finestre erano coperte da leggeri tendaggi, fatti a mano dalla nonna, che amava guardare fuori senza chiudere completamente. Salii sul portico, estrassi la chiave dalla tasca, e poco dopo sentii una voce femminile gioiosa alle mie spalle:

Ciao, è passato tanto tempo! Ti aspettavo, sentivo che un giorno saresti tornato.

Mi girai di scatto, quasi cadendo dal portico, ed ecco di fronte a me una giovane donna alta, avvolta in un cappotto di pelle e un berretto bianco, gli occhi blu come il mare, le guance rosate da un lieve rossore. Sorrise.

Non mi ricordi? Sono la nipote di nonna Rosa sì, quella di cui parlavi.

Il ricordo affiorò: era lei quella che mi curò la gamba quellestate. I suoi ricci biondi le arrivavano fino alle spalle e spuntavano un po di lato.

Agata, è vero, Agata esclamai, finalmente riconoscendola Ti ricordo, mi hai medicato il ginocchio eri più piccola allora, con i capelli in due trecce.

Ti ricordi? rise lei, gli occhi ancora più luminosi.

Continuò a raccontarmi tutto, invitandomi a prendere un tè con marmellata di ciliegie. Nonna Rosa e mia madre entrarono nella stanza, felici per il ritrovo.

Negli ultimi tempi nonna è molto debole, non volevo turbare tua madre spiegò Agata. Ho sempre voluto diventare medico e ora lavoro come operatore di zona qui.

Mi ricordo bene come mi hai medicato la gamba, rise Luca, con tanta serietà, al punto che non è rimasto nemmeno un cicatrino.

Oh, smettila, agitò la mano, arrossendo, è solo che ti ho sempre voluta bene, fin da bambina

Mi guardò timidamente, ma il suo amore era evidente. Mi porse la chiave della casa di nonna Rosa, che era rimasta in suo possesso dopo che la nonna fu costretta a letto.

La tua nonna me lha lasciata, diceva che un giorno saresti tornato qui, magari a restare disse, abbassando lo sguardo.

Lascia che la chiave resti da me risposi, accettando. Andiamo dentro.

Entrammo: la casa era pulita, ordinata, sembrava appena lasciata da una nonna che avesse appena finito di sistemare tutto. Luca osservò tutto con gratitudine, capì che era un luogo dove avrebbe potuto ricomporre la sua vita.

Devo tornare a casa, ma ti prometto che tornerò disse, stringendomi la mano. Verrò con mia madre, così potrà respirare questaria fresca. Sistemiamo la casa e tu mi aspetti. Non potrò più allontanarmi, i tuoi occhi luminosi non mi lasceranno.

Mentre lo guardavo salire sullautobus, mi disse:

La nonna aveva ragione, tornerò qui e non ti lascerò più.

Rientrando nella mia stanza, un sorriso mi riempì il cuore. Finalmente capisco cosa significhi la felicità femminile: è lattesa di un amore che ritorna, è la consapevolezza di essere amata e di amare a sua volta.

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