Mentre Elisabetta pagava la spesa, Matteo se ne stava in disparte. Quando lei iniziò a riempire i sacchetti, lui uscì direttamente dal negozio. Elisabetta raggiunse Matteo che stava fumando sulla strada.
— Matteo, prendi i sacchetti — chiese Elisabetta, porgendogli due buste piene.
Matteo la guardò come se gli avesse chiesto qualcosa di scandaloso.
— E tu cosa fai? — domandò, sorpreso.
Elisabetta rimase senza parole. Cosa voleva dire con “e tu cosa fai”? Di solito un uomo aiuta senza farsi pregare. Non era giusto che lei trascinasse la spesa pesante mentre lui camminava a mani vuote.
— Matteo, sono pesanti — replicò.
— E quindi? — ribatté lui, facendo orecchie da mercante.
Vedeva che Elisabetta si irritava, ma per principio non voleva portare le buste. Si allontanò veloce, sapendo che non lo avrebbe raggiunto. *Cosa significa “prendi i sacchetti”? Sono mica un facchino? Io sono un uomo, decido io se portarli o no! Tanto non le succederà niente.* Quel giorno era proprio dell’umore di metterla alla prova.
— Matteo, dove vai? Prendi i sacchetti! — gridò Elisabetta, quasi in lacrime.
Le buste erano davvero pesanti, e Matteo lo sapeva bene, visto che era stato lui a riempire il carrello. La casa era a cinque minuti, ma con quel peso sembrava un’eternità.
Camminando, Elisabetta tratteneva il pianto. Sperava che Matteo tornasse, ma lui si allontanava sempre di più. Avrebbe voluto lasciar cadere tutto, ma invece proseguì come in trance. Arrivata al portone, si sedette sulla panchina sfiancata. Voleva piangere per l’umiliazione e la stanchezza, ma in strada era troppo orgogliosa. Non poteva mandar giù quell’affronto: lui l’aveva ferita di proposito. E pensare che prima del matrimonio era così gentile…
— Ciao, Elisabetta! — La voce della vicina la tirò fuori dai suoi pensieri.
— Buongiorno, nonna Teresa — rispose con un sorriso stanco.
Teresa, che tutti chiamavano nonna Teresa, abitava al piano di sotto e aveva sempre aiutato Elisabetta dopo la morte della nonna. Senza esitare, decise di regalarle la spesa. Tanto ormai l’aveva portata fin lì. La pensione di Teresa era misera, ed Elisabetta spesso le portava qualcosa di buono.
— Andiamo, nonna, l’accompagno a casa — disse, sollevando di nuovo i sacchetti.
Una volta in casa, Elisabetta lasciò tutto a Teresa. Vedendo il tonno, i biscotti e le pesche sciroppate, la vecchia si commosse al punto da far sentire Elisabetta in colpa per non averla coccolata più spesso. Dopo un bacio affettuoso, Elisabetta salì a casa.
Appena entrata, Matteo la raggiunse dalla cucina, ancora con la bocca piena.
— E la spesa? — domandò, come se nulla fosse.
— Quale spesa? — replicò con lo stesso tono. — Quella che mi hai aiutato a portare?
— Suvvia, non fare così! — cercò di sdrammatizzare. — Ti sei offesa per così poco?
— No — rispose calma. — Ho solo capito una cosa.
Matteo si irrigidì. Si aspettava urla, pianti, non questa pacatezza.
— E cosa avresti capito?
— Che non ho un marito. Credevo di aver sposato un uomo, invece ho sposato un imbecille.
— Non capisco — fece finta di offendersi.
— Cosa non è chiaro? — lo fissò negli occhi. — Io voglio un marito che sia un uomo. E a te, pare, piacerebbe una moglie che faccia l’uomo. Allora cerca pure un marito per te.
La faccia di Matteo diventò paonMatteo rimase immobile, i pugni serrati, mentre Elisabetta chiuse la porta alle sue spalle, lasciando solo il silenzio.