Si chiamava Aléna, era la sua ex collega. Poche ore prima della cena di festa, il marito la chiamò e disse: ‘Dobbiamo parlare’.

Si chiamava Chiara, era una sua vecchia collega. Poche ore prima della cena di festa, il marito chiamò e disse: “Dobbiamo parlare.”

Era una donna di nome Viola, unex collega di lavoro. Poche ore prima del pranzo di celebrazione, mio marito mi telefonò con quelle parole gelide: “Dobbiamo parlare.”

Alessandra stava nella cucina del suo appartamento a Firenze, sistemando con cura le tovaglie sulla tavola imbandita per loccasione. Era il loro decimo anniversario di matrimonio con Matteo, e voleva che tutto fosse perfetto: le candele, il suo vino preferito, il profumo del pesce al forno che riempiva la casa. Ma poche ore prima dellarrivo degli ospiti, squillò il telefono. Il nome di suo marito apparve sullo schermo. “Alessandra, dobbiamo parlare,” sussurrò con una voce distaccata. In quel momento, il suo cuore si strinse, come se avesse intuito linevitabile. Non sapeva ancora che quella chiamata le avrebbe stravolto la vita, ma già sentiva tutto ciò che aveva costruito negli anni crollarle addosso.

Matteo era la sua roccia, il suo grande amore, colui con cui aveva condiviso sogni e difficoltà. Si erano conosciuti alluniversità, sposati giovani, avevano cresciuto la loro figlia, Lucia, insieme. Alessandra gli aveva sempre dato fiducia cieca, anche quando tornava tardi dal lavoro o partiva per viaggi di lavoro. Era orgogliosa della sua carriera: Matteo era diventato dirigente in unimportante azienda, e il suo carisma apriva ogni porta. Eppure, con il telefono in mano, ripensò ai dettagli che aveva ignorato: il suo sguardo assente, le risposte evasive, quelle telefonate misteriose che interrompeva subito. Il nome “Viola” le tornò in mente, come unombra che aveva scelto di non vedere.

Viola aveva lavorato con lui due anni prima. Alessandra laveva incontrata a un convegno: alta, con un sorriso sicuro, lo sguardo fisso su Matteo un attimo troppo a lungo. Allepoca, aveva scacciato quel pizzico di gelosia: “Solo una collega, niente di grave.” Matteo le aveva persino detto che Viola si era licenziata per trasferirsi in provincia. Ma ora, sentendo il suo respiro incerto al telefono, Alessandra capì: Viola non se nera mai andata davvero. “Non volevo che accadesse così, Alessandra,” iniziò lui, ogni parola che risuonava come un colpo. Confessò di frequentare Viola da un anno, che era tornata a Firenze, che si sentiva “perso”. Alessandra rimase in silenzio, sentendo il terreno mancarle sotto i piedi.

Non ricordò di aver riagganciato. Né di aver spento il forno, o riposto le candele che aveva acceso con tanta speranza quella mattina. I suoi pensieri giravano vorticosamente: “Come ha potuto? Dieci anni, Lucia, la nostra casatutto per lei?” Seduta sul divano, con la foto del loro matrimonio tra le mani, cercava di capire quando la sua vita era diventata una menzogna. Ripensò allabbraccio di Matteo solo una settimana prima, alla sua promessa di portare Lucia in montagna. Intanto, lui era con unaltra. Il tradimento la bruciava, ma la cosa peggiore era unaltra: non si era accorta di niente perché aveva creduto in lui. Lo aveva amato così tanto da diventare cieca.

Quando Matteo tornò a casa, Alessandra lo accolse con un silenzio pesante. Gli invitati non arrivaronoaveva annullato il pranzo, incapace di fingere. Lui sembrava in colpa, ma non distrutto. “Non volevo farti soffrire, Alessandra. Ma con Viola è diverso.” Quelle parole la finirono. Non urlò, non pianselo guardò come se fosse uno sconosciuto. “Vattene.” La sua voce fu più ferma di quanto credesse possibile. Matteo annuì, prese la sua borsa e se ne andò, lasciandola sola in quellappartamento ancora profumato di una festa che non ci sarebbe mai stata.

Passò un mese. Alessandra cercava di vivere per Lucia, che non sapeva tutto. Sorrideva a sua figlia, le preparava la colazione, ma passava le notti a singhiozzare, chiedendosi: “Perché non sono stata abbastanza?” Le amiche la sostenevano, ma le loro parole non la guarivano. Scoprì che Matteo e Viola vivevano insieme ormai, unaltra ferita. Eppure, nel profondo, qualcosa stava nascendouna forza. Non era crollata. Aveva annullato quel pranzo, ma non la sua vita.

Oggi, Alessandra guarda al futuro con una cautela piena di speranza. Si è iscritta a un corso di design, un vecchio sogno di gioventù, passa più tempo con Lucia, impara ad amare se stessa. Matteo chiama a volte, chiede scusa, ma lei non è pronta ad ascoltarlo. Viola, il cui nome un tempo era solo unombra, non ha più alcun potere su di lei. Alessandra ora sa: la sua vita non è lui, né il loro matrimonio. È lei. E quellanniversario, che doveva essere una festa, è diventato il primo capitolo di una nuova storia. Una storia in cui non vivrà più per le promesse degli altri.

Ho imparato, attraverso questo, che non si deve mai spegnere la propria luce per qualcuno che non sa vederla.

Rate article
Add a comment

;-) :| :x :twisted: :smile: :shock: :sad: :roll: :razz: :oops: :o :mrgreen: :lol: :idea: :grin: :evil: :cry: :cool: :arrow: :???: :?: :!:

20 − 11 =

Si chiamava Aléna, era la sua ex collega. Poche ore prima della cena di festa, il marito la chiamò e disse: ‘Dobbiamo parlare’.