Siamo sulla stessa strada

**La Strada che Percorriamo Insieme**

Gina è sempre stata una bambina indipendente e obbediente. I genitori lavoravano tutto il giorno, mentre lei tornava da scuola, scaldava la minestra, mangiava e faceva i compiti. A volte preparava persino la pasta da sola. Così, fin dalla prima elementare.

Quando frequentava l’ultimo anno delle superiori, alcuni studenti arrivarono per il tirocinio pre-laurea. Tra questi c’era Luca Matteo, un ragazzo alto e serio, con gli occhiali e un completo grigio, che teneva le lezioni di storia. I ragazzi lo soprannominarono “secchione”, lo prendevano in giro e cercavano di sabotare la lezione. Ma alla fine stavano ad ascoltarlo a bocca aperta. Raccontava la storia come nessun altro insegnante prima di lui. Faceva domande, li spronava a riflettere, esprimere opinioni e immaginare scenari alternativi.

Gli occhi dei ragazzi brillavano. Era la prima volta che potevano dire la loro, cambiare il corso della storia, anche solo idealmente. Luca li riportava con i piedi per terra quando si lasciavano trasportare da rivoluzioni troppo audaci. Aspettavano le sue lezioni con impazienza e non le saltavano mai.

Gina non smetteva di guardarlo con occhi innamorati. Cominciò a leggere libri di storia per partecipare alle discussioni. Un giorno trovò il coraggio di esprimere la sua idea. Luca la lodò: “Se la riforma fosse andata come hai detto tu, vivremmo in una società completamente diversa”. Poi spiegò perché, all’epoca, sarebbe stato quasi impossibile.

“Purtroppo, la storia non si può riscrivere. Si può solo modificare il libro di testo, enfatizzando certi eventi”, disse, con un tono significativo.

Quando il tirocinio finì, Gina perse subito interesse per la storia. Un pomeriggio, tornando da scuola, incontrò Luca che le veniva incontro di fretta.

“Ciao, Gina”, la salutò.

Ricordava il suo nome! Il cuore di Gina fece un balzo di gioia.

“Stai andando a scuola? Le lezioni sono finite”, disse timidamente.

“No, volevo vederti.”

Gina spalancò gli occhi e arrossì per l’imbarazzo.

“Torni a casa? Ti accompagno.”

Camminarono insieme e lui le chiese della scuola, degli amici, dei suoi piani per l’università.

“Non pensavi alla facoltà di storia? Mi era sembrato che ti piacesse. Ho molti libri interessanti, potrei prestartene qualcuno.”

Gina si sentì pervadere dalla felicità. La stava invitando a casa sua? Non Elena, la ragazza più bella della classe, ma lei, Gina Rossi, “Grillina”, come la chiamava affettuosamente il padre. Non osava alzare lo sguardo.

“Grazie, ma voglio iscrivermi a economia…”, mormorò. “Però i libri li leggerei volentieri.”

“Bene. La prossima volta te ne porterò qualcuno, scelto da me, se non hai obiezioni.”

*La prossima volta? Si sarebbero rivisti?* Il cuore di Gina batteva all’impazzata per l’incredibilità di quell’attimo.

“Ci sarà… una prossima volta?”, chiese, sentendo il volto arrossire.

“Certo. Se vuoi.” Sorrise, e il suo volto divenne più giovane e bello. Gina si accorse che non era molto più grande di lei. Era la prima volta che lo vedeva sorridere.

“Chiamami solo Luca. Non siamo a scuola, non sono più il tuo insegnante. Siamo arrivati? Questa è casa tua?”

Gina annuì, senza riuscire a parlare per l’emozione. Lui si congedò e stava per andarsene.

“Luca, quando tornerai?”, osò chiedere.

Lui tirò fuori il telefono.

“Dammi il tuo numero, ti chiamo.”

Ma Luca non chiamò. Le mandò un messaggio dopo qualche giorno. Si videro un paio di volte, poi iniziarono gli esami: per Gina quelli di maturità, per Luca, all’università. Si rincontrarono dopo il diploma. Gina aveva tenuto segreti quegli incontri, poi ne parlò alle amiche, che la invidiavano moltissimo. Nessuna di loro aveva un ragazzo più grande.

Gina iniziò l’università e continuò a frequentare Luca. Quando la madre lo scoprì, si preoccupò e chiese di conoscerlo. Luca piacque subito ai genitori: serio, affidabile, senza vizi, e per giunta insegnante. La madre si tranquillizzò, mentre Gina volava sulle ali dell’amore.

Al terzo anno si sposarono. Decisero di aspettare a fare figli finché Gina non avesse finito gli studi. Luca amava l’ordine: allineava i barattoli, disponeva i libri in pile precise, stendeva gli asciugamani con cura. Chiedeva gentilmente a Gina di non lasciare oggetti in giro. Lei lo prendeva come un gioco e presto iniziò a fare lo stesso per compiacerlo.

Un giorno, Luca entrò in bagno dopo di lei e poco dopo la chiamò con tono severo.

“Gina, ti ho chiesto di asciugare l’acqua dopo la doccia”, disse controllando l’irritazione.

Gina vide qualche goccia sulle piastrelle.

“Va bene, la prossima volta lo farò. Tanto anche tu ti laverai.”

“Non la prossima volta, ora. Sai dov’è il mocio?”

Non aveva gli occhiali, e i suoi occhi grigi la fissavano freddi. La vista era perfetta: gli occhiali servivano solo a sembrare più adulto.

“Davvero? Si asciugheranno da soli.” Gina non credeva che fosse serio. Ma Luca non scherzava. Lo sguardo divenne tagliente, gelido. Gina avrebbe voluto nascondersi, svanire. Prese il mocio e passò il pavimento.

“E appendi l’asciugamano.” Indicò quello appoggiato sul bordo della vasca.

“Stavo per farlo, ma mi hai distratto…”, si giustificGina capì infine che la felicità non stava nell’ordine perfetto, ma nella libertà di amare ed essere sé stessa, e con un sorriso guardò fuori dalla finestra, dove i suoi bambini ridevano sotto il sole italiano.

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