Signore, oggi è il compleanno di mia mamma… Vorrei comprarle dei fiori, ma non ho abbastanza soldi…” Gli regalai un mazzo. E tempo dopo, quando tornai al cimitero, vidi quel bouquet lì.

“Signore, oggi è il compleanno di mia mamma… Vorrei comprarle dei fiori, ma non ho abbastanza soldi…” Gli comprai un mazzo di fiori. Tempo dopo, quando andai al cimitero, vidi quel mazzo lì.

Quando Matteo non aveva ancora cinque anni, il suo mondo crollò. Sua madre se nera andata. Lui restò in un angolo della stanza, confuso: cosa stava succedendo? Perché la casa era piena di estranei? Chi erano? Perché tutti parlavano a bassa voce ed evitavano il suo sguardo?

Il bambino non capiva perché nessuno sorrideva. Perché gli dicevano “Sii forte, piccolo” e lo abbracciavano come se avesse perso qualcosa di importante. Ma lui semplicemente non vedeva sua madre da un po.

Suo padre era lontano tutto il giorno. Non si avvicinava, non lo abbracciava, non diceva una parola. Se ne stava seduto in disparte, vuoto e distante. Matteo si avvicinò alla bara e fissò sua madre a lungo. Non era più come la ricordava: niente calore, niente sorriso, niente ninne nanne la sera. Pallida, fredda, immobile. Faceva paura. E il bambino non osò più avvicinarsi.

Senza di lei, tutto cambiò. Grigio. Vuoto. Due anni dopo, suo padre si risposò. La nuova donna, Grazia, non entrò mai nel suo mondo. Anzi, sembrava infastidita da lui. Brontolava sempre, trovava difetti come se cercasse una scusa per essere arrabbiata. E suo padre taceva. Non lo difendeva. Non interveniva.

Ogni giorno Matteo sentiva un dolore che nascondeva dentro. La mancanza. La nostalgia. E ogni giorno desiderava sempre più tornare a quando sua madre era viva.

Quel giorno era speciale: il compleanno di sua madre. Al mattino, Matteo si svegliò con un solo pensiero: doveva andare da lei. Al cimitero. Portarle dei fiori. Gigli bianchi, i suoi preferiti. Ricordava che li teneva in mano nelle vecchie fotografie, splendenti accanto al suo sorriso.

Ma dove trovare i soldi? Decise di chiedere a suo padre.

“Papà, posso avere qualche soldo? Mi servirebbe davvero…”

Prima che potesse spiegare, Grazia sbucò dalla cucina:

“Che cosa vuoi adesso?! Già chiedi soldi a tuo padre?! Hai idea di quanto sia difficile guadagnare uno stipendio?”

Suo padre alzò lo sguardo e provò a fermarla:

“Grazia, aspetta. Non ha ancora detto perché. Figliolo, dimmi di cosa hai bisogno?”

“Vorrei comprare dei fiori per la mamma. Gigli bianchi. Oggi è il suo compleanno…”

Grazia sbuffò, incrociando le braccia:

“Ma dai! Fiori! Soldi per i fiori! Magari vorresti anche andare al ristorante? Prendi qualcosa dal giardino, quello sarà il tuo mazzo!”

“Non ci sono,” rispose Matteo piano ma fermo. “Li vendono solo dal fioraio.”

Suo padre lo guardò pensieroso, poi rivolse lo sguardo alla moglie:

“Grazia, vai a preparare il pranzo. Ho fame.”

La donna sbuffò ancora e sparì in cucina. Il padre tornò al suo giornale. E Matteo capì: non avrebbe avuto un soldo. Non gli dissero altro.

In silenzio, andò in camera sua, prese il vecchio salvadanaio. Contò le monetine. Non molte. Ma forse bastavano?

Senza perdere tempo, corse fuori verso il negozio di fiori. Da lontano, vide i gigli bianchi in vetrina. Così luminosi, quasi magici. Si fermò, trattenendo il fiato.

Poi entrò deciso.

“Che vuoi?” chiese la fioraia con tono sgarbato, guardandolo male. “Ti sarai sbagliato posto. Qui non vendiamo giocattoli o caramelle. Solo fiori.”

“Non sono qui per niente… Voglio davvero comprarli. I gigli… Quanto costa un mazzo?”

La donna disse il prezzo. Matteo tirò fuori tutte le monetine. Arrivavano a malapena a metà.

“Per favore…” implorò. “Posso lavorare! Venire ogni giorno, aiutare a pulire, spolverare, lavare i pavimenti… Me lo presti solo questo mazzo…”

“Ma sei sano di mente?” sbottò la fioraia. “Credi che sia milionaria per regalare fiori? Sparisci! O chiamo la polizia, qui non si mendica!”

Ma Matteo non si arrese. Quei fiori gli servivano oggi. Ricominciò a supplicare:

“Vi ripagherò tutto! Lo prometto! Guadagnerò quello che serve! Per favore, capitemi…”

“Ma guarda questo attore!” strillò la donna così forte che i passanti si voltarono. “Dove sono i tuoi genitori? Forse è ora di chiamare i servizi sociali? Perché giri qui da solo? Ultimo avviso: vattene prima che chiami!”

In quel momento, un uomo si avvicinò al negozio. Vide la scena e non sopportò lingiustizia, soprattutto verso un bambino.

“Perché urli così?” chiese alla fioraia. “Lo tratti come se avesse rubato. È solo un bambino.”

“E lei chi è?” ribatté la donna. “Se non sa come stanno le cose, non si intrometta. Ha quasi rubato il mazzo!”

“Quasi rubato, certo,” replicò lui. “Lo ha aggredito come una belva! Ha bisogno di aiuto, e lei lo minaccia. Non ha coscienza?”

Si girò verso Matteo, rannicchiato in un angolo, che si asciugava le lacrime.

“Ciao, piccolo. Mi chiamo Luca. Dimmi, perché sei triste? Volevi comprare i fiori ma non avevi abbastanza soldi?”

Matteo singhiozzò, si asciugò il naso con la manica e disse con voce tremula:

“Volevo i gigli… Per la mamma… Le piacevano tanto… Ma se nè andata tre anni fa… Oggi è il suo compleanno… Volevo andare al cimitero e portarglieli…”

A Luca si strinse il cuore. La storia del bambino lo colpì profondamente. Si accovacciò accanto a lui.

“Sai, tua mamma sarebbe orgogliosa di te. Non tutti gli adulti portano fiori nelle ricorrenze, e tu, a otto anni, ricordi e

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