Sistemare la vita amorosa

**Sistemare la vita amorosa**

“Mamma, ma perché ti agiti così? Denis mi ha detto che mi ama. Ci sposeremo, mamma,” disse Gioia con una calma mai vista prima.

“Come posso non agitarmi? Sei incinta, non sei sposata, non hai nemmeno finito l’università, e di questo Denis non l’ho mai visto in faccia! Pensi che un bambino sia un giocattolo? Che quel ragazzo si presenti qui oggi stesso e, guardandomi negli occhi, prometta di prendersi tutte le responsabilità, hai capito?”

“Ma non urlare così, credevo saresti stata felice del nipotino. Ora vado a prendere Denis, sta tornando dal lavoro, ho le chiavi della sua stanza nel dormitorio. Aspetterò lì, sei troppo nervosa,” rispose Gioia offesa, uscendo di casa sventolando la borsetta con noncuranza.

Elena Nicolina si strinse il cuore, si sedette pesantemente sullo sgabello e fissò il ritratto del marito.

“Ecco il frutto dell’assenza di un padre!” disse al ritratto. “Oh, Matteo, perché ci hai lasciate così presto, io e Gioia? Non ho saputo proteggere nostra figlia, è cresciuta troppo in fretta. E se quel ragazzo la abbandona? Come faremo a vivere? Il mio stipendio è misero, e chi assumerebbe Gioia incinta? E mancano ancora sei mesi alla laurea. Che disgrazia!”

Elena Nicolina affondò il viso nel grembiule e pianse. Il peso della vita le era caduto addosso quando era ancora giovane. Il marito era morto in un incidente alla segheria, e Gioia aveva solo due anni. Vivevano alla periferia di Milano. Quanto aveva sofferto Elena, lo sapevano solo la sua unica amica e i vicini di strada. Il boccone migliore lo dava sempre alla piccola. E poi c’era la casa da tirare avanti. E ora, quando la vita sembrava essersi sistemata, la figlia le aveva fatto questo regalo.

“Va bene, devo preparare l’impasto per la crostata, dopotutto oggi arriva il genero. Eh, Gioia, Gioia…”

Quando la tavola fu apparecchiata, Elena Nicolina indossò un vestito più elegante e si mise a lavorare a maglia per passare il tempo in quell’attesa tesa.

Poi, nell’ingresso, la porta sbatté ed entrò Gioia. La madre scrutò dietro di lei, ma non vide nessuno.

“Dov’è il genero? Non l’hai mica lasciato sulla soglia?”

“C’era, ma è svanito,” singhiozzò Gioia. “Mi ha lasciata.”

“Come sarebbe?” Elena Nicolina, sorpresa, cadde sulla sedia.

“Così! Si è licenziato, ha preso le sue cose ed è sparito senza dire dove andava. Così ha detto il custode del dormitorio…”

Gioia era confusa, gli occhi pieni di lacrime. Diventare una madre single non era nei suoi piani.

“Che faccio adesso, mamma?”

Elena Nicolina avrebbe voluto dirle che l’aveva avvertita, ma si trattenne. Il cuore di una madre non è di pietra.

“Partorirai, cosa vuoi fare. Non si risolve da solo,” disse la madre. “Quando è previsto?”

“A luglio, giusto in tempo per prendere la laurea,” sospirò Gioia accarezzandosi il ventre.

… Gioia partorì proprio nei tempi previsti. Era una femminuccia, che chiamarono Livia. E così cominciarono a vivere in tre, come i tre cipressi di San Gimignano.

La piccola cresceva forte e allegra, osservando il mondo con occhietti intelligenti. Elena Nicolina la adorava, mentre la madre la trattava con un certo distacco. Livia, per disgrazia, somigliava al bugiardo Denis: stessa capigliatura rossa e riccia, stessi grandi occhi verdi.

“Arriva la mamma!” A sei anni, Livia, vedendo Gioia dalla finestra, correva alla porta per abbracciarla.

“Che mi hai portato?” La bambina le aggrappava il braccio e la guardava fiduciosa.

“Niente,” rispondeva Gioia cupa e stanca.

“Perché? Voglio un gelato. Me l’avevi promesso ieri!”

“Lasciami stare! Sono stanca!” Gioia la spinte via dalle ginocchia e andò in camera.

Livia rimase ferma in mezzo alla stanza e scoppiò in lacrime. Aveva aspettato la madre, sperando in un po’ di affetto, e invece era stata respinta. E poi all’asilo le avevano chiesto di disegnare la sua famiglia. Livia aveva disegnato tre figure: lei, la mamma e la nonna. I compagni si erano messi a ridere, dicendo che Livia era “senza papà”, perché non ce l’aveva.

Elena Nicolina cercò di consolare la nipotina, ma niente da fare: un groppo di rancore travolse la bambina in un pianto disperato.

“Papà, dov’è il mio papà? Perché la mamma è cattiva?!” urlava Livia, singhiozzando.

Elena Nicolina la strinse a sé:

“Non tutti hanno un papà, piccola. Pazienza, ce la faremo anche senza. Così ci avanzano più crostate. Su, andiamo a comprare il gelato.”

Sentendo la parola magica “gelato”, Livia cominciò a calmarsi.

“Lo compriamo anche alla mamma?”

“Anche alla mamma.”

In casa di Elena Nicolina, la Festa della Donna si festeggiava sempre in grande. Dopotutto, erano tutte donne. E allora la tavola straripava di prelibatezze, Gioia invitava le amiche e tutte si scambiavano regali. Ma quell’anno, invece delle amiche, Gioia portò con sé un uomo. Senza avvertire la madre.

Sulla soglia di casa si presentò un uomo distinto, in un costoso completo, molto più vecchio di Gioia.

“Mamma, ti presento Alessandro. Lavoriamo insieme, è il mio capo. Presto lo trasferiranno in un’altra città con una promozione. Ci sposeremo.”

“Cosa?” Elena Nicolina rimase di sasso.

“Oh! È il mio papà, vero?” Livia, che sbirciava dalla sua camera e aveva udito tutto, era così felice che si dimenticò persino di salutare l’ospite.

“No, piccola, io non sono tuo padre,” sorrise Alessandro. “Guarda che bambola ti ho portato.”

Livia girò la faccia e rifiutò di prendere la bambola dalle sue mani. Quell’uomo, per qualche motivo, non le piaceva.

La serata trascorse fiacca. Alessandro non si sforzò di piacere alla famiglia di Gioia, mentre lei si spezzava per compiacere il futuro marito e sgridava continuamente la figlia.

“Siediti dritta, come ti siedi? Cosa penserà di noi lo zio Alessandro? Smettila di scalciare, ti ho detto!” rimproverava Gioia, lanciando occhiate furiose alla figlia.

Elena Nicolina tacque perlopiù, a disagio. Alessandro, invece, godeva della sua superiorità su quei poveracci, come li considerava. Con tutto il suo fare, dimostrava di star loro facendo un favore con la sua presenza. Livia mangiava a malapena, guardando la madre spaventata. A parlare era soprattutto Alessandro, con Gioia che annuiva.

“Nel nostro settore, la mia azienda ha ottenuto ottimi risultati. Quindi potete congratularvi con me: avete davanti il futuro direttore di una filiale. Peccato che sia a tremila chilometri da qui. Dovremo trasferirci. Gioia viene con me. Ci aspetta una villetta a due piani con giardino.”

“E io mi trasferisco? L’asilo lì è bello?” chiese Livia.

Alessandro tacque, lLivia strinse il suo orsacchiotto fra le braccia e sorrise alla nonna, sapendo che la vera famiglia non è quella che ti abbandona, ma quella che non ti lascia mai sola.

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