Sognava di onde e libertà…

Sognava il mare…

Ginevra ogni mese metteva da parte un po’ del suo stipendio per le vacanze. Da un anno intero sognava il mare. Una volta, da piccola, era andata al sud con i genitori, ma ricordava poco. Allora aveva solo tre anni. Poi, d’estate, la portavano in campagna dai nonni. Invece del mare, c’era un fiume poco profondo, ma poteva nuotare quanto voleva, finché le labbra non diventavano blu e la pelle si riempiva di brividi.

In quarta elementare, i genitori la mandarono in colonia. Le piacque poco: troppe regole e niente libertà. Si bagnarono solo una volta. In campagna le vacanze erano più spensierate. I genitori arrivavano ogni weekend con dolcetti e regali. Dopo quell’esperienza, non volle più andarci.

Nella memoria di Ginevra, l’infanzia era legata a un sole accecante, alle grida dei bambini nel fiume, agli spruzzi d’acqua che luccicavano come arcobaleni. Ricordava l’odore delle alghe e dell’erba secca sotto il sole, la polvere soffice come seta sulla strada.

Le capitava di sognare di correre a piedi nudi, affondando nella polvere, mentre i genitori avanzavano verso di lei. A quel punto, si svegliava con il cuore in gola.

Quando era in terza media, suo padre morì d’infarto. La madre non si riprese mai, si chiuse in sé stessa. Andava spesso al cimitero e tornava silenziosa, con lo sguardo spento.

Poi si ammalò. Camminava a fatica, curva, come se tutte le forze l’avessero abbandonata. Smise di truccarsi e di pettinarsi. Ginevra, tornando da scuola, spesso la trovava a letto.

«Mamma, non ti sei alzata? Hai mangiato qualcosa?» chiedeva preoccupata.

«Non ho fame. Sono stanca», rispondeva la madre con labbra secche.

Ginevra cucinava, faceva la spesa, lavava i piatti, puliva casa e la convinceva a mangiare qualcosa. Poi smise persino di alzarsi per andare in bagno. Né le suppliche né le lacchie di Ginevra servirono a farla muovere. Una vicina la controllava mentre lei era a scuola. Fu lei a chiamare la scuola per annunciare la morte della madre.

Ginevra non ricordava nemmeno se avesse sostenuto gli esami, o come li avesse affrontati. La madre era morta poco prima della fine dell’anno, fissando il ritratto del marito sul muro. La vicina aiutò con i funerali.

Si iscrisse all’università telematica e trovò lavoro nello stesso istituto. Era rotondetta, con le guance paffute, e si considerava brutta. Provò diverse diete alla moda, ma dopo due giorni si abbandonava al cibo con più voracità di prima. Alla fine degli studi, accettò che non sarebbe mai stata magra come le modelle delle riviste: la genetica non era dalla sua parte.

Forse per via delle sue forme generose, non attirava i ragazzi, anche se nessuno la chiamava grassa. «Al mare mangerò solo frutta e finalmente dimagrirò», sognava.

Il direttore dell’azienda dove lavorava non le concesse le ferie estive.

«Ginevra, non hai figli. Dovrei lasciare andare in vacanza te o, per esempio, la signora Elena, che ha due bambini? Vedi? Scrivi la domanda per settembre. Sarà la stagione migliore.»

Accettò. Che poteva fare? Intanto cercava un hotel online. Decise di volare, anche se costava di più: almeno sarebbe arrivata presto. Sperò solo nel bel tempo. Comprò un costume e un vestito leggero. Al sud avrebbe preso un cappello a larghe tese, come nei film. Non pensava ad altro, e di notte sognava di correre non sulla polvere, ma lungo la spiaggia.

Una sera, tornando a casa in autobus, contava le settimane mancanti alle vacanze quando un uomo si sedette accanto a lei.

«Signorina, sa quanto manca a Piazza Verdi?»

Ginevra si voltò e vide un uomo simpatico, con uno sguardo gentile.

«Poco, le dirò quando scendere. Ci va per qualche motivo?»

«Da un amico. Ha detto che vive vicino al centro commerciale», rispose l’uomo, guardandola con attenzione.

«Vicino? In che via?»

«Un attimo.» L’uomo tirò fuori un foglietto stropicciato. «Via del Sole, numero quarantadue.»

«Io abito al trentotto», disse Ginevra, sorridendo senza motivo.

«Allora scendo con lei e mi indica la strada. È la prima volta che vengo in questa città.»

Ginevra annuì e tornò a guardare fuori.

«Il mio amico si è sposato, ha avuto una bambina. Non ci vediamo da anni, da quando siamo tornati dall’esercito. Sono emozionato», disse l’uomo, come se parlasse tra sé.

«Se le ha dato l’indirizzo, vuol dire che l’aspetta», replicò lei.

«Sì, ma ho perso il numero. Non ho avvertito che venivo. E se è uscito?» sospirò.

Chiacchierarono così fino alla fermata. Attraversarono la strada e Ginevra indicò il suo palazzo.

«Qui abito io, lei deve proseguire, due case più avanti.»

«Potrebbe darmi il suo numero? Per sicurezza.» L’uomo sorrise, un po’ imbarazzato.

Ginevra glielo dette. Tanto non avrebbe chiamato. Sua madre diceva che bisognava scegliere un uomo alla propria altezza, e lui era troppo bello per lei. L’uomo la ringraziò e se ne andò, mentre lei entrava nel cortile.

Stava sbadigliando davanti alla TV quando il telefono squillò. Guardò il numero sconosciuto: erano le venti e trenta. Si ricordò di quell’uomo e rispose.

«Ci siamo conosciuti sull’autobus, mi ha dato il suo numero», disse una voce piacevole.

«Il numero, non il telefono», lo corresse, sentendo il cuore accelerare.

«Il mio amico è andato in campagna. Sono riuscito a parlargli, ma è troppo tardi per raggiungerlo. Non so che fare. Mi dispiace disturbarla», aggiunse, imbarazzato.

Ginevra si bloccò. Prima pensò che fosse un’impertinenza. Uno sconosciuto che si lamentava, sperando di essere invitato. Ma forse le piaceva, e usava questa scusa?

«Chiami un taxi e vada in un albergo», propose cauta.

«Va bene. Lo farò», rispose lui, rassegnato.

Qualcosa frusciò nel telefono.

«Tutto bene?» chiese.

«Sì. Volevo ringraziarla.» La linea cadde.

Si sentì in colpa. Era solo, in una città straniera, senza conoscere nessuno. Forse non aveva soldi. Non doveva aiutarlo, eppure… Richiamò l’ultimo numero. Rispose subito, come se aspettasse.

«D’accordo, venga», gli disse il numero dell’appartamento, poi riattaccò.

L’uomo arrivò in cinque minuti. Ginevra fece in tempo a cambiarsi la vestaglia con un abito decente. Bevvero il tè e lui, presentatosi come Davide, raccontò dell’amicizia con quell’uomo, del periodo nell’esercito. Lei rise delle sue battute, poi parlò della sua solitudine. Davide la capì: anche suo padre era morto. Andarono a letto all’una. Ginevra gli preparò il divano in salotto, mentre lei dormì nella stanza dove era spirata la madre.

Non riusciva a prendere sonno. RipensavaL’indomani, mentre guardava Davide allontanarsi verso la fermata dell’autobus, Ginevra sentì un’improvvisa paura di non averlo più rivisto, ma quando tornò a casa quella sera, lo trovò seduto sui gradini del palazzo con un mazzo di margherite in mano e un sorriso timido che le ricordò il mare che aveva sempre sognato.

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