Tutti nel paese conoscevano e odiavano Primo per il suo carattere insopportabile. Era sposato con Giulia, una donna tranquilla ma con qualche problema. Non riusciva a dare figli al marito. Avevano vissuto insieme dodici anni, ma non era mai arrivato un bambino.
Poi, allimprovviso, come un fulmine a ciel sereno, Giulia morì. Sua madre sapeva che qualcosa non andava nella salute della figlia, ma lei non si lamentava mai.
“Figlia mia, ultimamente non hai un bellaspetto,” le chiedeva la madre quando andava a trovarla.
“Non è nulla, mamma. A volte mi sento debole, ho le vertigini, ma mi riposerò e passerà. Non preoccuparti,” rispondeva la figlia con calma.
Giulia non era abituata a lamentarsi, soprattutto con il marito, che non sopportava se la moglie aveva mal di testa o altro.
“Non fare la commedia, conosco voi donne, avete sempre qualcosa che non va. Non volete lavorare, ecco perché vi lamentate, per sfuggire alle faccende. Non piangerti addosso, nessuno qui ha pietà di te,” le rispondeva lui.
Dopo il funerale passò un anno. Primo viveva solo, ma pensava di risposarsi. Stare da solo era dura, anche se era abituato a vivere come un lupo solitario. Cominciò a osservare le donne del paese.
“Devo prendere una moglie senza figli,” pensava. “Non ho bisogno di figli di altri. Le donne della mia età sono tutte con bambini. Meglio una più giovane, ma chi mi vorrebbe?”
Lo sapeva bene: il suo carattere non piaceva a nessuno nel paese, non aveva amici, e poche avrebbero accettato di sposarlo. Alla fine scelse Livia. Era una ragazza timida, quasi invisibile, ma laboriosa e modesta.
Un giorno la incontròanzi, la aspettò apposta.
“Livia, vieni qui un attimo,” la chiamò mentre passava davanti alla sua casa.
Alzò lo sguardo e, vedendolo alla porta, si avvicinò.
“Buongiorno,” salutò timidamente.
“Salve,” rispose lui, brusco. “Senti, ti ho osservata. Perché non mi sposi? Sono solo, ho una casa solida, vivremo bene. Avremo figli. Non ho eredi.”
“Oh, non so” arrossì Livia, sorpresa. “Devo parlarne con mia madre.”
“Parlaci pure. Stasera verrò da voi.”
Tornata a casa, Livia lo disse alla madre:
“Mamma, credo che mi sposerò.”
“Come? Con chi? Non hai nemmeno un ragazzo.”
“Primo verrà a chiedere la mia mano stasera”
“Figlia mia, è molto più vecchio di te! Rifletti bene. Ha un carattere difficile, litigioso. Tutti sussurrano che ha portato la prima moglie alla tomba, con il troppo lavoro o peggio. Chi può sapere? La famiglia degli altri è sempre un mistero.”
“Mamma, cosa devo pensare? Non ho pretendenti in fila, e gli anni passano. Forse dicono solo male di lui, sono chiacchiere”
Livia sposò Primo. Nei primi tempi, nel paese si parlò molto. Alcuni la compativano:
“Poveretta, ha fatto un errore. È un uomo crudele, solitario.”
Altri invece dicevano:
“Primo ha avuto fortuna. Ha preso una donna modesta, che lo ascolterà e lavorerà senza ribellarsi.”
E così fu. Primo litigava con tutti, era scontroso, e non sopportava la suocera. Non lasciava Livia andare spesso da lei.
“È un despota, un tiranno,” ripeteva la madre quando Livia la raggiungeva di nascosto, mentre lui era al lavoro.
“Sto bene, mamma, non preoccuparti. Troverò il modo di gestirlo. Lui brontola, io taccio. Pregherò Dio di darmi pazienza.”
“Oh, figlia mia, con un marito così litigioso dovrai pregare tutta la vita,” diceva la madre asciugandosi le lacrime.
Ma Livia ebbe due figli in cinque anni. Non che Primo non li amasseforse sì, a modo suo. Li sgridava continuamente, e la madre li avvertiva:
“State alla larga da vostro padre, non si sa mai quando potrebbe perdere le staffe.”
I ragazzi scappavano a giocare fuori, imparando presto a evitarlo. Crescevano, ma Primo era sempre insoddisfatto.
“Dove se ne vanno questi fannulloni? Dovrebbero aiutare in casa, invece corrono chissà dove È colpa tua se scappano,” urlava in cortile.
Livia ormai era abituata ai suoi schiamazzi. Alzava le spalle e taceva. Pur essendo più giovane, era paziente e saggia, e tutto il lavoro ricadeva su di lei. Intanto Primo beveva sempre più vino e litigava con tutti.
I paesani lo vedevano, lo sentivano, ed evitavano ogni contatto. Sapevano che non valeva la pena. Dal loro cortile echeggiavano urla e imprecazioni:
“Siete tutti una noia! Lavoro dalla mattina alla sera, vi mantengo, e non ho rispetto. Solo soldi buttati!”
La sua voce roca e ubriaca si diffondeva ovunque. A volte Livia provava a ribattere:
“Sei tu che volevi sposarti, tu che volevi figli. Di cosa ti lamenti? Quanto spendi in vino?”
Ma era meglio tacere. Era impossibile farlo stare zitto.
“Basta! Non ho pace! E tu metti i figli contro di me! Non contare quanto bevo, è roba mia!”
“Livia, come fai a sopportarlo?” piangeva la madre. “Io sarei scappata da tempo. Perché vivere così?”
“Devo crescere i figli, mamma. Che urli pure, ormai non ci faccio più caso. Resisto per loro, anche loro si sono abituati.”
Anche i paesani la compativano, stupiti dalla sua pazienza.
“Questa Livia, come fa a reggere?”
Il tempo passò. I figli crebbero e, finita la scuola, andarono in città a studiare e poi a lavorare in fabbrica. Tornavano a casa raramente.
“Mamma, non offenderti se non veniamo spesso. Non vogliamo litigare con papà. Non sentiamo mai una parola buona da lui, solo rimproveri.”
Il primogenito le promise:
“Quando mi sposo, ti porterò in città con noi. Lui resterà qui solo.”
“No, figlio mio. La mia vita è qui. Sono nata qui, qui morirò. Venite quando potete.”
I figli andavano più spesso dalla nonna, e a casa entravano come ospiti. Primo, più arrabbiato di prima, urlava:
“Perché gridi?” gli diceva Livia piano. “Sei tu che dici di essere stanco di tutti. Vivi solo, i figli sono grandi. Io resto con te.”
“Anche tu mi sei venuta a noia. Voglio riposare, stare sdraiato. Vedo come mi guardi!”
“Calmati, Primo. Ti guardo normalmente.”
“Son stanco. Se potessi, starei a letto tutto il giorno.”
“Sdraiati pure,” rispondeva lei. “Non dirò nulla, basta che non urli contro tutto il paese.”
Una mattina Livia rientrò in casa dopo aver munto la mucca. Silenzio. I figli erano ormai sposati e in città. Lei cercava di tornare tardi, per non sentire le lamentele di Primo. Ma quel giorno, a ora avanzata, lui non si alzava per fare colazione. Entrò nella camera, accese la luce, e lo vide a terra, immobile, che respirava appena.
Quando arrivò lambulanza, il medico disse:
“Pare un ictus. Deve andare in ospedale.”
Il rumoroso brontolone era diventato un vecchio impotente. Tornato a casa,Livia si prese cura di lui in silenzio, finché un giorno Primo non chiuse gli occhi per sempre, lasciandola finalmente in pace, mentre il sole tramontava sulla campagna toscana.