Sogni Infranti e il Miracolo di Capodanno

**Sogni infranti e un miracolo di Capodanno**

Caterina e Massimo si frequentavano da più di un anno. I loro appuntamenti erano così rari che si potevano segnare sul calendario con un pennarello rosso, come fossero festività. Lui viveva a Milano, mentre nel piccolo paesino vicino a Firenze compariva solo per gli affari della sua azienda. Avevano fatto grandiosi progetti per il futuro, e quel Capodanno avrebbero dovuto decidere chi si sarebbe trasferito dall’altro. Ma all’improvviso squillò il telefono. Caterina trasalì per la sorpresa: era Massimo!

«Ciao, amore», disse, cercando di sembrare dolce nonostante la giornata frenetica.

Ma dall’altra parte rispose una voce femminile tagliente: «Ehilà, rovinafamiglie!»

Caterina si bloccò, incapace di pronunciare una sola parola.

Quella vigilia di Capodanno, tutto sembrava andare storto. La mattina l’ufficio l’aveva chiamata per firmare un contratto urgente con dei partner stranieri. Nessuno si preoccupava dei suoi piani, visto che aveva prenotato dal parrucchiere. Il direttore generale si godeva il sole su qualche spiaggia, mentre lei, accigliata, borbottò qualche imprecazione, chiamò un taxi e partì.

Uscendo dal centro direzionale, si ricordò che doveva passare a prendere il vestito dall’amica Antonella, che faceva la sarta per arrotondare. Il vestito, comprato per la notte di Capodanno, le stava addosso come un sacco. Caterina preferiva pensare di essere dimagrita piuttosto che la stoffa fosse di bassa qualità. Chiamò l’amica:

«Anto, scusa, mi sono completamente dimenticata del vestito!»

«Cate, dove sei stata? Ho provato a chiamarti per un’ora!» gridò Antonella, coprendo il frastuono della stazione.

«È colpa del direttore», sospirò Caterina. «Allora, com’è il vestito? Posso passare?»

«Cate, mi dispiace», la voce di Antonella tremò. «Siamo già alla stazione, il treno parte tra mezz’ora.»

Caterina abbassò il telefono, sentendo le speranze crollarle addosso. «Va bene», pensò, «senza vestito, senza acconciatura, ma è pur sempre Capodanno! Massimo arriverà presto, e passeremo la notte insieme. Non è poi così male.»

Nonostante i suoi ventisei anni, Caterina era rimasta un’anima romantica, che credeva ancora nella magia. Anche dopo quella giornata terribile, sperava che la notte di Capodanno le regalasse un po’ di meraviglia.

Quando il telefono squillò di nuovo, trasalì, immersa nei suoi pensieri. Vedendo il nome di Massimo, fece un respiro profondo per parlare con voce allegra.

«Ciao, amore», iniziò.

«Ehilà, rovinafamiglie!» la interruppe quella stessa voce femminile. «Pensavi davvero che avrebbe lasciato la famiglia per te? Cancella il suo numero, o te ne pentirai!»

La chiamata si interruppe, e nella mente di Caterina prese forma un vortice di pensieri. Gli incontri rari, il silenzio nei weekend, le strane frasi di Massimo: tutto si unì in un quadro tetro. Camminò lentamente verso la fermata, appoggiandosi a un lampione mentre fissava il vuoto. «Rovinafamiglie»—la parola la colpì come un martello. Il suo mondo era crollato in un istante. L’anno vecchio finiva, portandosi via tutto ciò in cui aveva creduto.

«Signorina, tutto bene?» una voce profonda la strappò dallo stupore. Davanti a lei c’era un uomo con una folta barba, indossava un cappotto rosso con il colletto bianco.

«No», sussurrò Caterina, trattenendo a malapena le lacrime. «E lei chi è?»

«Babbo Natale, no?» sorrise lui. «Andiamo, non puoi restare al freddo!»

La prese sottobraccio e la condusse verso la macchina. Caterina, sbalordita, non fece in tempo a opporsi. L’auto si mosse, e lei, riprendendosi, urlò:

«Si fermi! Dove mi porta? Mi faccia scendere!»

L’uomo si accostò e si girò verso di lei:

«Volevo solo aiutare. Stavo andando in un bar a offrirti un tè caldo. Eri lì al freddo, fuori di te. È quasi Capodanno, e io, beh… in un certo senso, sono Babbo Natale.»

L’ultima frase suonò goffa, ma, senza volerlo, Caterina scoppiò a ridere. Era una risata liberatoria, che cancellava il dolore della giornata: il vestito rovinato, l’acconciatura fallita, il tradimento di Massimo e questo strano «Babbo Natale».

«Mi scusi», disse tra le lacrime e il riso.

«Tranquilla», rispose l’uomo. «L’anno vecchio se ne va, portandosi tutto il male. Le cose si sistemeranno. Sai, per esempio, il mio migliore amico oggi ha deciso di non festeggiare con me. Quindici anni di tradizione buttati via! Tutto per colpa della sua nuova moglie.»

Caterina sentì un improvviso sollievo. Forse era il freddo, o forse quell’incontro, ma il peso sul cuore si alleggerì.

«Devono aspettarla da qualche parte», disse l’uomo, riaccendendo il motore. «Dove la porto?»

«Da nessuna parte», rispose con un sorriso amaro. «A casa non c’è nessuno, non ho preso il vestito, non ho fatto l’acconciatura. Sono libera come il vento. Non so nemmeno cosa fare.»

«Allora festeggiamo il Capodanno insieme? Conosco un posticino carino, promettono una serata magica.»

«Non mi dispiace, ma prima passo a cambiarmi», rispose Caterina. Non voleva restare sola quella notte.

A casa si cambiò in fretta, tornò alla macchina sorridendo e con un pizzico di aspettativa. Nel bar, addobbato con luci scintillanti, osservò meglio il suo accompagnatore.

«Perché è vestito da Babbo Natale?» chiese, ridacchiando.

«Oh, è una storia lunga e divertente», rise lui, togliendosi barba e cappotto. «A proposito, mi chiamo Giovanni.»

«Caterina», tese la mano. «Allora, racconta, Giovanni. Oggi di storie divertenti non ne ho avute.»

Giovanni ordinò del tè e cominciò a parlare. La conversazione fluiva leggera, e i dolori si dissolsero come neve al sole. Fuori cadevano fiocchi morbidi, e il Nuovo Anno bussava alle porte.

Così finiva l’anno vecchio, portandosi via il dolore e la delusione. E il nuovo regalò a Caterina e Giovanni l’inizio di qualcosa di luminoso e autentico—una storia d’amore, nata sotto le luci del Capodanno. Caterina lo sapeva: il miracolo, alla fine, era arrivato.

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