Sogni Infranti: Un Dramma Personale

**Sogni Infranti: Il Dramma di Beatrice**

Beatrice camminava avanti e indietro nel salotto del loro appartamento a Napoli, lanciando sguardi nervosi al telefono. Il marito era in ritardo ancora una volta, e la sua pazienza stava per esaurirsi, come una corda tesa pronta a spezzarsi.

“Dove diavolo si è cacciato stavolta?” borbottò stringendo il telefono così forte che le nocche sbiancarono.

Finalmente si sentì il rumore della serratura, e nell’ingresso apparve Luca, stanco ma con un sorriso colpevole. Nella mano stringeva un modesto mazzo di margherite.

“Per te,” disse porgendole i fiori. “Scusa, sono andato da mamma, l’ho aiutata con delle cose.”

“In ritardo?” Beatrice scattò, la voce tremante di rabbia. “Non potevi almeno chiamarmi? Ero fuori di me dalla preoccupazione!”

“Mi sono distratto, scusa,” mormorò Luca, abbassando lo sguardo e giocherellando con il lembo della giacca. “Senti, io e mamma abbiamo parlato e abbiamo preso una decisione.”

“Quale decisione?” Beatrice si irrigidì, sentendo un brivido gelido salirle lungo la schiena.

Luca inspirò profondamente e iniziò a parlare. Mentre ascoltava, il volto di Beatrice si trasformò in una maschera di incredulità e rancore.

Non ricordava più l’ultima volta che Luca era rimasto a casa per più di un’ora. Se ne andava all’alba e tornava a notte fonda, quando lei era già a letto. Se mai tornava. Con l’arrivo della primavera, Luca sembrava un’altra persona. D’inverno correva a casa, si avvolgeva in una coperta, brontolando alle sue proposte di fare una passeggiata. Adesso invece spariva per giorni interi.

La madre di Luca, Giovanna, aveva suscitato in Beatrice un’immediata antipatia. Fin dal primo incontro, aveva percepito quello sguardo freddo e giudicante della suocera, come se la stesse valutando come una merce in vendita. A tavola, Giovanna si rivolgeva solo al figlio, ignorando completamente la nuora. Beatrice aveva compassione del marito di Giovanna, Antonio, un uomo sfinito che parlava a bassa voce, come se avesse paura di scatenare la sua ira.

Già allora aveva capito: vivere con quella famiglia sarebbe stato un incubo. Fortunatamente, aveva il suo appartamento, e dopo il matrimonio Luca si era trasferito da lei. Giovanna non aveva obiettato, anzi, aveva persino aiutato il figlio a preparare le valigie, quasi fosse contenta di liberarsene.

Alla festa per il nuovo appartamento, la suocera era rimasta poco: aveva scrutato ogni angolo con aria critica, bevuto un caffè, e se n’era andata. Trascorso un anno di matrimonio, Beatrice non aveva molto da raccontare, né in positivo né in negativo. Vivevano come tanti: casa, lavoro, qualche festa ogni tanto. I suoi genitori abitavano in un’altra città e la invitavano spesso, ma lei era abituata alla sua indipendenza. Qui aveva il lavoro, gli amici, la casa e il marito. Pensava che la vita matrimoniale stesse andando bene. Luca era semplice, vivevano modestamente ma senza privazioni.

A volte aiutavano Giovanna, se questa chiedeva qualcosa al figlio. Una volta al mese andavano in pizzeria, facevano progetti, sognavano il futuro. Lei sognava dei figli, ma Luca evitava l’argomento. Capiva che sognare era facile, ma crescere un bambino era un’altra cosa. Luca invece sognava l’auto. Beatrice era d’accettare che fosse utile, ma costava troppo. Non volevano chiedere un prestito, figurarsi aiuto dalla famiglia. Avrebbero dovuto risparmiare su tutto, mettendo da parte gran parte dello stipendio, e comunque sarebbero riusciti solo a comprare un’usata.

Le assenze di Luca avevano sempre la stessa spiegazione:
“Ho aiutato mamma. È iniziata la stagione dell’orto, va su ogni giorno e io l’accompagno. Devo sostenerla.”
“E a me non aiuti mai!” esplodeva Beatrice. “Quante volte ti ho chiesto di sistemare il rubinetto del bagno? La porta del balcone sta per cadere!”
“Bea, stai davvero paragonando mia mamma a un rubinetto?” la respingeva lui.

Questi litigi diventavano sempre più frequenti. Beatrice era stanca di essere la moglie della “domenica pomeriggio”, e nemmeno sempre. Persino il sabato Luca andava dai genitori. Era contenta di non essere chiamata a zappare l’orto, ma ogni tanto si chiedeva: perché?

Una volta, a casa della suocera, aveva assaggiato delle zucchine sott’olio. Erano così buone che ne aveva mangiato quasi tutto il vasetto.
“Le avete fatte voi?” chiese ammirata.
“Certo,” rispose Giovanna con orgoglio. “Lavoro tutta l’estate per avere le conserve d’inverno.”
“Mia mamma non le fa più, mi ero dimenticata di quanto siano buone,” disse Beatrice, sperando che la suocera gliene regalasse qualcuna.

Ma Giovanna fece finta di non capire.
“Che famiglia strana. Come fate a non fare le conserve? Io ogni anno riempio i vasi. È faticoso, ma d’inverno ho pomodori, cetrioli, marmellata. Chi non lavora ha la tavola vuota,” aggiunse con un’occhiataccia.

Beatrice non tornò più sull’argomento. Tornando a casa, comprò un vasetto di zucchine, preparò delle patatine fritte e le mangiò da sola.

Quella sera, Luca era ancora in ritardo. Beatrice, furiosa, si agitava per la stanza, stringendo il telefono. Era stanca di cenare da sola, stanca di aspettare il marito come un cane fedele. La porta si aprì, e lei si irrigidì, pronta a dirgli tutto. Luca entrò con un mazzo di margherite, sorridendo colpevolmente.

“Scusa, Bea,” disse porgendole i fiori.
Beatrice li mise in silenzio nel vaso, sperando che la serata diventasse romantica. Ma Luca si sedette sulla poltrona, la guardò con aria furbesca e iniziò:
“Io e mamma abbiamo discusso e abbiamo deciso: perché tenere questo appartamento? Vendiamolo e compriamone uno più economico.”

Beatrice rimase senza parole. Luca, ignaro della sua reazione, continuò:
“Ti lamenti sempre che non ci vediamo. Se vendiamo questa casa, prendiamo un biloc
ale in periferia, con la differenza compriamo la macchina. E saremo più vicini alla casa di campagna di mamma, così non deve più prendere il treno e camminare tre chilometri.”

Beatrice lo fissò, sentendo una tempesta crescere nel petto. Che marito era mai? Un appendice di sua madre! Voleva urlare, ma si controllò e disse con freddezza:
“Amore, hai fame?”
“No, ho mangiato da mamma. Oggi aveva fatto un pollo arrosto da leccarsi i baffi,” rispose Luca sognante, chiudendo gli occhi.

Beatrice sentì qualcosa spezzarsi dentro. Quell’uomo non sarebbe mai stato né un marito né il padre dei suoi figli.
“Senti,” iniziò con tono glaciale, “fate prima a vendere la casa di campagna e a comprare la macchina. Così non devi più accompagnare tua madre e stai più a casa.”
“Cosa?!” esclamò Luca. “Mamma non accetterà mai! E dove andremo d’estate? Io ci vado, almeno. Papà non la sopporta.”
“Allora ho un’altra proposta,” si raddrizzò Beatrice, la voce tremante di determinazione. “Prendi le tue cose e torna da mamma e papà. Domani andiamo a chiedere il divorzio. Esco, ho bisogno di prendere aria. QuandoQuando tornò a casa, trovò l’appartamento vuoto e finalmente respirò libera, pronta a ricominciare.

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