Solo un sogno di riposo

Tutti in paese conoscevano e disprezzavano Marcello per il suo carattere insopportabile. Era sposato con Rosa, una donna tranquilla ma con qualche problema: non poteva dargli figli. Dodici anni vissuti insieme, e nessun bambino.

Poi, come un fulmine a ciel sereno, Rosa morì. Sua madre sapeva che la figlia aveva qualche disturbo di salute, ma lei non si lamentava mai.

“Figlia mia, ultimamente non hai un bell’aspetto,” le diceva la madre quando Rosa, ogni tanto, andava a trovarla.

“Non è niente, mamma. Solo un po’ di debolezza, gira la testa, ma mi riposerò e poi andrò avanti. Non preoccuparti,” rispondeva Rosa, tranquillizzandola.

Non era abituata a lamentarsi, soprattutto con il marito, che detestava se la moglie aveva mal di testa o altri acciacchi.

“Non fingere, conosco voi donne, avete sempre qualcosa che vi fa male. Non vuoi lavorare, ecco perché ti lamenti, per scappare dalle faccende. Piagnucoli pure, qui nessuno ti compatirà,” le rispondeva lui.

Passò un anno dai funerali. Marcello viveva da solo, ma i pensieri di risposarsi non lo abbandonavano. Vivere in solitudine era dura, anche se era abituato a fare il lupo solitario. Cominciò a osservare le donne del paese.

“Per moglie devo prendere una senza figli,” pensava. “Non voglio bambini altrui. Le donne della mia età sono tutte vedove con prole. Meglio una più giovane, ma chi mi vorrebbe?…”

Lo sapeva bene che il suo carattere non piaceva a nessuno. Non aveva amici, e poche avrebbero accettato di sposarlo. Alla fine la scelta cadde su Caterina, una ragazza timida, modesta e laboriosa, quasi invisibile agli occhi degli altri.

Un giorno la incontrò, o meglio, le tese un agguato:

“Caterina, vieni qui,” la chiamò mentre lei passava davanti alla sua casa.

Alzò lo sguardo, lo vide al cancello e si avvicinò.

“Buongiorno,” salutò timidamente.

“Buondì,” rispose lui con rudezza. “Senti, ti ho osservata. Che ne dici di sposarmi? Sono solo, ho una casa solida, vivremo bene. Avremo figli, non ho eredi.”

“Oh, non so…” arrossì Caterina, sorpresa. “Devo parlarne con mia madre.”

“Parlaci pure. Stasera vengo da voi.”

Tornata a casa, Caterina annunciò:

“Mamma, credo che mi sposierò.”

“Come? Con chi? Non avevi un fidanzato!”

“Marcello verrà stasera a chiedere la mia mano…”

“Oh, figlia mia, è molto più vecchio di te! Rifletti bene prima di accettare. Ha un carattere terribile, tutti sussurrano che abbia consumato la prima moglie con la fatica e il maltrattamento. Chissà cos’è vero, delle famiglie altrui non si sa mai!”

“Mamma, che scelte ho? Non ho pretendenti, e gli anni passano. Magari sono solo pettegolezzi…”

Caterina sposò Marcello. All’inizio, in paese, non si parlava d’altro. Alcuni la compativano:

“Che errore, figliola! È un uomo crudele, misantropo.”

Altri invece dicevano:

“Marcello ha trovato la moglie perfetta. Una ragazza timida, ubbidiente e lavoratrice.”

E così era. Marcello litigava con tutti, era scontroso e odiava la suocera. Caterina poteva andare a trovarla solo di nascosto.

“È un despota, proprio un tiranno!” sospirava la madre quando la figlia fuggiva da lei, approfittando del marito assente.

“Sto bene, mamma, non preoccuparti. Troverò il modo di gestirlo. Lui brontola, io taccio. Prego Dio per avere pazienza,” la calmava Caterina.

“Oh, figlia mia, con un marito così vivrai sempre in preghiera,” piangeva la madre.

Ma Caterina gli diede due figli in cinque anni. Non che Marcello non li amasse, ma a modo suo: li sgridava senza pietà. La madre li avvertiva:

“State lontani da papà, non cadete sotto la sua ira.”

I bambini scappavano a giocare fuori, imparando presto a evitarlo. Crescevano, ma Marcello era sempre insoddisfatto.

“Dove vagano questi fannulloni? Dovrebbero aiutare in casa, invece se ne vanno in giro… È colpa tua se scappano, li hai viziati!” urlava nel cortile.

Caterina ormai ignorava quelle scenate. Taceva e scrollava le spalle. Nonostante fosse molto più giovane, era più saggia e paziente. L’intera casa reggeva sulle sue spalle. Intanto Marcello beveva sempre più vino e litigava con chiunque.

I paesani lo evitavano, tutti sapevano che non valeva la pena averci a che fare. Dai suoi discorsi si sentivano solo urla:

“Mi avete stancato! Lavoro dalla mattina alla sera per mantenervi, e non ho rispetto!”

La sua voce rauca e ubriaca risuonava ovunque. Caterina, a volte, osava ribattere:

“Hai voluto sposarti, hai voluto figli… E ora di cosa ti lamenti? Quanto vino butti giù tu, senza contare?”

Ma era meglio tacere. Impossibile farlo stare zitto.

“Vi odio tutti! Non ho pace, e tu metti i figli contro di me! Non contare quanto bevo, è roba mia!”

“Caterina, come fai a sopportarlo?” piangeva la madre. “Io sarei scappata da tempo!”

“Devo crescere i figli, mamma. Che urlì pure, ormai non ci faccio caso. Resisto per loro, anche loro si sono abituati.”

Anche i paesani la compativano e ammiravano la sua forza.

“Ma come fa Caterina a reggere?”

Passarono gli anni. I figli crebbero, andarono in città dopo la scuola, studiarono e trovarono lavoro in fabbrica. Tornavano raramente.

“Mamma, non offendersi se veniamo poco. Non vogliamo incontrare papà. Non faremmo che sentire insulti.”

Il maggiore prometteva:

“Quando mi sposo, ti porterò con noi. Lui resterà qui, solo.”

“No, figlio mio. Sono nata qui, qui morirò. Venite quando potete.”

I figli andavano più spesso dalla nonna, e a casa entravano come ospiti. Marcello, più che mai, imprecava.

“Perché urli? Hai sempre detto che tutti ti danno fastidio,” sussurrava Caterina. “Ecco, vivi pure solo. I figli sono grandi, capiscono. Io me ne starò per conto mio.”

“Anche tu mi hai stancato. Vorrei solo riposare, stare a letto. Vedo come mi guardi!”

“Calmati, Marcello. Ti guardo come sempre.”

“Sono stanco, vorrei solo starmene disteso. Ma come posso permettermelo?” brontolava.

“Stenditi e riposa. Non dirò nulla, basta che non urli più.”

Una mattina, Caterina rientrò in casa dopo aver munto la mucca e portato il bestiame al pascolo. Silenzio. I figli erano ormai grandi, sposati, in città. Lei cercava di tornare tardi dai campi, per evitare le liti. Era già tardi, ma Marcello non si vedeva. Entrò in camera, accese la luce: lui era a terra, immobile, emetteva solo rantoli.

Arrivò l’ambulanza. Il medico disse:

“Probabilmente un ictus. Deve andare in ospedale.”

Il violento, brontolone Marcello divenne un vecchio inerme. Tornò a casa in condizioni disperate, i medici non davano speranze.

“Ha bisogno di assistenza. Da solo non può fare nulla.”

CLo sistemò nella stanza da letto e gli sussurrò: “Ecco, Marcello, hai avuto il riposo che volevi,” mentre lui, immobile, fissava il soffitto senza capire, mentre la vita, lentamente, se ne andava.

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